L'INVITATO
O. PORI MECOI
P. Manuel Cayo Ispettore del Perù
I Salesiani sono arrivati in Perù 130 anni fa. I Figli di Don Bosco sono presenti nelle regioni della costa, sulle Ande e anche nella giungla amazzonica e in tutti questi contesti la grande sfida è sempre rappresentata dalle situazioni di maggiore vulnerabilità.
Com’è nata la tua vocazione?
Sono nato nella Patagonia argentina, ovviamente in una città con presenza salesiana. Nella scuola “Domingo Savio” ho potuto partecipare a diverse esperienze associative e apostoliche (gruppo giovanile, gruppo missionario) durante tutta la mia adolescenza. L’atmosfera oratoriana mi ha gradualmente affascinato. Verso la fine del liceo, l’incontro con un libro spettacolare, appena stampato, “Don Bosco, una nuova biografia” di Teresio Bosco, ha finito per conquistarmi per questo bellissimo carisma salesiano… Le vie di Dio!
Come ha reagito la tua famiglia?
Avevo molta paura della reazione dei miei genitori, perché ero già sulla strada per un altro tipo di studio universitario, ma quando ne ho discusso con loro, mi hanno sorpreso con due affermazioni: “Era qualcosa che abbiamo visto arrivare” e “Se tu sei contento di questa via, lo siamo anche noi”. Così mi hanno dato molta empatia e libertà. Finora, 36 anni dopo, sono felici perché lo sono anch’io.
Qual è il tuo compito attuale?
Sono ispettore salesiano in Perù da tre anni. Cerco di accompagnare i fratelli, i giovani, i laici, le comunità, i processi, i progetti nel miglior modo possibile e contando su tante brave persone che fanno parte del sogno di don Bosco in queste terre.
Da quanti anni i Salesiani sono in Perù?
I Salesiani sono arrivati in Perù nel 1891, quindi l’anno prossimo festeggeremo i 130 anni di presenza in questo amato Paese. Il Perù è un Paese che rappresenta una sfida per i Salesiani. Lungo il Pacifico c’è la costa caratterizzata da un deserto continuo in cui le montagne che digradano verso il mare sono brulle e spoglie. Lima si trova proprio in questo deserto ed è, dopo il Cairo d’Egitto, la seconda città più grande al mondo costruita sul deserto. C’è poi la Sierra che comprende tutto il territorio delle Ande con cime altissime e popolata dai Quechua, i discendenti del popolo Inca. La parte orientale del Paese invece digrada nella conca amazzonica con clima tropicale e tribù indigene che si possono raggiungere solo via fiume, non ci sono strade.
Quali sono le opere più significative?
La cosa più significativa della nostra presenza in Perù è la sua varietà. Abbiamo 10 scuole, 9 centri di formazione professionale, 8 case di Don Bosco per adolescenti e giovani a rischio, 3 aree di missione (due in Amazzonia e una sulle Ande), 7 oratori-centri giovanili e 5 parrocchie. Le priorità istituzionali che abbiamo scelto in base al tipo di lavoro sono tre: Case Don Bosco, Missioni e Centri di formazione professionale. Ci sono grandi scuole frequentate quotidianamente da migliaia di allievi, che vanno da quella dell’infanzia alle superiori, e tante parrocchie, sia nelle città, sia nella foresta amazzonica con decine e decine di cappelle sparse in villaggi così remoti che il missionario riesce a visitare una sola volta all’anno.
Una bella iniziativa che i Salesiani del Perù hanno avviato da alcuni anni è quella delle “Case Don Bosco”. Si tratta di convitti affiancati alla scuola o alla parrocchia salesiana, in cui vengono accolti i ragazzi più poveri e chi viene dai villaggi più lontani. Spesso sono ragazzi con problemi familiari, con i genitori ammalati e impossibilitati a lavorare per il sostentamento. A volte sono figli di ragazze madri che, per sposarsi, lasciano il figlio dai Salesiani ed iniziano una nuova vita.
Quali i problemi che devono affrontare?
Ci sono due tipi di problemi che possiamo classificare come “dall’esterno” e “dall’interno”.
Il primo ha a che fare con la grande disuguaglianza sociale che esiste nel Paese, la costante minaccia della corruzione, i maltrattamenti che i giovani subiscono in generale. Ma la situazione scatenata ultimamente dalla COVID-19 e tutte le sue conseguenze personali, sociali, economiche, spirituali, diventa la grande sfida di questo tempo, e – secondo me – lo sarà ancora per molti anni.
Per quanto riguarda i problemi “dall’interno”, vedo che il disincanto, la mancanza di motivazione, di convinzione – e anche di fede – che minaccia diversi fratelli, diventa la causa di molti problemi che si generano a livello fraterno, di impegno, di progetti, accecando gli occhi o offuscandoli con un grigio pessimismo.
Quali sono le tue più dolenti preoccupazioni?
Prima di tutto la vita di ogni Confratello, ma non come sguardo autoreferenziale, ma come risorsa vitale per rispondere ai giovani e alla nostra missione, mossa dall’entusiasmo vitale di ogni Salesiano per la sua vocazione. Anche la sofferenza di tanti giovani a vari livelli. Le sfide di un’educazione a livello di questi tempi, che dà realmente potere ai giovani che accompagniamo, le esigenze di un’evangelizzazione incarnata nel contesto e nella cultura giovanile che lascia davvero un segno sui giovani e li rende veri discepoli-missionari.
E, in queste ultime settimane, ancora una volta le attuali esigenze e le conseguenze di questa pandemia diventeranno una grande e costante preoccupazione, non per lamentarsi, ma per sfidare al meglio la nostra creatività apostolica.
E i tuoi progetti e i tuoi sogni per il futuro?
I miei sogni e i miei progetti in generale potrebbero essere riassunti nei tre nuclei che stiamo iniziando ad approfondire sul cammino della CG28:
• aiutare ogni Salesiano ad essere decisamente e vitalmente in mezzo ai giovani, per offrire proposte di vero significato e, allo stesso tempo, promuovere il loro protagonismo, accompagnandoli e lasciandosi accompagnare da loro. Fare una scelta reale e decisiva per gli ultimi;
• scommettere su una formazione (iniziale e permanente) veramente trasformante e apostolica, unificante e non “collegiale”, incarnata e comunitaria, personale e congiunta. Una formazione, infine, che scommette sulla vita quotidiana illuminata dal Vangelo e dal nostro carisma come risorsa principale;
• continuare a promuovere una missione condivisa con i laici (e, al loro interno, con i giovani) che sia a livello sia del sogno di don Bosco di un “Movimento Salesiano” sia delle sfide educative e pastorali di questi tempi in cui viviamo.
Come sono i giovani peruviani?
È difficile rispondere a questa domanda, perché la realtà è molto varia, complessa… e perché non ho molto spazio per farlo in queste righe. Ma in generale li trovo molto generosi, attenti, dediti, amanti della loro terra e della loro cultura. Quest’ultimo punto mi colpisce: la loro capacità di valorizzare le loro radici e di averle molto presenti è qualcosa che papa Francesco apprezza molto.
Come sono visti i Salesiani dalla gente?
Ci apprezzano molto, apprezzano il nostro lavoro e il nostro impegno, ci identificano subito con l’Ausiliatrice, infatti in tutte le nostre case la novena viene celebrata a maggio con una grande partecipazione di persone. La Chiesa apprezza molto il nostro contributo. Don Bosco è un santo vicino e conosciuto da molti. Apprezzano la nostra capacità di creare spirito di famiglia e i nostri progetti di solidarietà e l’opera dei nostri missionari.
UN FUTURO PER I “PIRAÑITAS”
Il progetto di Missioni Don Bosco
Nata nel 1993 per aiutare i “pirañitas”, i bambini di strada che affollano le strade della capitale peruviana, la Comunidad de Acogida Don Bosco lavora a stretto contatto con servizi sociali e istituzioni, offrendo ai minori non solo una casa in cui vivere, con pasti in tavola ad orari regolari e cure mediche garantite, ma anche un servizio di supporto psicologico e spirituale, nonché un percorso di riavvicinamento alle famiglie.
Ricerca, Accoglienza, Socializzazione, Professionalizzazione, Inserimento professionale: sono queste le tappe messe a punto negli anni dai salesiani della comunità Don Bosco di Breña, Lima, per garantire il diritto al futuro dei minori più svantaggiati, in particolare ai pirañitas che vivono in strada. Dopo un primo contatto e l’invito a partecipare al programma, i ragazzi vengono ospitati nel centro di accoglienza, dove, in un’atmosfera familiare, ritrovano la fiducia necessaria a intraprendere un percorso formativo che permetterà loro di trovare un’occupazione.
Attualmente sono 68, dai 12 ai 25 anni, e ricevono una protezione integrale, che passa anche attraverso il rispetto delle norme di prevenzione del coronavirus, che in Perù sta vivendo una fase di grande aggressività, complicando una situazione socio-economica già compromessa.