BS Maggio
2022

DON BOSCO NEL MONDO

ANTONIO LABANCA con MISSIONI DON BOSCO (Fotografie di ESTER NEGRO)

Un miracolo chiamato oratorio

Sotto il segno dei salesiani ad ogni latitudine la parola ‘oratorio’ viene declinata in centri giovanili, in spazi per lo sport, per il teatro, per la musica; in laboratori di solidarietà per servire i bisogni dei territori; in cappelle dove imparare a rivolgersi a Dio insieme; in aule con adulti che accompagnano la crescita individuale; in incubatori di idee e progetti per il lavoro.

Oratorio: una parola che richiama alla mente giovani e tempo libero, compagnia e confronto, esuberanza e riflessione. La “conversione” del luogo destinato alla preghiera in uno spazio dove l’intera vita trova accoglienza è avvento nella Chiesa della Riforma. Ha trovato il primo interprete in Filippo Neri e, lungo il tempo, in tante esperienze. Don Bosco lo rese il fulcro del suo carisma, mettendo sotto i riflettori la condizione giovanile in quanto meritoria di un’attenzione particolare. Anticipando di oltre un secolo la “scoperta” delle nuove generazioni come portatrici di un cambiamento della società, affidò ai suoi ragazzi la responsabilità di costruire il futuro che oggi vediamo.

Nel presente, sotto il segno dei salesiani ad ogni latitudine la parola ‘oratorio’ viene declinata in centri giovanili, in spazi per lo sport, per il teatro, per la musica; in laboratori di solidarietà per servire i bisogni dei territori; in cappelle dove imparare a rivolgersi a Dio insieme; in aule con adulti che accompagnano la crescita individuale; in incubatori di idee e progetti per il lavoro.

La flessibilità dell’oratorio si manifesta nella capacità di accogliere provenienze nuove: “L’unico Piemontese qui sono io” diceva simpaticamente don Gianni, il direttore del primo oratorio salesiano a cavallo del cambio di millennio, quando accompagnava i visitatori di Valdocco. Con un po’ di nostalgia per l’avventura che lui stesso ha vissuta provenendo in città dalla provincia, e con tanta consapevolezza che il quartiere intorno è mutato in quanto a etnie e mentalità. Eppure la ‘formula’ tiene, la paternità in stile don Bosco è necessaria. Con le famiglie che accompagnano i figli e con i giovanotti che assumono ruoli di animazione, si conferma ancora la bontà di un’intuizione educativa.

D’altronde l’oratorio dei primi ragazzi della Torino che si avviava a diventare industriale, nel corso dei decenni ha già realizzato processi di adattamento alle diverse situazioni. Non fosse altro che ogni missionario salesiano è stato portatore dello stile originario appreso nei cortili frequentati, preoccupandosi di trovare abbastanza terreno per costruire la casa della comunità ma anche quella dei ragazzi: stanze, campi sportivi, refettori, porticati… per radunarli, far correre le gambe, riempire gli stomaci e raccontare una parabola istruttiva. C’è quasi una relazione matematica fra l’avvicinamento ai giovani e la necessità di dare vita ad oratori.

Haiti

Ad Haiti, Paese ad altissima natalità (il 40% dei bambini ha meno di 15 anni) e poverissimo di vita sociale organizzata, i centri attualmente gestiti dai salesiani sono undici. “Dal 1936 i Figli di Don Bosco qui hanno messo radici con un unico grande obiettivo: portare l’educazione che parte prima di tutto dall’accoglienza, ai giovani più emarginati e poveri” ricorda padre Jean Paul Mesidor. La condizione economica è strutturalmente debole, l’instabilità ne è conseguenza ma anche causa; a questo si aggiunge una ricorrenza di eventi naturali come terremoti e uragani che distruggono quanto costruito e creano nuovi nullatenenti. Secondo il ‘Programma per lo sviluppo’ dell’Onu questa parte dell’isola di Hispaniola (l’altra è occupata dalla Repubblica Dominicana) ha il primato di Paese più povero dell’emisfero occidentale.

Lo scivolamento in un regime di violenza è l’ultimo atto di un dramma che preclude la possibilità di realizzare interventi di sviluppo. “I salesiani lo sanno bene. Viviamo da sempre aggrappati alla speranza di far risorgere Haiti” sottolinea padre Jean Paul. La comunità è composta da una sessantina di confratelli distribuiti in 13 opere diverse. Le attività sono rivolte primariamente ai minori a rischio e spesso sono veri recuperi in extremis di persone sprofondate nell’abuso di droghe o nell’affiliazione a bande criminali. “Annunciamo il Vangelo a chi si trova perennemente in bilico tra la vita e la morte, tra l’estrema povertà e la speranza di rinascere aggrappandosi forte al Signore”. Questo impegno si concretizza in ‘presìdi di salvezza’ che prendono letteralmente per mano i minori e li restituiscono a una vita dignitosa. A stretto giro vengono integrati negli oratori, dove si pratica un’educazione integrale che aiuta ciascuno a realizzarsi. Partendo dal gioco, dalla condivisione dei beni e dalla partecipazione alle attività si crea l’ambiente favorevole a una crescita serena di valori capace di fondare nuovi valori. “In ogni opera si fa in modo che ognuno si senta a casa” sottolinea padre Jean-Paul, “vediamo svilupparsi un’attività in maniera silenziosa, dimessa, ma il suo valore si riconosce appena si apre il portone di un qualsiasi oratorio di Haiti”. I salesiani diventano padri, amici, consiglieri, strumenti per scrivere il futuro di tanti minori prima abbandonati a se stessi.

Brasile

3177 chilometri a sud di Port-au-Prince, capitale di Haiti, si trova Porto Velho capitale della Rondonia, in Brasile. Molti haitiani sono fuggiti dal loro Paese per approdare su questa ‘nuova frontiera’ dello sviluppo economico. Negli ultimi anni a loro si sono aggiunti moltissimi venezuelani in fuga dal regime di Maduro, trovando sul posto anche boliviani e peruviani oltre ai migranti interni dal Mato Grosso, dal Paranà e dal Rio Grande do Sul. Strati di genti che si sono sovrapposte ai nativi di questa parte dell’Amazzonia e alla popolazione che vive nelle case galleggianti lungo il fiume Madeira che confluisce nel Rio delle Amazzoni.

Mezzo milione di persone vive fra l’inseguimento di un sogno di benessere e la condizione reale di marginalizzazione. La fortuna è tutta dei ‘fazendero’ che colonizzano i terreni deforestati, mentre nei quartieri popolari si addensano le persone con lavori precari e sottopagati. Nel crogiolo delle differenze e dei pregiudizi, dei desideri infranti e dello sfruttamento, crescono lo spaccio di droga, la delinquenza comune e lo sfruttamento sessuale di donne e bambini. La presenza salesiana con il Collegio Don Bosco in un barrio, non lontano dal centro ma diventato pericoloso, ha subìto un’interruzione nel 2019. Da queste vicende è tuttavia scaturito uno scatto di volontà e due missionari, padre Roberto Cappelletti e padre Antonio Castilho, sono stati incaricati di riannodare i fili di quella presenza. “Con l’aiuto di adolescenti e di giovani, ci siamo rimboccati le maniche, anche se le risorse erano poche” spiegano. “Abbiamo ripulito le sale, i cortili, buttato via tante cose vecchie e venduto quello che si poteva vendere, per comprare ferramenta, tinte per dipingere e dare nuova vita agli ambienti”.

Anche i Cooperatori salesiani e altri laici si sono uniti agli sforzi e un anno fa, il 19 giugno, è stato aperto il nuovo oratorio. Qui i piccoli dai 5 anni in su, fino ai ventenni, trovano un ambiente protetto, senza violenza, dove possono giocare in modo sano, in ambienti puliti. Arrivano anche per frequentare piccoli corsi di cucina, di musica o di barberia, per partecipare a momenti di formazione culturale. Al sabato e qualche volta il mercoledì trovano la merenda assicurata, “una merenda” spiega padre Roberto “che per molti risulta essere la cena, con zuppa, panini e pezzi di torta, offerti dalla generosità di privati e di negozianti”. Lo stesso cibo che, a seconda della generosità, consente di preparare delle ceste per le famiglie in maggiore difficoltà. Animatori e responsabili hanno preso a cuore questa realtà, sono motivati, entusiasti e hanno molto spirito di iniziativa: sono i primi fondamentali passi perché l’oratorio possa avere basi solide.

Ucraina

In un contesto ben differente – drammaticamente differente oggi – si stanno gettando le basi per un altro oratorio. Siamo a Žytomyr nel cuore dell’Ucraina in guerra. È fra le città bombardate dall’occupazione militare russa. Dieci giorni prima che scoppiasse il conflitto, Missioni Don Bosco era andata a visitare il luogo in cui potrà sorgere la struttura dedicata: alcune aule della scuola Italo-Ucraina ecumenica Vsesvit (universo, in italiano) venivano già utilizzate per accogliere gli studenti nelle ore libere. Ping pong, danza, canto… qualche segnale di serenità quando la minaccia dell’invasione piombava su ogni ucraino al suo risveglio. Tenere lontano il panico, costruire relazioni e opportunità nonostante le minacce.

Quando nel gennaio 2020 a nome dei salesiani padre Michal Wocial è diventato direttore della scuola Vsesvit, ha sùbito avvertito l’esigenza di proporre lo spazio di incontro extrascolastico: anche in un contesto così preoccupante, anzi forse a maggior ragione, l’oratorio trova le sue ragioni d’essere. Il progetto prevede che sia aperto ai 200 allievi ma anche a tutti i bambini e i giovani del quartiere. Al momento presente, la follia dei potenti ha determinato la sospensione di ogni intervento, ma sicuramente dopo la guerra, con la ricostruzione, i figli di don Bosco saranno pronti a ripartire con il loro specifico contributo per il sostegno negli studi, per il divertimento, per la pratica sportiva, per il gioco, per la condivisione.

La ‘flessibilità’ del metodo preventivo si riscontra anche con gli ‘stress test’. È quanto sta accadendo in Ucraina e nei Paesi limitrofi, dove in questi mesi un nuovo uso delle strutture e l’applicazione delle risorse umane e materiali è una caratteristica importante della risposta alla crisi. Padre George Menamparampil, che per i Salesiani di Don Bosco sta coordinando su scala mondiale l’invio di aiuti alla popolazione ucraina, osserva che “l’oratorio tradizionale diventa un rifugio per i minori che hanno dovuto fuggire dal loro Paese, sia i piccoli accompagnati dalle loro madri sia i più grandicelli lasciati andare da soli. Diamo loro la possibilità di tornare ad essere bambini normali, non solo rifugiati. Giocano, corrono, ridono, gridano e urlano, mangiano, dormono, imparano, pregano. Se hanno bisogno di consulenza, l’hanno. Forniamo loro un parco giochi, una scuola, una chiesa, una casa”. È quello che succede ad esempio a Varsavia: “alcuni di loro rimangono per qualche giorno per riprendersi dallo shock dei bombardamenti e dal dover lasciare la propria casa e dalla stanchezza del viaggio. Poi si spostano verso un rifugio più stabile”. In questa fase, le madri possono affidare ai salesiani i loro figli e così cercare qualche lavoro e permettersi di svolgerlo, sicure che durante il giorno non corrano pericoli.

Chissà se don Bosco aveva pensato anche a una destinazione emergenziale del “suo” oratorio. Possiamo dire di sì, osservando la lena che stanno mettendo i salesiani sul teatro di guerra, nei Paesi vicini per l’accoglienza e in quelli più lontani per far partire gli aiuti dei benefattori. E se gli spazi dedicati ai giovani sono quelli dedicati al futuro e alla speranza, quali altri possono significarlo con la stessa intensità?     

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