LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
A CURA DI FRANCESCO MOTTO E GIORGIO ROSSI
«Sacra Real Maestà»
«Ho sempre avuto bisogno di tutti» ripeteva don Bosco. Anche del re.
Intraprendere la via del sacerdozio per il nostro Giovanni Bosco non è stata una scelta facile. Non tanto perché non vi si sentisse chiamato – aveva dalla sua parte, fra l’altro, dei segni dall’Alto – ma perché vi era un problema serio da affrontare: i costi economici per i numerosi anni di studi seminaristici. Confidando nella Provvidenza, nell’ottobre 1835 entrò in seminario a Chieri. La madre Margherita gli provvide un piccolo corredo e versò, probabilmente con beni in natura, quello che poteva per la pensione ed i libri. Ma Giovanni fece la sua parte. Per tutti i sei anni del seminario (1835-1841) all’esame semestrale si meritò il premio di 60 lire che veniva dato a chi “in ogni corso riportava i migliori voti nello studio e nella condotta morale”. Nel secondo anno poi come sacrista si impegnò pure nella “cura della nettezza della chiesa, della sacristia, dell’altare, e tenere in ordine lampade, candele, gli altri arredi ed oggetti necessari al divin culto”; e così si meritò altre 60 lire. L’altra metà pensione poi la pagava l’amico e conterraneo don Giuseppe Cafasso.
In vista della meta
Procedendo negli studi seminaristi ebbe bisogno di altro denaro e pensò bene di rivolgersi nientemeno che al re. Al momento la “Sacra Real Maestà” del regno di Sardegna portava il nome di Carlo Alberto di Savoia, che sarebbe passato alla storia come il “re tentenna” ma anche come il primo tra i capi di Stato italiani preunitari a concepire il disegno di unificare la penisola. Non sarebbe riuscito nel suo disegno – si autoesiliò dopo la sconfitta di Novara contro gli austriaci nella prima guerra di Indipendenza del 1848 – ma pochi mesi prima aveva dato al suo Regno la carta costituzionale che sarebbe poi stata conservata dal Regno d’Italia per quasi un secolo fino alla proclamazione della Repubblica a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Ora dagli archivi della Grande Cancelleria di Torino sono emerse recentemente tre lettere a lui indirizzate dal seminarista Giovanni Bosco. Ecco di che si tratta.
La prima è del gennaio 1838 e in essa il chierico Bosco chiedeva alla cassa del Re un sussidio per pagare la pensione dell’anno di seminario e per procurarsi indispensabili effetti personali. Scrisse:
Sacra Real Maestà, Il chierico Bosco Gioanni allievo del Seminario di Chieri, essendo privo di padre e quasi affatto di beni di fortuna, stretto dal bisogno tanto per pagare la pensione, e per provvedersi abiti quali sono mantello, veste etc., ricorre umilmente alla Maestà Vostra supplicandola d’un sussidio onde provvedersi nelle sue strettezze, e seguire la carriera in cui le sembra essere da Dio chiamato.
Avuto probabilmente un esito positivo, ripresentò analoga domanda un anno dopo, nel febbraio 1839. Vi aggiunse però un particolare significativo sulla famiglia: non poteva “sperare alcun soccorso dai propri parenti mentrecché essi devono procacciarsi il vitto a servizio altrui”.
La terza richiesta è del marzo 1840 e per la sua importanza merita di essere trascritta per intero:
Sacra Real Maestà, Il chierico Bosco Gioanni del fu Francesco di Castelnuovo d’Asti studente già da cinque anni nel venerando Seminario di Chieri, avendo trovato persona benefica che gli costituisce il patrimonio ecclesiastico, per essere sprovvisto di che concorrere alle spese che vi si ricercano: Supplica umilmente V. S. R. M. a volersi degnare di concedergli un caritatevole sussidio, onde corrispondere alle spese di detta costituzione patrimoniale, come pure per pagarsi l’annua pensione, e procurarsi altre cose che ad un chierico sono indispensabili; e ciò tutto a fine di poter perseverare nello intrapreso stato eccl.co a cui giudica essere unicamente da Dio chiamato. Umiliandosi al real trono rispettosamente si dice.
Il supplicante
[chierico Gioanni Bosco]
Ma di che si trattava? Per essere ordinato suddiacono – uno dei passaggi fondamentali per entrare fra il clero e diventare poi sacerdote – il seminarista doveva disporre di un certo patrimonio ecclesiastico, la cui rendita potesse servirgli a vivere degnamente. In quegli anni tale rendita doveva collocarsi fra le 230 e le 384 lire annue. Purtroppo la rendita complessiva dei beni di Giovanni pure assommati a quelli del fratello Giuseppe era semplicemente di 125 lire. Ma con la messa a sua disposizione di alcuni beni immobili del conterraneo Giovanni Febbraro, (don) Bosco poté raddoppiarlo, e giungere a un reddito annuo di lire 292. Vi erano ulteriori spese al riguardo: occorreva formalizzare tale costituzione di patrimonio con un atto notarile, il che aveva un costo non indifferente. Si comprende allora il suddetto fiducioso appello al re Carlo Alberto.
L’esito delle tre richieste
Non è dato sapere; con molta probabilità vennero tutte accolte. Di certo rimane il fatto che il 23 marzo 1840 dai due fratelli Bosco e dal sig. Giovanni Febbraro venne firmato l’atto notarile della costituzione del patrimonio ecclesiastico del chierico Bosco nello studio del notaio Carlo Razzini a Buttigliera d’Asti. E così il nostro Giovanni nel breve volgere di poco più di un anno poté ricevere nell’ordine il suddiaconato, il diaconato e il presbiterato.
Don Bosco non mancherà successivamente di avere fiducia nell’aiuto economico della famiglia Savoia, a cominciare dal re Vittorio Emanuele II: a loro chiese soprattutto doni per le sue numerose lotterie e l’acquisto di un certo numero di relativi biglietti. In linea di massima la famiglia reale, tanto nella componente maschile che femminile, rispose positivamente. E così anche successivamente furono buoni i loro rapporti con i salesiani, facendosi i Reali presenti personalmente o per interposta persona in determinate circostanze in alcune case salesiane d’Italia.
Da ricordare soprattutto è il fatto che nella solenne cerimonia della canonizzazione di don Bosco nella basilica vaticana il giorno di Pasqua 1934 il principe Umberto II (ultimo re d’Italia nel 1946) sedesse in prima fila, al lato del trono papale. Ovviamente quella dei cosiddetti “funerali a corte” del 1854 è tutta un’altra storia.