BS Giugno
2023

DON BOSCO NEL MONDO

SANTIAGO VALDEMOROS E JUAN JOSÉ CHIAPPETTI (BOLETIN SALESIANO)

Pietà per Haiti

Povertà, criminalità, cattivo governo stanno strangolando una popolazione stremata dai disastri climatici.
Ma i salesiani restano!

Intervista a Padre Attilio Stra

Padre Attilio Stra, piemontese (di Cherasco), missionario salesiano nella metà dell’isola di Hispaniola colonizzata dai Francesi (l’altra metà, dagli Spagnoli, è la Repubblica Dominicana) è fra coloro che da oltre quarant’anni resistono ad ogni peggioramento. Terremoti e tifoni sono stati devastanti; le crisi sanitarie che ne sono derivate hanno trovato risposte sempre inadeguate per la popolazione colpita. Ma causa ed effetto di ognuno di questi momenti estremi risiedono nell’assenza di un’autorità governativa in grado di organizzare il soccorso come la normale amministrazione. Quando ai vecchi invasori si sono sostituiti i governi degli Stati Uniti, la dipendenza dai poteri lontani e dai corrotti locali si è portata al livello più alto, dal quale sembra non sia possibile scendere.

Ci vorrebbe un miracolo, per venire fuori da questo intreccio di povertà, violenza, criminalità, condizionamenti esterni” confida padre Attilio. Questo pensiero sembra scontrarsi con l’ottimismo di Missioni Don Bosco – organismo che insieme ad altri sostiene da Valdocco le 13 opere salesiane di Haiti – quando parla dei “miracoli” che avvengono attraverso i missionari. L’impegno profuso dai salesiani per l’emergenza del 2010, quando un terremoto di magnitudo 7 colpì gravemente anche la parrocchia, gli oratori e le scuole causando oltre 300 vittime fra bambini, ragazzi ed educatori, si è rinnovato due anni fa a seguito di un nuovo fenomeno sismico; in mezzo si è infilato nel 2016 l’uragano Mattew, portatore di ulteriori morti e distruzioni.

Ma il miracolo è che 70 membri della congregazione rimangano ancora oggi ad Haiti. Le case con l’insegna di Don Bosco sono un rifugio per migliaia di adolescenti i quali, per strada o nei bar, si troverebbero a contatto con i reclutatori di spacciatori ed estorsori. Nonostante questo, o forse proprio per questo, gli stessi salesiani non vengono esclusi dai rapimenti di breve durata, quelli che servono a racimolare soldi facili in cambio del rilascio delle vittime. Bande criminali infestano le strade, nessun governo riesce a contrastarle. O – qualcuno suggerisce – sono proprio alcuni uomini di potere ad avvalersi di squadre armate per assicurarsi incolumità e controllo dei commerci. Anche quello di armi, che affluiscono insieme al petrolio a Port-au-Prince, e con gli occhi chiusi della Polizia iniziano il loro percorso per il Paese. Il potere politico, sotto minaccia costante dei signori del crimine, non può evolvere in senso positivo ma ne diventa necessariamente complice.

 «I salesiani hanno iniziato a lavorare ad Haiti nel 1935, in risposta alla richiesta del governo haitiano di istituire una scuola professionale. Da allora, hanno ampliato il loro lavoro fino ad includere 11 centri educativi principali e più di 200 scuole in tutto il Paese».

 

La presenza salesiana ad Haiti risale al 1935, quando il governo di Port-au-Prince avvertì l’esigenza di istituire un serio percorso formativo per i tecnici che occorrevano allo sviluppo del Paese. L’esperienza educativa di don Bosco risultò essere la risposta giusta, tanto che la prima scuola professionale ne generò gradualmente altre. Il gradimento da parte della popolazione e la convenienza per lo Stato fecero sì che nascessero anche scuole per l’istruzione primaria e secondaria, distribuite nelle città di Fort-Liberté, Cap-Haïtien, Les Cayes e Gressier oltre che nella capitale. Attualmente i salesiani sono titolari di oltre 200 plessi capillarmente distribuiti anche nei piccoli centri, nei quali sono coinvolti 25 500 scolari (compresi quelli dell’infanzia). Ci sono poi percorsi formativi per l’agricoltura e per l’accoglienza turistica, istituti superiori per formare insegnanti e addetti alla sanità.

Lo sguardo si è allargato a considerare i bisogni più estesi dei giovani: sono nati così oratori, centri giovanili, corsi per animatori, scuole di calcio e l’estate-ragazzi. Negli ultimi anni i salesiani sono stati chiamati a condividere le emergenze delle famiglie. Uno dei centri più significativi a questo riguardo è la parrocchia dell’Immacolata Concezione a Drouillard, un comune del dipartimento Port-au-Prince. Qui si ebbe un piano di urbanizzazione intitolato “Cité Soleil”, carico di molte promesse come annuncia il suo nome (città del sole). Oggi risulta essere uno dei quartieri più fragili: “l’autorità statale è totalmente assente, molti genitori lottano per garantire un pasto ai propri figli” spiegano i salesiani. La gente sopravvive grazie agli aiuti umanitari, sacchi di riso soprattutto, che affluiscono per il tramite dei missionari: se ne fa garante la Fondazione intitolata al beato Filippo Rinaldi che, in qualità di terzo successore di don Bosco aveva posto i presupposti per lo sbarco della congregazione anche nell’isola caraibica. Don Victor Auguste, economo della Fondazione, spiega: “La sfida più grande in questo periodo è l’insicurezza nel Paese, causata dall’attività delle bande. Gran parte di Haiti è stata chiusa, rendendo difficile per le persone muoversi in sicurezza. I genitori non hanno potuto portare i figli a scuola o partecipare ad altre attività. Siamo riusciti a distribuire cibo anche alle donne anziane che vivono nella comunità, che ne avevano bisogno”.

Un pasto equilibrato serve nelle scuole, come i quaderni e le matite: “Nel Paese, due studenti su tre mangiano raramente a casa la mattina prima di andare a scuola” afferma il direttore Carius Dumé. “Grazie ai piatti caldi distribuiti ai ragazzi, sono migliorati anche i tassi di frequenza alla scuola primaria e al centro di formazione professionale. La cura alimentare ha ricadute positive sull’apprendimento e genera un miglioramento generale nelle nostre scuole e per l’intera comunità”, considerato che uno dei drammi dei genitori che si trovano in situazioni precarie è quello di non poter garantire ai figli una dieta sana e regolare. Un Paese che potrebbe raggiungere la soglia dell’autosostentamento o affacciarsi sul mercato internazionale per lo scambio dei prodotti agricoli rimane sotto la costante minaccia di carestia. Un tempo si producevano ananas anche per l’esportazione, oggi il cibo viene importato.

“Si vive di carità dall’estero” sottolinea padre Attilio Stra. Ma si arriva al paradosso: per ritirare un container di alimentari provenienti dagli Stati Uniti è stato necessario pagare migliaia di dollari di dogana. O, meglio, di tangente ai funzionari che ne consentono lo sblocco prima che la merce vada in scadenza: non sono sufficienti le certificazioni di provenienza e di destinazione dei sacchi; questionari e formulari regolarmente compilati non bastano a superare i blocchi dettati dalle bande, giunte a interferire anche sull’autorità portuale. Situazioni come queste danno idea di quanto la corruzione e la minaccia siano penetrate nella vita degli Haitiani.

Gli architetti del degrado arrivano poi a caricare armi leggere nei container classificati come aiuti umanitari in arrivo a Port-au-Prince, raggiungendo il doppio scopo di rifornire il mercato della violenza nel Paese e di gettare discredito sulle organizzazioni non governative. Tutto sembra concorrere a strozzare la gente comune. Al confine di Stato, la Repubblica dominicana ha schierato l’esercito per bloccare l’ingresso sul suo territorio. Si sta costruendo un muro che dovrebbe impedire il passaggio di profughi. Solamente due volte alla settimana le barriere si alzano per consentire, a chi può, di recarsi ai mercati di tre piccole città di frontiera per la provvista di verdure, frutta, cereali e l’acquisto di prodotti industriali. Non può che derivarne una speculazione economica della quale a fine catena beneficiano imprese con sedi a Santo Domingo, Taiwan, Stati Uniti, Giappone, Europa. “I prezzi sono alle stelle, la moneta locale si svaluta”: l’osservazione del salesiano è incontrovertibile.

«I programmi salesiani sono presenti in tutta Haiti, comprese le città di Port-au-Prince, Fort-Liberté,
Cap-Haïtien, Les Cayes e Gressier. Oggi i missionari salesiani ad Haiti rappresentano la più grande fonte
di istruzione al di fuori del governo haitiano, con scuole che forniscono istruzione a 25 500 studenti della scuola primaria e secondaria.»

 

La condizione delle famiglie preoccupa moltissimo padre Attilio. Su 122 ragazzi che frequentano il centro in cui lui opera, soltanto 3 trovano papà e mamma quando rientrano a casa. “Non dico che i genitori debbano essere sposati regolarmente – e, se cattolici, anche in chiesa – ma che abbiano deciso per la convivenza prima di metter al mondo un figlio, o che il figlio li spinga a vivere sotto lo stesso tetto”. Come in tante altre parti di mondo, la responsabilità di far crescere un neonato piccolo e accompagnarlo fino all’adolescenza ricade sulla madre: ad Haiti la percentuale di donne che si trovano sole con i figli a carico arriva al 97%. “È un vero disastro” commenta il missionario. L’aiuto concreto a queste famiglie spezzate può talvolta arrivare da una zia, da una nonna, da un nuovo compagno che accetta di condividere la fatica quotidiana.

La ricaduta sui minori è prevedibile, ancora ragazzi, si avviano al consumo di droghe. “Fumano e si iniettano di tutto. Sono disposti a compiere qualunque azione che venga suggerita dagli spacciatori. Rubano per poter pagare le dosi” racconta desolato padre Attilio; “la priorità è guadagnarsi la giornata, non vanno certo a scuola in queste condizioni”. Ma se anche avessero intenzione di frequentare una classe, si troverebbero senza insegnanti: questi vengono pagati con ritardi di sei mesi e più, oggi non godono di alcuna garanzia. Maestri e professori vivono la condizione di tutti, hanno famiglia: con che cuore potrebbero andare al lavoro se devono cercare espedienti per poter vivere? È l’evidenza che il nostro interlocutore ci mette di fronte.

Per una popolazione di 12 milioni di persone sono ingaggiati 8000 poliziotti: una forza insufficiente per controllare il territorio, soggetta al ricatto di altre forze armate, quelle dei banditi. È facile così che buona parte degli agenti possa preferire di essere assoldata da privati, da cui ricevono stipendi più alti e compiti più circoscritti, come quello di fare da guardia del corpo quando un boss si deve spostare per le strade. Contrasto allo spaccio? L’ultimo dei pensieri, o la prima preoccupazione per non interferire.

Non c’è una “società civile” ad Haiti, non ci sono basi culturali ed etiche perché questa prenda forza. Le confessioni religiose non riescono a tessere relazioni fra loro per costruire una rete di valori da condividere con la popolazione. Il penultimo presidente Jovenel Moïse venne assassinato nel 2021 ed è difficile che persone integre accettino di rischiare la vita per incarnare le istituzioni repubblicane. L’Onu tenta di imporre un po’ di normalità con le forze armate messe a disposizione dal Brasile, ma sembra proprio senza successo. Tutte le analisi portano a considerare che non esistano vie di uscita, se non per un “miracolo” appunto. Nel frattempo la resilienza di padre Attilio e degli altri missionari è l’unico dato certo.

Informazioni nel sito www.missionidonbosco.org

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