LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Sampierdarena
La seconda Valdocco
Il cuore di don Bosco si allarga
Il 26 ottobre 1871 don Albera, due giovani salesiani, tre capi laboratorio ed un cuoco partono per Genova. Al momento di partire don Bosco aveva con affetto raccomandato a don Albera, il direttore della nuova opera, di non darsi pensiero di niente e di riporre tutta la fiducia nel Signore. Gli chiese poi se avesse bisogno di qualche cosa. “No, signor don Bosco – rispose – La ringrazio, ho con me 500 Lire”. E don Bosco: “Non è necessario tanto denaro. Non ci sarà la Provvidenza a Genova? Va’ tranquillo, la Provvidenza penserà anche a te”. Si prese le 500 Lire e gli lasciò una somma molto inferiore. E la Provvidenza non mancò.
Alla stazione di Genova non trovarono nessuno ad attenderli. I Salesiani chiesero informazioni ai passanti e raggiunsero la casa loro destinata. In novembre si accolgono i primi giovani. A sceglierli sono i soci della San Vincenzo. Saranno i primi apprendisti calzolai.
Don Bosco riceveva molte richieste per opere simili ma, tranne due eccezioni di poca durata, non volle più aprire istituti nei piccoli centri. Perciò aveva orientato le sue scelte in base a condizioni geografiche e sociali che consentissero di valorizzare nel miglior modo possibile il suo ideale educativo.
Ciò lo portò a rinunciare alle opere poste nei piccoli centri e ad indirizzarsi verso quelle situate nei quartieri popolari dei capoluoghi e in importanti aree di provincia.
L’esperienza originaria dell’Oratorio di Valdocco, situato in uno dei quartieri periferici di pieno sviluppo della città e caratterizzato da seri problemi sociali, aveva conferito alla persona e all’opera di don Bosco un’immagine e un ruolo ben definiti: egli era al servizio dei giovani poveri e abbandonati di ceto popolare delle periferie cittadine con un metodo educativo innovativo e di grande efficacia. L’espansione dell’opera fuori Torino avrebbe dovuto seguire lo stesso modello.
Sampierdarena sembra segnare un nuovo indirizzo che non mira solo a rispondere alle richieste dei comuni, ma innanzitutto all’appello della Chiesa a favore di scuole e associazioni giovanili cattoliche.
Da sempre don Bosco aveva voluto fondare in Liguria una casa o un ospizio per i ragazzi poveri. Finalmente poté realizzare il suo progetto con l’aiuto delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e del marchese Giuseppe Cataldi (1809-76), banchiere e senatore, che gli affittò la propria villa in disuso a Marassi per 500 Lire l’anno.
Presto il numero degli iscritti superò la capienza della casa, che oltretutto era collocata in posizione scomoda, a qualche chilometro dal centro città. Perciò l’anno successivo (1872) don Bosco cercò un luogo più adatto. Grazie all’interessamento dell’arcivescovo di Genova, monsignor Salvatore Magnasco, con l’aiuto delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e il permesso della Santa Sede, acquistò l’antico monastero dei Teatini e la grande chiesa in rovina. Il complesso si trovava a Sampierdarena, sobborgo di Genova popoloso e in via di sviluppo, che somigliava molto ai quartieri torinesi di Borgo Dora e Valdocco.
La proprietà costò a don Bosco 37.000 lire. Per il restauro della chiesa e dell’edificio riuscì a raccogliere una cifra analoga rivolgendosi al clero, alla nobiltà e alla ricca classe media. In tal modo poté aprire l’orfanotrofio (ospizio) San Vincenzo de’ Paoli, i laboratori e l’oratorio festivo, più tardi anche le scuole primarie e secondarie e il seminario per le vocazioni adulte (Opera di Maria Ausiliatrice). Con un personale giovane ed appassionato, guidato da don Albera, l’istituto di Sampierdarena prosperò e divenne la “Valdocco della Liguria”, un’opera più simile e completa delle altre due precedentemente aperte in Liguria: Alassio e Varazze. Quando nel 1881 venne istituita l’Ispettoria ligure-toscana, divenne anche sede provinciale.
E continuò a crescere
Il “Don Bosco” di Sampierdarena ha segnato profondamente la vita e la storia del quartiere vivendo in simbiosi con la sua gente gioie e dolori, due guerre, la fatica della ricostruzione, la migrazione interna dal Meridione d’Italia, la migrazione dall’Africa, dall’Asia e dall’Est Europa e, dal 1996, lo stanziamento massiccio dei latino americani…
Sono passati oggi 150 anni e Sampierdarena si è dimostrata una scelta giusta, per la sua vocazione operaia e industriale. Un terreno ricco di futuro per i ragazzi di don Bosco che, sempre più numerosi, hanno costretto a pensare e ripensare le strutture in funzione dei sempre nuovi sbocchi di lavoro.
La caratteristica prevalente fu la scuola di Arti e Mestieri. Seguendo poi l’evoluzione della scuola in Italia si succedettero il ginnasio, l’avviamento, la scuola media e le classi della qualifica professionale che preparava operai richiesti dal mondo del lavoro.
Nel 1963 nacque l’Istituto Tecnico Industriale, per meccanici; poi si aggiunsero gli elettrotecnici, poi gli elettronici, poi gli informatici. Fino a non molti anni fa, come attesta la memoria dei Salesiani più anziani che da tanti anni vivono nell’Opera, le grandi industrie genovesi si premuravano di chiedere gli elenchi dei ragazzi ancor prima che finissero i loro studi per assumerli subito nel mondo del lavoro.
Il passaggio di Genova da città industriale a città di servizi e la riforma scolastica che sembrava privilegiare i Licei hanno fatto sì che nel 1991 nascessero anche un Liceo Scientifico ed un Liceo sportivo.
Nel 1998 nasce “L’Albero Generoso” scuola primaria e con lui il “nido”, la scuola dell’infanzia, e si consolida la scuola secondaria di primo grado.
E per concludere nel 1999 nasce l’importantissimo Centro di Formazione Professionale oggi fiore all’occhiello dell’intera Opera ed unica realtà con Genova Quarto dove permane la presenza salesiana egregiamente condotta da un gruppo di laici della Famiglia Salesiana.
L’oratorio e la parrocchia sono vivacissimi, multietnici e molto frequentati. La parrocchia con oltre 15 000 fedeli e con una presenza massiccia di stranieri ha costruito nel tempo una bella comunità. La partecipazione alle varie attività della Chiesa è tangibile. Hanno una percentuale buona la partecipazione alla Liturgia Domenicale, la ricerca per le confessioni e la vita cristiana e comunitaria in generale.
Tre domande al Direttore, don Sergio Pellini
Che cosa ti dà maggiore soddisfazione?
La gioia più grande e che mi dà soddisfazione è sentirsi parte attiva di un sogno di don Bosco che continua ancora da 150 anni in questa città, con questi giovani e validi collaboratori. La stima e l’apprezzamento per questa Opera e per il carisma che passa anche per le nostre povere persone ci riempie il cuore e ci rende sempre più appassionati come comunità educativa a continuare a servire e ad amare.
Come sono i giovani che frequentano l’opera?
La nostra realtà territoriale è multietnica, situata in un quartiere popolare, povero e bisognoso di iniziative educative costanti e creative. L’Opera è aperta a tutti senza rinunciare alla nostra identità e i giovani non mancano! Occorre esserci, essere presenti in cortile e cogliere nella spontaneità il punto su cui far leva per orientare al bene.
Quali sono i progetti per il futuro?
Innanzitutto continuare il sogno di don Bosco a Genova con una presenza di consacrati ma coinvolgendo maggiormente in una corresponsabilità i laici collaboratori.
Lavorare sempre con un’attenzione particolare per i più poveri e cercare di rendere l’Opera adeguata e sostenibile alle esigenze attuali e future.
Operare maggiormente in rete.
Preparare il prossimo 150° (11 settembre 2025) anniversario della prima spedizione missionaria.
Coinvolgere amici e benefattori nel progetto di un Polo Culturale Giovanile non solo con la scuola ma anche con la ripresa del teatro, del Cinema e della Musica.
Offrire un’esperienza vocazionale significativa per giovani e adulti. In 150 anni la nostra Opera ha sfornato più di 300 vocazioni religiose e sacerdotali.
Progetti ambiziosi ma non impossibili a Dio se rientreranno nella Sua Volontà. Questa Opera salesiana è disponibile a queste sfide. La guida di Maria Ausiliatrice ci sosterrà e ci indicherà le vie da seguire!
“CANTAVANO BELLISSIME LODI”
Don Albera, seguendo l’esempio e i consigli di don Bosco, ebbe grande fiducia nella Provvidenza. Fu uno squisito ed intelligente educatore. Mise in atto per l’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli le sue doti di organizzatore, costruttore e animatore spirituale e soprattutto la sua bontà. I giovani ed i confratelli sentivano in lui il padre sensibilissimo alle loro svariate necessità, la pietà che trascina al bene, la mente colta, aperta che intuiva le loro disposizioni psicologiche e ad esse si conformava nel porgere ad ognuno il suo aiuto. Una conferma indiretta la troviamo in una lettera di don Domenico Canepa che ricorda, dopo cinquant’anni, i primi momenti di vita dell’Opera. Ragazzetto, Domenico abitava nei pressi della casa di Marassi. “Ricordo quando don Albera e i suoi compagni giunsero a Marassi. Noi guardavamo con una certa diffidenza i nuovi venuti. Forse a cagione del vicino Istituto di discoli nella vallata del Bisogno si applicò tale qualifica anche a loro che venivano raccomandati dalla conferenza: ciascuno però si convinse che tale nomignolo non conveniva punto. Con meraviglia e con senso di piacere si osservava la familiarità che esisteva fra Superiori e alunni; conversavano, giocavano insieme e alla sera sul terrazzo cantavano bellissime lodi alla Madonna che immensamente piacevano agli abitanti del vicinato e il cui eco saliva gradito fino al Santuario delia Madonna del Monte, sito quasi in faccia all’Ospizio. La nostra meraviglia più grande era specialmente vedere quei giovani giocare o passeggiare in mezzo ai filari, senza che provassero la tentazione di staccare qualcuno dei magnifici grappoli d’uva.”
II giovane della lettera è un orfanello che lavorava presso uno zio accanto all’Opera salesiana. Una sera, verso la fine dell’anno, stava scalzo, in maniche di camicia, appoggiato alla porta dell’Ospizio. Si sentì improvvisamente toccare sulla spalla da don Albera che gli disse: “Vuoi venire con me?” “Sissignore”, rispose. Don Albera parlò con lo zio del ragazzo e se lo portò a Sampierdarena ove divenne salesiano. Ordinato sacerdote, fu uno tra i più cari a don Bosco negli ultimi anni della sua vita e zelante maestro di noviziato in Italia e in Francia.
Domenico Canepa fu iI secondo sacerdote salesiano genovese dopo don Lemoyne.