COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
PEDAGOGIA CONTROCORRENTE 2 - Coraggio, parlate di Dio
Un bambino stava disegnando e l’insegnante gli disse: “È un disegno interessante. Che cosa rappresenta?” “È un ritratto di Dio”. “Ma nessuno sa com’è fatto Dio”. “Quando avrò finito il disegno lo sapranno tutti!”
I bambini sanno com’è fatto Dio.
Quanto tempo impieghiamo a farglielo dimenticare?
Oggi i genitori non parlano esplicitamente di Dio ai figli perché hanno paura di passare per matti» sostiene uno scrittore. In realtà più che ‘matti’, sono ‘incoscienti’. Perché non sanno quello che perdono.
L’apprendimento religioso passa attraverso tre stadi. Il primo è quello che passa attraverso l’osservazione e l’imitazione. Dal punto di vista teologico e psicologico possiamo ricordare che l’immagine di Dio rimane, nella sua pienezza e come totalità, incomprensibile e inafferrabile per gli uomini. Per la nascita e lo sviluppo dell’immagine di Dio infantile tuttavia l’influenza dei genitori è decisiva. Il rapporto genitori-figlio viene innanzitutto trasferito al rapporto con Dio. Anche l’autostima del bambino e dell’adolescente ha le proprie radici nella famiglia e si ripercuote essenzialmente sul rapporto con Dio.
La cosa più importante per i genitori è chiarire la propria immagine di Dio. Abbiamo la responsabilità di non ingannare i nostri figli a proposito di Dio, rivelando loro un’immagine di Dio nemica della vita e dell’amore, danneggiandoli in questo modo dal punto di vista psichico. I bambini hanno bisogno di un rapporto con Dio, non di una “ideologia” su Dio.
“Nascondere la conoscenza di Dio ad un ragazzo, privarlo di questa verità, è il più grave reato che un educatore possa commettere” (monsignor Antonio Riboldi).
Parole che spingono i genitori controcorrente ad impegnarsi al meglio per preparare nel figlio il terreno adatto alla germinazione di Dio.
I cinque ingredienti
I genitori contro corrente sanno che Dio non nasce ovunque, ma ha bisogno di un terreno adatto per germogliare. Ebbene tale terreno è buono se ha almeno cinque ingredienti, senza i quali, parlare di Dio, è come seminare nel marmo.
Primo ingrediente: il silenzio
Dio parla a voce bassa. Il rumore lo disturba sempre. La Bibbia non lascia dubbi: Dio è il primo alleato del silenzio. Il rumore è dispersione, il silenzio è concentrazione. Il rumore fa superficiali, il silenzio rende profondi! Maria Montessori, una delle nostre migliori pedagogiste, era decisa: “È impossibile che in una scuola fracassona circolino grandi idee!”.
Secondo ingrediente: la meraviglia
“Un uomo senza stupore non è un uomo: è un fungo!» parola di Saint-Exupéry.
Un ragazzo senza la capacità di meravigliarsi è un ragazzo freddo, insensibile, indifferente. Un ragazzo decisamente incompleto!
Terzo ingrediente: la grinta
Dio è buono, misericordioso, paziente…: è tutto, tranne che stupido. Non accetta di essere preso in giro! Ci ha dato una vita e vuole che gliela restituiamo ripiena di Bene. La cosa non sempre è facile: sovente richiede impegno e fatica. Educare a tener duro anche quando la vita mostra i denti è mettere nei figli una condizione necessaria per accogliere Dio, non solo, ma anche per vivere da persone umane.
Quarto ingrediente: la gioia
È impossibile parlare di Dio, se non si tiene in conto la felicità. Vogliamo dire che le facce da funerale sono le meno adatte per parlare di Dio. L’esperienza della gioia è sempre un’esperienza che prepara ad accogliere Dio e, nello stesso tempo, è anche sempre la premessa per partire con il piede giusto per la vita (è il solito intreccio che ritorna!): senza gioia non si vive, né si fa vivere.
Quinto ingrediente: l’amore
Tra tutti l’amore è l’ingrediente vertice che predispone il figlio all’accoglienza di Dio.
“Dio è amore» (Prima lettera di Giovanni 4,8), dunque ogni gesto d’amore parla di Dio e rimanda a Dio. Il figlio che si sente amato dai genitori, si sente sfiorato da Dio; non solo, ma esperimenta anche quella fiducia di fondo che lo fa ringraziare d’esser nato uomo e gli permette di gustare la vita.
Un bambino chiese alla mamma: «Secondo te, Dio esiste?».
«Sì».
«Com’è?».
La donna attirò il figlio a sé. Lo abbracciò forte e disse: «Dio è così».
«Ho capito».
Dio è datore di senso
Ammesso Dio, si viene a sapere che vi è un filo conduttore che lega e guida tutte le cose: c’è Uno che scrive diritto anche su righe che a noi sembrano storte. Ebbene, l’uomo può vivere con il mistero (la nostra intelligenza è come un grattacielo a cui manca sempre l’ultimo piano), ma non può vivere con l’assurdo: il non senso lo angoscia!
Dunque Dio, come datore di senso, diventa un ansiolitico, uno psicofarmaco. Lo psichiatra Giacomo Daquino non ha dubbi: “La religiosità matura rappresenta la miglior medicina, il miglior psicofarmaco. È infatti fonte di serenità, di equilibrio, di armonia emotiva”. Chiarissimo: la fede in Dio sconfigge la paura, sconfigge il mal di vivere.
Dio ci indica il giusto rapporto che dobbiamo avere con il creato
Intanto, ammesso Dio, non si può più parlare di ‘natura’, ma di ‘creato’. Il cambio di parola non è solo verbale, ma sostanziale. Il ‘creato’ non appartiene a noi, ma al Creatore. Il ‘creato’ è un dono che ci è stato fatto. Non possiamo ferirlo. Non possiamo rubargli l’incanto: non ci è permesso fare del mare un immondezzaio, non è lecito sfregiare i monti… Se Dio ne è il Creatore, l’universo è da contemplare, non da depredare. Se Dio è l’autore, a noi spetta il compito di salvaguardare la creazione.