BS Aprile
2022

In Prima Linea

Antonio Labanca - Missioni Don Bosco (fotografie di Ester Negro)

Ucraina
I salesiani non si fermano

Nonostante i pericoli, Missioni Don Bosco è andata in Ucraina a incontrare i salesiani. Un viaggio all’insegna della fraternità, per confermare l’aiuto concreto e la preghiera per una pace duratura.

Continuare l’attività formativa e pastorale in un Paese che è in guerra da otto anni è l’impresa che i salesiani dell’Ucraìna stanno sostenendo in ogni città dove essi sono presenti con le loro opere. Tra ripetuti allarmi di attacco, crisi economica generale, vittime dirette e indirette delle ostilità, si tratta di preservare la buona condizione fisica e psicologica dei ragazzi e delle ragazze che frequentano scuole, oratori, chiese.

“Don Bosco” garantisce

Il primo incontro è avvenuto a Žytomyr, città di poco meno di 300 mila abitanti a 140 km a ovest della capitale. Un cippo ricorda la sua fondazione da parte dell’omonimo principe della tribù dei Drevliani nell’anno 884 e porta il pensiero alla prima evangelizzazione dell’Europa orientale guidata dai santi Cirillo e Metodio. Ancora oggi la località è punto nevralgico per i collegamenti fra le città del nord dell’Ucraina e verso la Bielorussia e la Polonia.

Padre Michal Wocial, direttore della casa salesiana di Žytomyr, ci accompagna a visitare la scuola primaria Vsesvit (“Universo”), con 40 insegnanti per 400 allievi, dal 2020 affidata alla congregazione. La costruzione del plesso fu voluta da una delegazione guidata dal parroco di San Pellegrino a Reggio Emilia, don Giuseppe Dossetti jr, alla ricerca di un progetto verso il quale far confluire la solidarietà – per i popoli tornati liberi dopo il crollo del Muro di Berlino – di persone e di imprese della sua città e di quella di Piacenza. Gli Italiani incontrarono un piccolo nucleo di cattolici che avevano vissuto la persecuzione religiosa; fra loro Sofia Okuneva che era stata in prigione a causa della sua fede per tre anni e mezzo fino all’indipendenza dell’Ucraina dall’Urss nel 1991. Oggi sessantenne, racconta la gioia di questa esperienza destinata a costruire un tassello importante del futuro del suo Paese. Scoccò una scintilla di simpatia e di fiducia, e la delegazione sposò il progetto della scuola primaria ecumenica italo-ucraina, che venne affidata alla sua direzione.

Durante la visita arriva anche il Segretario comunale di Žytomyr, Viktor Kliminskyi, per testimoniare il forte legame fra la Città e i salesiani. Spiega che a questi verrà affidato il complesso scolastico progettato in un quartiere di nuovo insediamento abitativo. Il comune si accolla tutte le spese per la costruzione e l’allestimento delle aule, il “marchio” di don Bosco garantirà la qualità dell’istruzione. Traspare un rapporto senza remore fra pubblico e privato, fra istituzioni civili e un soggetto di natura religiosa: quel che conta, spiega Kliminskyi, è che sia “una scuola fondata su valori cristiani e patriottici, importanti per il popolo ucraino”.

Il terrore si chiama Holodomor

La cuginanza con la vicina Russia è un dato che, assieme agli elementi condivisi, ha suscitato nel corso del tempo numerose tensioni. Kyïv era la capitale del Principato medievale dei popoli che comprendeva una vasta area tra Russia occidentale, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: è la Kyïvska Rus’ (la Rus’ di Kyïv). Il principe Vladimir I strinse alleanza con l’Impero Bizantino e nel 988 abbracciò il cristianesimo, introducendolo nel suo regno con maggiore efficacia di quanto avesse tentato di fare sua nonna, la principessa Olga (riconosciuta santa). La capitale divenne sede di una Provincia ecclesiastica riconosciuta da Costantinopoli, che tuttavia fu portata prima a Vladimir e nel 1325 a Moskva (Mosca) assecondando la parabola discendente del Principato. Gli Ucraini di oggi vogliono comprendere meglio anche questi passaggi storici, secondo loro falsificati prima dall’Impero zarista poi da quello sovietico. Non si tratta solo di materia del passato: quando nel 2014 avvenne l’occupazione russa della Crimea e del Donbass, una parte degli Ortodossi ucraìni si separò dal Patriarcato di Moskva che non intendeva riconoscere l’autonomia raggiunta dal Paese con il disfacimento dell’Urss, e di conseguenza negò un’identità nazionale alla stessa Chiesa come prevede la prassi ortodossa. Il cerchio si è chiuso con il riconoscimento della Chiesa ucraina autocefala da parte del Patriarca di Costantinopoli nel 2019.

Se la questione religiosa ha un’evoluzione lacerante, certamente la ferita inflitta dalla Russia ai tempi dello Stalinismo è più difficile da ricucire. Tra il 1932 e il 1933 avvenne una strage di Ucraini dell’ovest che resistevano all’espansione del comunismo con maggiore convinzione e mezzi dei compatrioti dell’est. Una ricercatrice, Nataliya Fedorovych, attualmente al vertice della segreteria dell’Ufficio parlamentare per i diritti umani, ha compiuto ricerche minuziose per far emergere quanto occultato dal regime sovietico fino a trent’anni fa: 6 milioni di morti per fame, una “pulizia etnica” fra le altre praticate dal dittatore georgiano al Kremlino dal 1924 al 1953. I risultati delle ricerche hanno convinto l’Onu nel 2003 a dare riconoscimento universale a questo genocidio, e il Parlamento europeo nel 2008 l’ha classificato come un crimine contro l’umanità. Ha un nome: Holodomor. Ma proprio gli Stati europei che oggi si ergono a difensori dell’autonomia ucraina – fra i quali Germania, Francia, Italia – non hanno ancora osato riconoscere formalmente questo eccidio.

Padre Maksim Ryabukha

In questo contesto è difficile non trasformare in odio viscerale il sentimento della popolazione. I salesiani contribuiscono con la loro azione educativa piuttosto a collocare il sentimento patriottico nell’alveo della giusta autodifesa. “Nessuno odia i Russi” ribadiscono e spiegano che l’Ucraina ha incrementato l’interscambio con il vicino. Padre Maksim Ryabukha in uno dei trasferimenti con gli amici di Missioni Don Bosco fa notare il passaggio a fianco di un pullman bianco targato Russia che circola liberamente, non fermato dalla polizia o dall’esercito e neppure fatto segno di assalti o semplici proteste della gente comune.

Lui è responsabile della Casa Maria Ausiliatrice a Kyïv, una costruzione recente acquistata da una famiglia di Rom che ne voleva fare la propria villa. Non è ancora completata, don Maksim la sta progressivamente trasformando in luogo di accoglienza, di gioco e di preghiera. È lui che ha invitato il suo interlocutore in Italia quando voleva sapere come i giovani Ucraini avrebbero interpretato l’invito di papa Francesco a pregare in tutto il mondo per la pace il 26 gennaio scorso. Celebra la messa domenicale alla presenza di una cinquantina di persone, in gran parte giovani, vengono da vicino ma anche da altri quartieri di questa città che conta 4 milioni di abitanti più un paio di altri milioni di profughi dalle zone occupate dai Russi.

La liturgia è nel rito greco-cattolico, i salesiani qui sono parte della Chiesa bizantina, una preghiera e un mistero cantati per intero. Solo l’omelia è una riflessione parlata in famiglia che non trascura di spiegare la presenza degli ospiti che hanno assunto il compito di raccontare quel che vedono della situazione sospesa tra voci dei potenti e speranze di liberarsi dal giogo delle minacce. Dopo la celebrazione alle 11 del mattino, il ritrovarsi nelle stanze dell’oratorio senza un programma preciso se non quello di raccontarsi l’ultima settimana, di giocare chi in piedi al calciobalilla chi accovacciato su un tappeto al nuovo gioco di carte “The Mind”. E di scaldarsi con una tazza di tè caldo e abbondanti razioni di biscotti e di torte al cioccolato. Indispensabile anche qui una “mamma Margherita” che arrivi dove il figlio non può arrivare, la signora Iryna Rohova.

A conferma dei buoni rapporti con il vicinato e con le strutture pubbliche, prima della messa don Maksim aveva promosso un incontro con la direttrice e i suoi collaboratori della Scuola 113 che si trova nell’isolato a fianco di Casa Maria Ausiliatrice.

Gli orfani di L’viv

L’ultima tappa del viaggio è a L’viv. Si nota subito la presenza consolidata dei salesiani in questa città da un milione di abitanti che ha un sapore mittel-europeo nella sua architettura. Qui hanno sede la visitatoria e le attività formative. Il superiore, padre Mychaylo Chaban è anche “papà” di più di trenta minori, orfani o affidati dai servizi sociali, che condividono gli spazi di Casa Don Bosco. Molti di loro sono adottati a distanza dai benefattori della onlus missionaria di Valdocco che li può incontrare e fotografare in questa visita. Intorno fioriscono un asilo, una scuola professionale e un centro sportivo inaugurato da pochi mesi, il “Bosco-Arena”, che mette a disposizione una palestra oltre al campo di calcio ai 350 ragazzi. La soddisfazione di padre Anatolij Hetsjanyn responsabile della pgs è che questo plesso è in grado di offrirsi anche ai professionisti del football delle tre squadre di L’viv come centro di allenamento di alto livello. “Con la speranza che emerga qualche campione fra i nostri ragazzi che possa portare in alto il nome di don Bosco”.

Ristorazione e ricezione turistica, meccanica e riparazione di automobili sono i corsi di un anno e mezzo di durata che preparano a professioni molto richieste in Ucraina, 25 allievi per classe. A queste si è aggiunta quest’anno quella di informatica che il direttore, padre Andryi Bodnar, descrive con meritato orgoglio ai suoi visitatori.

All’orizzonte un impegno ulteriore, prestigioso: la nuova scuola per quasi 700 allievi che sarà costruita ex novo dal Comune di L’viv in un’area di sviluppo urbanistico, e che sarà affidata (come a Zhytomyr) alla mano salesiana. Lo conferma il sindaco Andriy Sadovyi che riceve la delegazione di Missioni Don Bosco con i giornalisti che l’hanno accompagnata in questo viaggio. Descrive il programma di difesa dagli attacchi fisici e psicologici, si spinge a prefigurare una collaborazione più intensa con i Paesi dell’Unione europea, riservando all’Italia un’attenzione particolare testimoniata dal fatto che la lingua straniera più studiata in Ucraina dopo l’inglese sia la nostra. E ribadisce che la formazione scolastica è l’investimento più forte per la pace e per lo sviluppo.

È un invito a nozze per i salesiani, che continuano a progettare indipendentemente dallo stato di guerra, dal Grest della prossima estate ai nuovi insediamenti scolastici. Affermando così anche agli occhi dei ragazzi e dei giovani che occorre non solo evitare il panico, ma operare come se all’orizzonte non si vedessero carri armati e aerei russi. 

I progetti riferiti in questo articolo sono sostenuti dall’Italia da Missioni Don Bosco.

Per maggiori informazioni consultate il sito www.missionidonbosco.org

scrivete a progetti@missionidonbosco.org o telefonate al n. 011 3990101

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