LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Trasformati dal viaggio
Anche quando il viaggio ha una durata limitata e rappresenta una breve parentesi nel proprio percorso di vita, l’impronta che lascia su chi ne è stato protagonista permane nel tempo e, non di rado, costituisce un’eredità incancellabile, un bagaglio culturale ed emotivo che ci portiamo dietro per sempre.
Nella storia dell’umanità ci sono sempre state diverse tipologie di viaggio e oggi, nella società contemporanea, le motivazioni che ci spingono a partire si sono letteralmente moltiplicate. Si viaggia per esplorare luoghi sconosciuti e confrontarsi con culture diverse dalla propria, per evadere da una quotidianità monotona e non di rado stressante, per reincontrare famigliari e amici lontani, per consolidare e rinnovare antiche relazioni e tesserne di nuove. Ma, soprattutto, sempre più spesso si viaggia per ragioni di studio e di lavoro, per cercare altrove – all’estero o in altre città – esperienze e opportunità che non si è riusciti a trovare nella propria terra di origine, per inseguire un sogno o realizzare un progetto coltivato da tempo, ma anche per sfuggire a situazioni di deprivazione sociale e materiale o per lasciarsi alle spalle un passato che si vuole archiviare.
Lo sanno bene i giovani adulti che, oggi più di ieri, sono protagonisti di una accresciuta mobilità territoriale, novelli viandanti per le strade del mondo, sempre più abituati a macinare chilometri e ad oltrepassare confini, fino a fare del nomadismo quasi un modus vivendi, una condizione esistenziale in parte scelta e in parte subita, nel quadro di una più generale precarietà che non risparmia neppure la dimensione dello “spazio”.
Che si tratti di viaggi di piacere o di spostamenti dettati dalla necessità, ciò che sembra accomunare ogni partenza è il senso del distacco, la nostalgia per ciò che si abbandona, il dolore della separazione – breve o lunga che sia – dagli affetti e dai luoghi del cuore, che, anche quando è cercata e a lungo desiderata, rappresenta inevitabilmente uno “strappo” nella propria quotidianità e nel proprio vissuto esperienziale. Decidere di partire significa infatti, prima di ogni altra cosa, allontanarsi da tutto ciò cui si appartiene, da una realtà conosciuta e familiare che, per quanto non sempre all’altezza delle nostre aspettative e aspirazioni, rappresenta pur sempre le nostre radici, il terreno di coltura della nostra identità, il luogo dove più di ogni altro ci sentiamo “a casa”.
Di fronte a noi si staglia, invece, l’ignoto: un orizzonte incerto e avvolto da una fitta coltre di nebbia che, se da un lato ci attrae, esercitando su di noi il fascino potente dell’avventura e della promessa, dall’altro ci fa paura, poiché nessuno sa fino in fondo che cosa lo attende una volta giunto a destinazione. La malinconia per ciò che si lascia si mischia, così, con la curiosità per ciò che ancora non si conosce: una curiosità che genera in noi emozioni contrastanti, che ci fa sentire come divisi a metà tra il passato e il futuro, instabilmente in bilico tra il già e il non ancora.
Ogni viaggio comporta, infatti, di per sé un cambiamento, che non riguarda soltanto le condizioni di contesto, il mutare repentino dello scenario in cui si snoda la nostra vita e che fa da sfondo al nostro agire. A cambiare radicalmente attraverso il viaggio è soprattutto colui che viaggia, che proprio come una gomma americana viene letteralmente masticato e rimodellato dai luoghi che attraversa, dagli eventi di cui fa esperienza, dalle relazioni che man mano costruisce.
E, anche quando il viaggio ha una durata limitata e rappresenta una breve parentesi nel proprio percorso di vita, l’impronta che lascia su chi ne è stato protagonista permane nel tempo e, non di rado, costituisce un’eredità incancellabile, un bagaglio culturale ed emotivo che ci portiamo dietro per sempre. Un bagaglio al quale dobbiamo imparare a trovare un posto nella nostra vita, così come alle valigie in cui abbiamo accuratamente impacchettato il nostro passato, affinché non rappresentino un intralcio ai nostri passi, bensì una preziosa riserva di senso da cui attingere energie nei momenti di stanchezza e quando, lontani da casa, ci capiterà di sentirci un po’ soli.
Ad apparire per ultimo
è sempre il numero del binario,
tra poco passa il treno per Milano
che risale la penisola,
la piuma in testa è di gabbiano:
Freccia Bianca, lo spirito di un capo indiano.
Che entra dentro le bocche spalancate
delle montagne in Liguria,
come se fossimo una gomma americana,
il buio ci mastica e ci sputa.
Sentirsi soli in una grande città
fa più male che dalle mie parti,
mi tagliano la gola queste armi bianche,
le punte delle Alpi.
Sentirsi soli in una grande città
è più duro che nella mia terra,
ci sono troppe pareti, troppi muri
dove sbattere la testa…
Trovare un posto alle valigie
è sempre uno dei miei problemi,
per non farle rimanere
tutto il viaggio in piedi.
Sta risalendo la penisola
il vecchio spirito di un pellerossa,
dividendo in due le città che incontra.
Poi entra dentro le bocche spalancate
delle montagne in Liguria,
per poi sparire nel manto bianco
della pianura.
Sentirsi soli in una grande città
fa più male che dalle mie parti,
mi tagliano la gola queste armi bianche,
le punte delle Alpi.
Sentirsi soli in una grande città
è più duro che nella mia terra,
ci sono troppe pareti, troppi muri
dove sbattere la testa…
(Lucio Corsi, Freccia Bianca, 2020)