I GRANDI AMICI
GIOVENALE DOTTA
San Leonardo Murialdo
Leonardo Murialdo appartiene al gruppetto dei più famosi “santi sociali” torinesi, insieme a Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco, ma è l’unico effettivamente originario del capoluogo piemontese. Egli nacque infatti a Torino il 26 ottobre 1828 da Leonardo Franchino, agente di cambio e sensale di commercio, e da Teresa Rho. Nel suo Testamento spirituale il Murialdo definisce il padre «onesto» e «cattolico praticante», mentre della madre scrive che era «pia, esemplare, molto affezionata ai suoi figli». Il padre morì nel 1833 e la madre pensò di provvedere all’educazione di Leonardo e del fratello maggiore Ernesto inviandoli a Savona, nel collegio degli Scolopi, dove essi trascorsero sette anni di studio (1836-1843).
Il periodo savonese segnò profondamente la vita di Leonardo, sia dal punto di vista della sensibilità culturale sia sul versante della spiritualità. Infatti, durante il suo ultimo anno di permanenza in terra ligure, egli attraversò una dolorosa crisi religiosa, della quale riferisce lungamente nel suo Testamento spirituale e che segnò poi tutta la sua vita. Non si trattò di una perdita della fede, ma di uno smarrimento psicologico e morale, avvertito più tardi come un vero rifiuto di Dio, smarrimento che si risolse con il rientro in famiglia e con la sua «conversione», da lui sentita come frutto gratuito della misericordia del Signore.
Il sacerdozio e l’apostolato nei primi oratori torinesi
A Torino proseguì gli studi con il corso di filosofia e, avendo deciso di diventare sacerdote, con quello di teologia (1845-1850), che si concluse con il conseguimento della laurea presso l’Università di Torino.
Ordinato sacerdote (20 settembre 1851), il Murialdo intraprese il suo apostolato nei primi oratori torinesi, all’inizio come collaboratore in quello dell’Angelo Custode, in Borgo Vanchiglia, e poi come direttore (1857-1865) di quello di San Luigi, presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Fu don Bosco a chiamarlo a dirigere quell’oratorio che egli stesso aveva fondato, dopo quello di Valdocco. Questa prima fase della sua attività ebbe termine nel settembre del 1865 quando decise di trascorrere un anno nel celebre seminario parigino di San Sulpizio.
A Parigi il Murialdo ripassò e approfondì soprattutto la morale e il diritto canonico, conobbe metodi ed esperienze nuove nel campo dell’apostolato giovanile ed operaio, arricchì la sua esperienza interiore accostandosi alle dottrine del Bérulle e dell’Olier, affinando così la sua sensibilità spirituale, già alimentata da altre fonti (san Francesco di Sales, la corrente mistica ignaziana francese, sant’Alfonso de’ Liguori…).
Rettore del Collegio Artigianelli di Torino
Il ritorno a Torino (ottobre 1866) fu presto seguito dall’accettazione di un nuovo e più impegnativo incarico: la direzione del Collegio Artigianelli, istituzione che si proponeva di accogliere, assistere, educare cristianamente ed addestrare nel lavoro professionale i ragazzi orfani, poveri e abbandonati.
Il collegio era stato fondato da don Giovanni Cocchi nel 1849 e dipendeva da un ente denominato Associazione di Carità a pro dei giovani poveri ed abbandonati, della quale lo stesso don Cocchi era stato il principale promotore. L’istituto offriva ai ragazzi le scuole elementari, un breve tirocinio in qualche laboratorio interno (nell’età tra i 12 e i 14 anni) e poi la formazione professionale vera e propria (dai 14 ai 19 anni). Ai primi laboratori (calzolai e falegnami), si aggiunsero con il tempo quelli dei legatori di libri, degli ebanisti-intarsiatori, degli scultori e tornitori in legno, dei sarti, dei tipografi, dei fabbri-ferrai e dei tornitori in ferro, oltre alla rinomata scuola di pittura e scultura diretta dal pittore Enrico Reffo.
Lo sforzo per un costante miglioramento quantitativo e qualitativo era sostenuto da stimolanti confronti con altre realtà educative, anche europee, mediante numerosi viaggi, in Italia e soprattutto all’estero (Francia, Belgio, Inghilterra), compiuti dal Murialdo e dai suoi collaboratori, don Eugenio Reffo e don Giulio Costantino. Ne beneficiarono le varie istituzioni dell’Associazione di Carità, come la colonia agricola, che don Cocchi dirigeva a Moncucco (oggi in provincia di Asti) e che nel 1878 fu «rifondata» dal Murialdo su basi migliori a Rivoli, presso Torino; in quello stesso anno egli aprì a Torino una casa famiglia per giovani operai, poi estesa anche agli studenti: era la prima in Italia e si modellava su vari esempi visti in Francia; seguì, nel 1881, la fondazione di un nuovo istituto a Volvera (Torino): accoglieva i ragazzi più piccoli, prima che potessero iniziare l’apprendimento del mestiere agli Artigianelli o nella colonia agricola. Dall’epoca della nomina a Rettore (1866) fino alla fondazione della casa di Volvera erano trascorsi quindici anni, durante i quali il Murialdo aveva migliorato le istituzioni già esistenti prima del suo arrivo e ne aveva fondate di nuove.
Quello dell’Associazione di Carità era ormai un complesso articolato ed insieme armonico, in grado di venire incontro in modo abbastanza duttile ai bisogni dei ragazzi poveri e abbandonati, accompagnandoli dalle classi elementari (Volvera), attraverso la formazione professionale (Collegio Artigianelli, colonia agricola), fino all’inserimento nel mondo del lavoro (casa famiglia).
Nell’Unione Operaia Cattolica
Un altro settore di impegno per il Murialdo fu quello del nascente movimento cattolico. Egli collaborò anzitutto con l’Unione Operaia Cattolica, fondata a Torino il 29 giugno 1871 principalmente per iniziativa del giornalista Stefano Scala, con l’appoggio di alcuni altri laici e di qualche sacerdote. L’Unione era suddivisa, a Torino, in varie sezioni parrocchiali (coordinate dal Consiglio centrale) ed aveva contatti con le unioni di operai cattolici che man mano sorgevano in altri paesi e città al di fuori del capoluogo piemontese (sotto l’impulso del Comitato promotore).
Don Reffo, suo primo biografo, scrive che il Murialdo cominciò a frequentare l’Unione Operaia Cattolica, vi si iscrisse e «prese a favorirla» fin dai suoi primi inizi e che «quando cominciò in Italia l’agitarsi dei cattolici per un’azione vigorosa ed efficace, egli poteva a ragione essere considerato come uno dei primi a promuovere quell’agitazione salutare e a farsene apostolo».
All’interno dell’associazione egli divenne nel 1876 assistente ecclesiastico del Comitato promotore e nel 1880 membro del Consiglio centrale, mantenendo l’incarico di assistente o viceassistente fino al 1891.
Oltre ad intraprendere varie attività comuni ad altre società di mutuo soccorso liberali o socialiste di quel tempo, l’Unione Operaia Cattolica diede vita nel 1876 ad un foglio mensile intitolato «Unioni Operaie Cattoliche», divenuto nel 1883 «La Voce dell’Operaio» e trasformato in settimanale nel 1895; nel 1933 assunse il titolo «La Voce del Popolo» ed ancora oggi esiste con la testata «La Voce e il Tempo».
Per la stampa di orientamento cristiano
L’attività del Murialdo si estese anche all’Opera dei Congressi. Egli fece parte del Comitato regionale piemontese, all’interno del quale si dedicò soprattutto al settore della stampa cattolica e delle biblioteche popolari. Partecipò ad alcuni congressi italiani (Firenze nel 1875 e Napoli nel 1883) e a vari congressi francesi, oltre che ai congressi regionali piemontesi, ad uno ligure e a qualche adunanza diocesana.
A lui, e a pochi altri suoi collaboratori, risale la fondazione a Torino nel febbraio 1883 dell’Associazione San Carlo per la diffusione della buona stampa. Durante il sesto congresso cattolico italiano (Napoli, 1883) egli tentò poi di avviare una federazione o Lega fra le varie società per la diffusione della buona stampa. Qualche mese più tardi (gennaio 1884), il Murialdo dava vita al bollettino mensile «La Buona Stampa», organo dell’Associazione San Carlo di Torino, ma anche foglio di collegamento della neonata Lega, alla quale frattanto avevano aderito le società di Roma, Napoli, Venezia, Ancona, Genova, Palermo, Milano e Savona, oltre naturalmente a Torino, società promotrice.
La fondazione della Congregazione di San Giuseppe
Dal 1885 in poi il Murialdo si dedicò quasi esclusivamente alla direzione delle sue opere educative ed alla cura e allo sviluppo della famiglia religiosa (Congregazione di San Giuseppe) che egli stesso aveva fondato il 19 marzo 1873 per i ragazzi poveri e abbandonati e anche per assicurare continuità al Collegio Artigianelli e alle altre opere dell’Associazione di Carità.
La congregazione prendeva nome da san Giuseppe perché, in tempi di sensibilizzazione ai problemi del mondo operaio, vedeva in lui l’artigiano e il «custode» di Gesù fanciullo e adolescente, e quindi il modello di ogni educatore, specialmente di chi si dedicava all’apostolato in mezzo ai giovani lavoratori e ne voleva imitare l’umiltà, la carità, la laboriosità.
Campo di attività dei primi confratelli (i «Giuseppini») erano dunque le opere dell’Associazione di Carità e le altre che man mano il Murialdo venne fondando: l’oratorio del Sacro Cuore a Rivoli, presso Torino (nel 1880), e i patronati (cioè oratori per ragazzi) di Venezia (1883), Oderzo (1889), Vicenza (1890), Bassano (oggi Bassano del Grappa, 1891), Rovereto (1894), Correggio (1897). Nel 1899 egli aprì a Modena il Collegio Sacro Cuore e un altro oratorio a Carpi. Spesso l’attività educativa dell’oratorio era accompagnata da quella della scuola elementare. A Oderzo poi il Murialdo accettò di dare inizio a un «collegio convitto per i giovani di civile condizione», nonostante le forti perplessità sue e di altri confratelli, derivanti dal fatto che «pareva che tale non fosse la missione dei Giuseppini». Egli si piegò alle circostanze e alle richieste del vescovo del luogo, «a condizione che si mantenesse in pari tempo anche il patronato».
La spiritualità e la pedagogia
Frattanto la congregazione andava elaborando, sotto la guida del Murialdo e grazie a don Reffo che ne era l’estensore, i testi legislativi che ne delineavano l’identità spirituale e l’impegno apostolico. Al cuore della spiritualità del Murialdo sta la scoperta gioiosa della misericordia di Dio dopo la crisi giovanile a Savona: attorno a questo centro si unificarono man mano la sua esperienza interiore e l’intera sua esistenza. Questa sua certezza di fede è diventata il carisma che egli intenzionalmente ha voluto trasmettere ai suoi «cari figli e confratelli» affinché ne attingessero «un’incrollabile confidenza» in Dio misericordioso e diventassero diffusori della «conoscenza dell’amore infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutti gli uomini […] e dell’amore personale che egli ha per ciascuno in particolare» (Testamento spirituale). Ne derivò un abbandono gioioso alla volontà di Dio, nelle situazioni ordinarie e straordinarie della vita, nel «momento presente» come «luogo» della scoperta e della risposta all’amore di Dio.
Anche la sua pedagogia venne nutrita e sostenuta da queste convinzioni. I destinatari della sua attività educativa furono i ragazzi e i giovani delle classi popolari: «poveri e abbandonati: ecco i due requisiti che costituiscono un giovane come uno dei nostri, e quanto più è povero ed abbandonato, tanto più è dei nostri».
Il Murialdo trascorse gli ultimi anni dedicandosi ai ragazzi delle sue istituzioni e al governo della congregazione, mentre la sua fibra andava indebolendosi, a causa delle numerose ricadute, fino all’ultima malattia, quella che lo condusse alla morte, avvenuta il 30 marzo 1900. Fu beatificato il 3 novembre 1963 e proclamato santo il 3 maggio 1970. La sua festa liturgica cade il 18 maggio.