IL TEMPO DELLO SPIRITO
CARMEN LAVAL
Una famiglia riconciliata
Nessun vincolo tra persone resiste senza perdono. Ma è possibile imparare la rara arte del perdono. Ecco dieci piccoli esercizi.
In famiglia è così facile giudicare e condannare gli altri. Gli urti quotidiani finiscono per far soffrire o ferire: e l’elenco è lungo: i suoi tic, le sue lentezze, il suo vestito, le sue musonerie, le sue recidive. Parole che feriscono, dette senza controllo, al di là del pensiero, tensioni sulla manutenzione della casa, per le discussioni in macchina, per i rimproveri di chi è troppo preso dal suo lavoro. Diversità di carattere, insoddisfazione davanti alla mediocrità dell’altro. Amore espresso in modo insufficiente, silenzi. Discussioni diverse, per provare se stesso, difendere il proprio spazio, dire le proprie delusioni. È difficile soprattutto dimenticare.
◊ Accettare di essere diversi. La Famiglia è fondata sull’alterità e sulla differenza. Fatalmente l’altro reagirà in modo diverso, vedrà le cose in modo differente. Bisogna essere incessantemente all’ascolto della temperatura del cuore dell’altro e chiedergli il suo “modo di usarlo”: “Se ti amo male, se ti pesto i piedi, dimmelo, perché cambi; se ti amo come si deve, dimmelo anche, perché io continui”.
◊ Mettere alla base della Famiglia un “contratto”: «Noi non ci faremo mai soffrire volontariamente». Si dice alle persone sposate: quando litigate tenetevi per mano (così è difficile darvi schiaffi).
◊ Considerare gli aspetti positivi. Troppo spesso i piccoli litigi nascondono gli aspetti meravigliosi della vita di famiglia, è importante relativizzare i miniproblemi.
◊ L’amore cresce attraverso questi piccoli perdoni. Più ci si abitua a perdonare le piccole cose, più si perdoneranno quelle grandi. Così pure, più presto lo si fa, meglio è.
◊ Parlare, spiegarsi. Perdonare è più facile quando c’è comunicazione. È necessario chiedere perdono. Semplicemente, umilmente, sinceramente. Non esitare a fare il primo passo. La parola compie miracoli quando il suo tono è giusto, privo di giudizi, perché crea e ricrea.
◊ Per perdonare ed essere perdonato abbiamo bisogno di sentire queste parole: “Ti chiedo perdono”, “ti ho dato un dispiacere”, “mi sono innervosito”, “ho torto”. Queste parole toccano il cuore e suscitano un dialogo talvolta improntato di umiltà e di sincerità, che altrimenti non avrebbe avuto luogo.
◊ Riconoscere la ferita che si è fatta. Gli esseri umani sono fragili e vulnerabili. Tutti portiamo un’etichetta che dice: “Trattare con cura, maneggiare con cautela, merce delicata”.
Colui che è stato ferito ha bisogno di sapere che la sua ferita è stata presa in considerazione. È tanto naturale giustificarsi trovando scuse nel proprio passato, soprattutto trovando colpe negli altri (i superiori). È importante impegnarsi in un processo di verità per scoprire i propri torti personali, e riconoscerli umilmente.
C’era una volta un ragazzo dal carattere molto difficile. Si accendeva facilmente, era rissoso e attaccabrighe. Un giorno, suo padre gli consegnò un sacchetto di chiodi, invitandolo a piantare un chiodo nella palizzata che recintava il loro cortile tutte le volte che si arrabbiava con qualcuno.
Il primo giorno, il ragazzo piantò trentotto chiodi.
Con il passare del tempo, comprese che era più facile controllare la sua ira che piantare chiodi e, parecchie settimane dopo, una sera, disse a suo padre che quel giorno non si era arrabbiato con nessuno. Il padre gli disse: «È molto bello. Adesso togli dalla palizzata un chiodo per ogni giorno in cui non ti arrabbi con nessuno».
Dopo un po’ di tempo, il ragazzo poté dire a suo padre che aveva tolto tutti i chiodi.
Il padre allora lo prese per mano, lo condusse alla palizzata e gli disse: «Figlio mio, questo è molto bello, però guarda: la palizzata è piena di buchi. Il legno non sarà mai più come prima. Quando dici qualcosa mentre sei in preda all’ira, provochi nelle persone a cui vuoi bene ferite simili a questi buchi. E per quante volte tu chieda scusa, le ferite rimangono».
◊ Dare tempo al tempo. Bisogna accettare che non venga immediatamente una parola di perdono. Quando si è sopraffatti dalla collera, ci vuole un tempo di calma, di riflessione, e anche di preghiera per acquistare la capacità di chiedere perdono. È un processo lungo e complesso, bisogna aspettare che il tempo faccia l’opera sua. Alcuni dimenticano subito l’offesa, soprattutto quando si tratta di offese leggere. Altri hanno la tendenza a rimuginarla. Anche se dicono che “è finito”, i loro occhi, il loro broncio continuano a dimostrare che il fatto non è ancora digerito.
◊ Imparare a negoziare. Significa cercare una soluzione media, che tenga conto dei due punti di vista. Questo suppone che ognuno, in un primo tempo, cerchi lealmente, con empatia, di mettersi al posto dell’altro, di entrare nel suo modo di vedere.
Riconciliarsi. Anche se la riconciliazione non è indispensabile per il perdono, il perdono è completo quando sfocia nel ristabilimento delle relazioni. Il perdono non è ancora la riconciliazione, ma ne è la via. Il perdono è un catalizzatore che crea l’ambiente necessario per una nuova partenza e per ricominciare. Perdonare è ridare fiducia. È ripartire “come prima”. Significa riparare e cambiare. Il segno della sincerità di richiesta di perdono è lo sforzo che ci si impegna a fare per non cadere più negli stessi errori.
◊ Un perdono totale è una cosa divina, che noi impariamo soltanto da Dio. Il cristiano non dice: «Io credo al peccato», ma «alla remissione dei peccati». E quando il sacerdote dice «Io ti assolvo», dice molto di più che “tu sei perdonato”. Assolvere significa ridare la libertà a colui che era legato, significa togliergli le catene. Quando il perdono ci sembra impossibile, guardiamo il Cristo in croce. Nel momento stesso in cui, sospeso ai chiodi, muore di asfissia in una sofferenza indicibile, egli ha il coraggio di dimenticare se stesso per chinarsi sui suoi carnefici e perdonarli.