SENZA FRONTIERE
Giampietro Pettenon - Foto Ester Negro
Ruanda
Tutta un’altra Africa piena di speranza salesiana.
Venite a vedere con i vostri occhi se non ci credete.a pandemia ci ha impedito per un bel po’ di tempo di andare a far visita alle opere salesiane sostenute da Missioni Don Bosco, ma finalmente abbiamo ripreso a viaggiare e siamo arrivati in Ruanda. L’ingresso in questo paese è relativamente facile e sicuro perché le autorità locali hanno adottato protocolli di sicurezza contro il diffondersi del contagio, per i propri cittadini e per coloro che desiderano entrare in Ruanda, che l’hanno reso uno dei paesi più sicuri a livello mondiale. E non è l’unico primato che detiene il Ruanda. La capitale Kigali ha vinto il premio di città più pulita dell’Africa… e anche di tante città italiane, dico io!
Strade con asfalto senza nessun rattoppo; di buche nemmeno l’ombra; aiuole fiorite e piante perfettamente potate ai bordi delle strade; marciapiedi senza inciampi e passaggi pedonali ben segnalati. Sembra di stare in Alto Adige. Altro che le metropoli caotiche e infernali di Nairobi, Lagos o Il Cairo.
Effettivamente il piccolo paese – il Ruanda è poco più grande del Piemonte – posto nella zona dei Grandi Laghi, sulla linea dell’Equatore, sta vivendo uno sviluppo economico del tutto particolare, pur non possedendo le immense ricchezze naturali del vicino Congo.
Una storia triste
Purtroppo il Ruanda ha anche un primato di atrocità che poche volte nella storia si è verificato. Il genocidio del 1994, chi di noi non è più giovanissimo lo ricorda molto bene, è un fatto di cronaca che è difficile anche solo da raccontare. In soli 100 giorni si stima che morirono sotto i colpi di fucile, ma soprattutto di macete e bastoni chiodati, un milione di persone, in particolare donne e bambini. Le due etnie del posto: gli hutu e soprattutto i tutsi hanno visto morire nel sangue i propri genitori, i fratelli, i figli. Spesso si sono verificati massacri all’interno della stessa famiglia o fra vicini di casa. Sono morti anche preti e suore che cercavano di salvare i loro fedeli. Ma al contempo ci sono stati anche uomini e donne di chiesa che sono stati parte attiva nei massacri. Del tutto inconcepibile, per noi che ascoltiamo e leggiamo questi racconti drammatici.
Il genocidio in Ruanda è stato uno shock collettivo che a distanza di 27 anni fatica ad essere superato.
In quella occasione l’onu ha costretto i missionari salesiani europei a salire su un aereo e mettersi in salvo in Belgio. Ma i salesiani bianchi hanno risposto che su quell’aereo della salvezza sarebbero saliti solo se vi facevano entrare anche i confratelli salesiani africani, oppure sarebbero rimasti a condividere la sorte che sarebbe loro toccata, tutti insieme. Fu così che li portarono in salvo tutti e che appena le condizioni di sicurezza lo permisero, ancora una volta insieme, fecero ritorno in Ruanda. Trovarono le opere salesiane devastate e completamente saccheggiate. Si dovette ricominciare tutto daccapo.
Una macchina da cucire
Abbiamo visitato l’opera salesiana di Butare, una città a sud del Ruanda, vicina al confine con il Burundi. Qui i salesiani hanno una grande parrocchia con una chiesa appena costruita, grazie all’intervento principale dei parrocchiani, di dimensioni degne di una cattedrale. Poi c’è il centro di formazione professionale che prepara cuochi, saldatori, falegnami, muratori, parrucchiere, sarte e c’è anche il Noviziato salesiano. È la casa di formazione nella quale vivono, studiano e pregano i giovani che si preparano ad essere salesiani consacrati nella Congregazione Salesiana. Questo anno i novizi sono 16 giovani dai venti ai trent’anni provenienti da Uganda, Burundi, Ruanda e Centro Africa.
Il popolo ruandese è ordinato e pulito. Non alza la voce quando parla, è rispettoso delle regole. In periferia delle città, così come nelle aree rurali, le condizioni di vita non sono facili. C’è povertà ma non miseria. E la povertà è vissuta con dignità.
Proprio a Butare mi hanno colpito tre situazioni di povertà silenziosa e quasi nascosta in cui i salesiani cercano di fare il possibile per aiutare questi sfortunati.
Girando fra i laboratori del nostro centro di formazione professionale ho sentito un bambino piccolo piangere. Ho chiesto ironicamente al direttore se avevano aperto anche l’asilo. Non ha risposto a parole ma ci ha accompagnato in una sala grande adattata a laboratorio di taglio e cucito. C’erano una ventina di ragazze madri che imparavano a fare le sarte, ovviamente con i loro figli piccoli accanto. Sono proprio ragazze di 16, 18 al massimo 20 anni che, illuse da un fidanzato con la promessa di un matrimonio, una volta saputo che erano incinte si è dileguato. Ci hanno ringraziato infinitamente per la possibilità di imparare un lavoro che le possa rendere autonome e in grado di mantenere la piccola creatura che spesso hanno ancora attaccata al seno. Una di loro, a nome di tutte, ha osato anche chiedere un ulteriore piccolo aiuto per avviare l’attività di sartoria una volta concluso il corso di formazione. Una macchina da cucire a pedale costa 100 euro. Per noi sono una somma accessibile a molti, per loro rappresenta un capitale quasi impossibile da trovare. È già tanto se riescono a racimolare qualcosa per comprarsi da mangiare e per l’igiene personale e del loro bambino.
«Fra poco comincio a lavorare»
Camminando in strada per andare dalla casa salesiana a visitare la nuova grande chiesa parrocchiale, si avvicina un giovane mingherlino a Hubert – il salesiano che ci accompagna. Lo chiama per nome e gli dice: “Padre, non mi riconosci? Sono Petit”, il nomignolo datogli dai salesiani 10 anni prima quando, orfano dei genitori e vivendo con la sola nonna, gironzolava tutto il giorno per la strada e nei cortili della casa salesiana. “Vedi padre, ora ho 17 anni. Non sono più sporco e vestito male come allora. Non sono più un ragazzo di strada. I salesiani mi hanno iscritto gratuitamente al corso di carpenteria metallica presso il centro di formazione professionale e fra poco comincio a lavorare e a mantenere anche la nonna” e tutto orgoglioso ci presenta altri amici come lui – che hanno solo una parvenza di famiglia – e che sono avvicinati e aiutati come possibile proprio dall’opera salesiana di Butare.
Infine, nel laboratorio di cucina del centro di formazione professionale salesiano intervistiamo due ragazze: Nadine e Airenne – due sorelle ventenni – che scopriamo essere profughe burundesi fuggite con il fratello dopo la guerra scoppiata negli ultimi anni. Dal Burundi varcare il confine con il Ruanda ed arrivare a Butare è relativamente facile. La loro fortuna è stata quella di incontrare don Bosco che le aspettava al di là del confine del loro paese. E a don Bosco e ai loro figli sono estremamente grate perché, hanno ribadito entrambe, dandoci la possibilità di frequentare il corso per diventare cuoche, ci ha ridato la fiducia in noi stesse e la speranza nel futuro.
La nostra visita alle opere salesiane del Ruanda è iniziata da Butare, al sud del paese, ma ora ci avviciniamo alla capitale.
A scuola in barca
Ad una trentina di chilometri in direzione della Tanzania, ad est, c’è il lago di Muhasi. È incuneato in un lungo fondovalle abbastanza stretto e tortuoso. Lì, dalla fine degli anni ’60, i salesiani hanno una proprietà proprio in riva al lago, che hanno destinato a casa di soggiorno per campi scuola e ritiri spirituali. Il silenzio, le acque tranquille, gli uccelli variopinti che nidificano sui canneti a bordo dell’acqua e che ti accompagnano nella meditazione con il loro canto, sono gli ingredienti di questo pezzo di Paradiso.
Siamo però in una zona rurale in cui la strada asfaltata non è ancora arrivata. Molti ragazzi di quella zona non frequentano la scuola per mancanza di mezzi di trasporto e a causa della povertà della famiglia. Per questo i salesiani hanno avviato ormai da una ventina d’anni un bel centro di formazione professionale frequentato da circa 200 giovani. Una parte di loro vive sulla riva opposta del lago. Per loro è stato istituito un servizio di traghetto con una bella barchetta che in pochi minuti permette di passare da una parte all’altra del lago. Così questi ragazzi non sono ulteriormente isolati, ma accedono anch’essi alla formazione professionale.
In Ruanda i corsi di formazione professionale durano ordinariamente un anno. Ma in quel centro durano invece due anni, e per alcuni allievi anche tre anni. Molti ragazzi e ragazze di quindici, anche diciotto anni, si iscrivono ma non sanno leggere e scrivere. Per questi allora vi è un anno propedeutico di alfabetizzazione. Poi iniziano i corsi di cucina, di costruzioni e di sartoria.
Investire nell’educazione
Continuiamo il nostro viaggio verso la capitale e arriviamo a Kigali, nel quartiere popolare di Gatenga. Un oratorio immenso e pieno di aree verdi è a servizio di questa parte della città. Lo frequentano fino a duemila ragazzi ogni giorno. Anche qui troviamo la formazione professionale in pieno sviluppo. Un progetto finanziato dal governo tedesco – con la costruzione di aule e laboratori – prevede di poter raddoppiare gli allievi ed offrire un tirocinio pratico accanto al centro di formazione professionale, nel settore turistico alberghiero. Sì, perché nel progetto è contemplato anche un piccolo hotel immerso nella natura, nel quale potranno esercitarsi i nostri allievi.
Arriviamo infine al centro della città, in un elegante quartiere residenziale dove ha sede la casa madre dei salesiani in Ruanda, cioè la prima opera salesiana fondata dai figli di don Bosco. Siamo nel 1964. Il Ruanda era, insieme a Burundi e Congo, una colonia del Belgio e da Lubumbashi un gruppo di missionari belgi sono invitati da un re locale ad aprire una scuola a favore dei ragazzi del Ruanda. Il re mette a disposizione un ampio appezzamento di terra. A quel tempo non era sufficiente avere il terreno per le costruzioni e i cortili, ci voleva anche una zona da coltivare per dar da mangiare ai ragazzi. Nasce così la scuola di Kimihurura, ancor oggi molto conosciuta ed apprezzata dalla gente della capitale. La frequentano più di 600 ragazzi e ragazze della scuola materna, elementare e superiore. C’è anche il convitto scolastico maschile che ospita 200 ragazzi della scuola superiore. Nei giorni della nostra visita è stata pubblicata la graduatoria delle migliori scuole superiori del Ruanda. La nostra scuola salesiana si è piazzata fra le prime cinque nel settore della matematica. Una grande soddisfazione ed un riconoscimento pubblico allo sforzo quotidiano di salesiani ed insegnanti laici che con amore e tanta competenza preparano i ragazzi migliori del paese.
Visitando la scuola abbiamo trovato in una zona un po’ appartata, una stele con 71 nomi scritti e divisi per categoria e per cognome. Ci sono nomi di insegnanti e cognomi di intere famiglie. Sono le vittime del genocidio del 1994 che furono uccise proprio nell’opera salesiana.
Mi ha però consolato trovare nella scuola salesiana a Kigali, vicino alla lapide dei morti, una scritta di speranza che ci incoraggia molto nel nostro servizio educativo a vantaggio della gioventù: Investire nell’educazione, è investire sulla pace.