COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
PEDAGOGIA CONTROCORRENTE 4 - Parole orizzontali e parole verticali
Il potere delle parole è enorme! Dire una parola, infatti, è trasmettere un pensiero, un sentimento, un valore. Ecco perché la parola è il più ricco allattamento psicologico!
Vi è una differenza enorme tra un ragazzo che sente, sempre e solo, parole come mangiare, bere, vestire ed il ragazzo che sente anche ‘dovere’, ‘sacrificio’, ‘perdono’, ‘giustizia’, ‘pace’, ‘Dio’.
Il primo ragazzo penserà che nella vita basta diventare ‘grosso’: il secondo sarà invitato a diventare ‘grande’.
II famoso scrittore bulgaro Elias Canetti (premio Nobel 1981) riconosceva apertamente d’essere stato ‘costruito’ dalle parole della mamma, donna colta ed orgogliosa. Rimasto orfano di padre in tenera età, ricorda le serate che passava con la madre
a leggere, e conclude: “Io sono fatto di quelle parole!”.
Sì: tutti ‘siamo un colloquio’, come dice l’indovinato titolo di un libro dello psichiatra Eugenio Borgna. Sì: viviamo secondo le parole che abbiamo in testa! Ecco perché i genitori-salmoni sono specialisti nel parlare ai figli.
Non usano mai parole invalidanti: ‘Stupido!’. ‘Imbranato’. ‘Chi credi di essere?’…
Queste non sono parole. Sono macigni che schiacciano l’io del figlio, lo feriscono nella sua autostima, con tutte le pesanti conseguenze che ne derivano.
◊ I genitori patentati usano parole incoraggianti: ‘Bravo!’, ‘Siamo fieri di te!’, ‘Ce la farai!’…
◊ I genitori patentati usano anche parole stonate, oggi: ‘Sacrificio’, ‘silenzio’, ‘rinuncia’, ‘dovere’…
I genitori patentati usano parole verticali, cioè parole che invitano ad innalzarci, a diventare ‘grandi’. Proprio su queste puntano in particolare, perché lo ritengono uno dei primi doveri per salvare l’educazione dei figli!
Davvero: uno dei primi doveri! Che cosa, infatti, diciamo, oggi, ai nostri ragazzi? Diciamo che è peccato avere le ascelle sudate, l’alito cattivo, la biancheria grigia, la forfora sui capelli… Proponiamo saponi, dentifrici, deodoranti, pillole… Insegniamo che la vita è un tempo concessoci per impegnarlo a comprare la felicità che si nasconde in scatole e in barattoli ‘sotto vuoto spinto’. Ebbene, questo è tradimento! Tradimento dovuto alla mancanza di circolazione di parole verticali.
I ragazzi tristi, disorientati, insicuri sono in forte aumento!
L’incoraggiamento è l’aspetto più importante nella pratica di educazione del bambino; è tanto importante, che la mancanza di esso si può considerare quale causa fondamentale di certe anomalie del comportamento. Un bambino che si comporta male è un bambino scoraggiato. L’infanzia, infatti, ha bisogno di un incoraggiamento continuo, proprio come una pianta ha bisogno di acqua: deve essere incoraggiata per poter crescere, maturare, acquisire la sicurezza di essere inserita. Eppure, le tecniche da noi usate oggi per allevare il bambino offrono una serie di esperienze scoraggianti. Al bambino in tenera età l’adulto appare dotato di una grande generosità, di straordinaria efficienza e di capacità sovrumane; solo il coraggio naturale gli impedisce di rinunciare del tutto, di fronte a queste impressioni. Che cosa meravigliosa è il coraggio di un bambino! Riusciremmo a comportarci come i nostri figli, se dovessimo essere posti nella stessa condizione di vivere fra giganti a cui niente sia impossibile? I bambini rispondono ai diversi dati di fatto con un enorme desiderio di acquisire delle capacità e di superare il loro profondo senso di piccolezza e di inadeguatezza; vogliono a ogni costo diventare parte integrante della famiglia. Però, nei loro tentativi di assicurarsi un riconoscimento e di trovare una collocazione, si perdono spesso di coraggio. I metodi impiegati in genere per educarli contribuiscono una volta di più allo scoraggiamento.
Il rispetto dei ragazzi impone che si ritorni a proporre qualcosa per cui meriti essere vivi: che si ritorni a parlare di Lealtà, Giustizia, Amore, Pace, Onestà, Fratellanza… Ecco ciò che più urge oggi!
Urgono le parole che fanno pensare ai Valori, senza i quali c’è caduta di tensione, c’è la perdita della voglia e della gioia di vivere. I genitori educatori sanno bene tutto questo.
COSÌ PARLAVA MAMMA MARGHERITA
A trentatré anni, Francesco Bosco fu portato via da una polmonite. Margherita non poteva farcela da sola e decise di andarsene dalla fattoria Biglione. Con rara crudeltà, i Biglione la citarono in giudizio per il pagamento di una penale pesante.
Margherita trasferì nella malconcia casetta, che in realtà era una stalla con fienile e un deposito di attrezzi agricoli, la sua famiglia: il figlio Antonio, nove anni, Giuseppe, quattro anni, Giovanni di due anni e la suocera invalida che si chiamava come lei, Margherita Bosco. Aveva qualche piccolo pezzo di terra, una mucca e un vitello. E tanti debiti. Perché anche la casetta non era ancora stata pagata.
Erano poveri, certo. Ma c’era lei. La mamma aveva le braccia larghe e un cuore ancora più largo. E tanto coraggio.
Neanche a farlo apposta i primi anni furono maledetti da una micidiale carestia. Giovanni lo ricorderà sempre: «Le persone che dovevano sopravvivere erano cinque, e proprio quell’anno i raccolti andarono perduti per una terribile siccità. I generi alimentari salirono a prezzi favolosi. Si dovette pagare fino a venticinque lire per un’emina di grano, e sedici lire per una di granoturco. Gente che ricorda bene quei tempi, mi ha raccontato che i poveri chiedevano in elemosina un pugno di crusca, per rendere più consistente la scarsa minestra di ceci o di fagioli. Si trovarono mendicanti morti nei prati, con la bocca piena d’erba: l’ultima risorsa con cui avevano cercato di nutrirsi.
Mia madre mi raccontò molte volte che nutrì la famiglia dando fondo ad ogni scorta. Poi raccolse il denaro che aveva in casa e lo diede ad un vicino, Bernardo Cavallo, perché cercasse di procurarci dei viveri. Era un nostro amico, si recò a vari mercati, ma non riuscì a combinare niente. Anche offrendo prezzi esorbitanti, non si riusciva a comprare».
Margherita guardava gli occhi dei suoi bambini. Avevano sempre fame. E tanta paura. Non si perse di coraggio neanche per un istante.
«Papà, morendo, mi disse di avere fiducia in Dio. Inginocchiamoci e preghiamo».
Anche Giovannino, con le piccole mani giunte, diceva le parole che non capiva con gli occhi sgranati sulla mamma. La mamma si alzò risoluta e disse: «Nei casi estremi si devono usare mezzi estremi».
Prese il coltello grosso e andò nella stalla. Con l’aiuto di Bernardo Cavallo uccise il vitello. E quella sera la famiglia Bosco poté mangiare carne a sazietà.
Antonio già grandicello si preoccupò: «Come faremo senza vitello?»
«Qualcosa bisogna sacrificare per ciò che è veramente importante. Voi siete più importanti del vitello».
«Ci rimboccheremo le maniche e lavoreremo di più. Ci faremo aiutare. Insieme ce la faremo».
Giovanni masticava con gusto il suo boccone d’arrosto e ascoltava attento le parole della mamma. Non le avrebbe dimenticate.
Non dimenticò molti altri insegnamenti della mamma che divennero il telaio luminoso della sua persona.