L'INVITATO
O. PORI MECOI
Patrick
Salesiano di Lubumbashi
«Il Congo è un vivaio fiorente di vocazione per la Famiglia Salesiana e per il mondo».
La mia carta d’identità
Mi chiamo Patrick Mwenya Kizembe, giovane studente salesiano dell’Istituto Teologico San Tommaso d’Aquino di Messina. Sono nato a Lubumbashi, una grande città nel sud della Repubblica Democratica del Congo. Questa città ha una popolazione notevolmente giovane. Nella mia famiglia siamo otto figli, quattro femmine e quattro maschi; io sono il sesto. Mio padre è morto il 25 aprile 2012. Durante la sua vita ha lavorato in un allevamento di bestiame. Mia madre vive ancora a Lubumbashi dove si occupa di affari. Entrambi ci hanno insegnato la vita di preghiera in famiglia e ci hanno inculcato un’educazione cristiana indicandoci la strada per raggiungere la parrocchia salesiana chiamata Bikira Mwenyi Huruma (Nostra Signora della Misericordia) per fare catechismo, frequentare l’oratorio e anche per studiare in una scuola delle suore salesiane della zona.
Come ho conosciuto i salesiani?
Sono cresciuto in un quartiere chiamato Tabac-Congo dove già esisteva l’opera dei Salesiani di Don Bosco: la parrocchia, la scuola e l’oratorio. E poiché mi piaceva giocare a calcio con i miei amici, è stato più facile e anche più spontaneo per me incontrare i salesiani. Posso dire di aver conosciuto i Salesiani di Don Bosco fin da giovanissimo, praticamente a 11 anni, quando ho iniziato ad andare in oratorio a giocare. Allo stesso tempo, ho conosciuto ancora di più i salesiani andando a studiare in una scuola del mio quartiere chiamata Kitulizo School Complex. Questa scuola è tuttora gestita dai Salesiani di Don Bosco. È attraverso questa scuola che ho conosciuto chi sono i Salesiani e chi è veramente don Bosco. L’ho fatto grazie alle parole mattutine che i salesiani ci rivolgevano ogni giorno prima di entrare nelle aule per studiare, e alle varie parole serali che i salesiani ci rivolgevano in oratorio. Inoltre, vedendo le attività divertenti che questi bravi salesiani organizzavano nella scuola, nell’oratorio e anche nella parrocchia, tutto questo mi ha insegnato chi sono i salesiani. Questi salesiani mi hanno insegnato un sistema pedagogico molto ricco per l’educazione dei giovani, il famoso sistema preventivo. Direi che con questo famoso sistema i Salesiani di Don Bosco mi hanno istruito, mi hanno educato e formato con un cuore sufficientemente pieno di amicizia e di paternità come don Bosco.
Com’è nata la mia vocazione?
Subito dopo aver ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ho avuto il desiderio di frequentare vari gruppi liturgici come il gruppo dei servitori dell’altare, il gruppo degli amici di Domenico Savio, il gruppo dei lettori. Così, come ho detto prima, ho dovuto frequentare l’oratorio, la scuola salesiana durante la mia adolescenza e post adolescenza. Mi sono piaciute le attività organizzate dai salesiani, soprattutto perché erano davvero educative e mi hanno permesso di incontrare amici e di vivere l’atmosfera familiare in modo gioioso. È in questo contesto che è nata la mia vocazione. Quello che mi ha toccato molto è stato vedere i Salesiani sempre con noi, fare un’assistenza veramente attiva in mezzo a noi; il loro sapere, il loro modo di stare con noi adolescenti, il modo in cui si svolgevano le attività, iniziavamo sempre con la preghiera e poi seguivamo le attività del giorno e finivamo sempre con la preghiera per ringraziare Dio per intercessione della Vergine Maria. Posso confessare che è stata questa eloquente testimonianza del saper fare dei salesiani che ho incontrato a far tremare le mie viscere e a sedurmi a fare la scelta di diventare salesiano.
Ma la scelta di diventare salesiano è arrivata un po’ più tardi, dopo un momento di riflessione sufficientemente importante. E poi ho dovuto decidere di trovare una guida spirituale che mi aiutasse a chiarire e a maturare le mie motivazioni vocazionali. Così ho conosciuto un giovane sacerdote salesiano di nome Daniel Mafuta che mi ha accompagnato fino all’inizio della mia prima esperienza salesiana come aspirante nella casa Bakanja-Magone, che si occupa dei giovani che si sono staccati dalla famiglia, cioè dei giovani poveri e abbandonati.
La mia storia salesiana
Ho iniziato la mia esperienza salesiana come aspirante nel luglio 2012 nella Casa Bakaja-Michel Magone. È un’opera che accoglie e rieduca i giovani che si sono allontanati dalle loro famiglie. Un anno dopo sono stato ammesso a iniziare la fase di pre-noviziato nella comunità Cité des Jeunes, dove ho trascorso quasi un anno, e sono stato ammesso a iniziare il noviziato nella comunità San Giovanni Bosco Kansebula. Al termine del noviziato ho emesso la prima professione il 16 agosto 2015 presso il Collegio Imara. Ho fatto tre anni nel postnoviziato di Kansebula, dove ho studiato filosofia e scienze dell’educazione.
Dopo questa fase di post-noviziato sono stato mandato in Tunisia per fare il tirocinio per due anni. Il primo anno di stage l’ho fatto a Manouba, dove i salesiani hanno una scuola elementare e un oratorio. Manouba è una città alla periferia della capitale Tunisi; il mio secondo anno di stage l’ho fatto nella capitale, a Tunisi, dove i Salesiani hanno un collegio che prima era gestito dai Fratelli Marianisti. È stata una tappa molto proficua e soprattutto arricchente per me, perché ho avuto modo di conoscere persone di un’altra cultura, di una religione diversa dalla mia, persone di mentalità diversa ma molto accoglienti, ospitali e collaborative. L’aspetto che mi è piaciuto di più nel popolo tunisino è il sorriso, ogni volta che ti guarda, anche se non vi conoscete, il tunisino ti mostra un volto sorridente.
La maggior parte dei giovani che frequentano il nostro oratorio a Manouba parla solo arabo, perché gran parte di loro proviene da quartieri popolari e molti non vanno a scuola regolarmente. Questo mi ha spinto a imparare un po’ di arabo per poter condividere e collaborare bene con i giovani e rendere più facile il mio apostolato tra loro. È stata davvero un’esperienza salesiana bella e indimenticabile. I giovani che ho incontrato in Tunisia mi hanno sedotto con i loro volti sempre sorridenti e accoglienti. Li porterò sempre nel mio cuore di salesiano.
Come sono i giovani congolesi?
La Repubblica Democratica del Congo è una delle nazioni al mondo con tre quarti di popolazione giovane. In una prospettiva postmoderna, questa gioventù presenta alcuni importanti dinamismi culturali, pur mantenendo la propria identità. Si lanciano costantemente nella competizione del mercato internazionale; sono giovani che sanno aprire facilmente gli orizzonti esterni. Si adattano straordinariamente bene ovunque si trovino, grazie alla loro convivialità. La cultura congolese è veicolata dalla musica della “Rumba”, riconosciuta dal dicembre 2021 come patrimonio immateriale dall’unesco. Questa gioventù si caratterizza anche per il suo abbigliamento elegante, noto come “sape” (Société des Ambianceurs et des Personnes Elégantes).
Ma questa apparenza spesso nasconde i veri problemi della gioventù congolese, afflitta da molti mali: la disoccupazione, il fenomeno dei bambini di strada, la delinquenza giovanile, l’insicurezza, la manipolazione e l’uso dei giovani nei conflitti armati, lo squilibrio del sistema educativo ecc. Ciò è dovuto alla precaria situazione della sicurezza in alcune zone del Paese e alla crisi della governance in un Paese che è vittima di un’avidità su larga scala a causa delle sue immense risorse minerarie. La gioventù è anche segnata da un senso di appartenenza tribale, da una lingua e da tutti i valori ad essa associati, come il rispetto per gli anziani, l’attribuzione dei nomi di famiglia, l’apertura alla fede degli antenati ecc. Il tribalismo e il sincretismo diventano allora un pericolo se esagerati. Certo, questi giovani hanno ancora molta strada da fare in termini di patriottismo. Nelle grandi città, la povertà economica e spirituale provoca la proliferazione di sette di cui i giovani sono il bersaglio principale. D’altra parte, i giovani congolesi, come tutti gli altri giovani, amano la vita e la rispettano, nonostante la globalizzazione sostenga l’inversione dei valori fondamentali. Il rispetto della vita e della dignità umana è una delle aspirazioni dei giovani congolesi. I giovani congolesi hanno un linguaggio comunicativo collettivo, cioè del “noi” invece che dell’“io”.
Nonostante i vari problemi citati, ho la sensazione che questi giovani parteciperanno alla successione politica del Paese. Perché ciò avvenga, è necessario che siano formati al risveglio della coscienza nazionale.
Qual è il futuro della congregazione in Congo?
Il Congo è un grande Paese (2 345 000 km2) e come Ispettoria salesiana (afc) è davvero un’Ispettoria feconda dal punto di vista salesiano. La rd Congo ha dato origine alla Provincia Africana dei Grandi Laghi (agl), alla Vice-Provincia Africana del Congo-Congo (acc) e, attualmente, alla Delegazione di San Giuseppe nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, con sede a Goma. Questo dimostra già che il Congo è un grande Paese e un polmone a livello salesiano.
Vedendo l’eccellente lavoro che i Salesiani stanno svolgendo in Congo, è chiaro che la missione salesiana in quel Paese ha un futuro luminoso, roseo e in forte crescita, dal momento che il numero di giovani che esprimono il desiderio di diventare salesiani è in aumento. E questo è un motivo per poter ringraziare Dio per tutte queste vocazioni, perché sono un segno di benedizione per tutta la Congregazione grazie alla generosità missionaria dei Salesiani congolesi, sempre più aperti alla missione ad gentes. Questo numero crescente di giovani vocazioni deve spingerci ancora di più a lavorare efficacemente per trasmettere di più il carisma, lo spirito salesiano, a questi giovani che si uniscono a noi perché sono da considerare un vivaio per il futuro fiorente della Congregazione in Congo e nel mondo. E credo che questo sia ciò che i confratelli stanno facendo fino ad ora, perché abbiamo una pastorale giovanile straordinariamente brillante e sufficientemente ben gestita. Questa è già una prova sufficiente del futuro della congregazione salesiana nella Repubblica Democratica. Ringraziamo Dio per queste meraviglie.
Inoltre, il Congo è tra le province che inviano molti confratelli missionari ad vitam. Questa, dunque, è un’altra prova sufficientemente convincente di quanto la rd Congo stia fiorendo nella vocazione; è anche un dono per il quale ringraziamo il Signore. Infatti, posso affermare che don Bosco è veramente accolto in Congo in modo eloquente. Ci sono persino dei vescovi che invitano i salesiani ad andare a lavorare nelle loro diocesi perché sanno che siamo dei collaboratori, degli educatori di giovani. Questa è una prova sufficiente che la Congregazione ha davvero un futuro in Congo e che questa è un’opportunità per tutta la Congregazione, per chiunque voglia leggere i segni dei tempi.