L'INVITATO

O. PORI MECOI

Nel nome di Mamma Margherita
Incontro con padre Eric Meert e la sua straordinaria opera in Congo

Attraverso la croce del Buon Pastore che portiamo ogni giorno, ricordiamo che Cristo stesso è andato a cercare la pecora smarrita. Spetta a noi seguire le sue orme e quelle di don Bosco. L’amore di Dio per i bambini indigenti della repubblica democratica del Congo passa attraverso la rete di Opere Mamma Margherita e la casa Bakanja-Ville.

Com’è nata la sua vocazione salesiana?
Sono il quartogenito di una famiglia di nove figli. Sono cresciuto in un ambiente ricco di fede e nell’educazione che ho ricevuto fin dall’infanzia la religione aveva un ruolo importante. A casa pregavamo il Rosario tutte le sere mentre lavavamo i piatti. Da quando ho cominciato il corso di studi elementare, ho sempre frequentato una scuola cattolica salesiana, la Don Bosco Halle, a 5 chilometri di distanza da casa. Questa scelta, voluta dai miei genitori, è stata la conseguenza di un contrasto che esisteva tra scuole cattoliche e scuole comunali: queste ultime fino a quel momento ammettevano solo ragazzi, ma volevano ampliare l’ambito della loro utenza alle ragazze. Se queste ultime fossero state indotte a lasciare le scuole femminili gestite da religiose, le suore rischiavano di dover chiudere i loro istituti. Per questo motivo mio padre e mia madre, come altri genitori del nostro paese e dei dintorni, decisero di iscrivere i loro figli in una scuola cattolica.
La scuola elementare, che inizialmente era collegata alla parrocchia locale, fu affidata ai Salesiani di Don Bosco perché non riusciva più a garantire il regolare funzionamento: aveva troppi alunni ed era insostenibile a livello finanziario. Fu rilevata dai Salesiani e accolse molti bambini, diventando una delle più grandi scuole della regione. I miei genitori erano molto impegnati al suo interno: mio padre era presidente del comitato dei genitori. Per raccogliere fondi e sostenere la gestione della scuola, ogni anno veniva organizzata una fiera. Noi figli della nostra famiglia avevamo l’opportunità di impegnarci per quell’obiettivo: sbucciavamo le patate, mescolavamo gli ingredienti per preparare il gelato… Sono dunque stato all’interno del mondo salesiano nel corso di tutto il mio itinerario scolastico. Mi impegnavo in parrocchia e tutte le mattine della settimana partecipavo come accolito alla Messa delle 7, mentre la domenica prendevo parte alla funzione delle 6.
In virtù della mia fede e del mio impegno religioso, pensai di diventare sacerdote fin da quando ero adolescente, ma non avevo idee molto precise sulla Congregazione di cui avrei voluto far parte. Quando avevo sedici anni, nella scuola secondaria che frequentavo un Salesiano mi domandò se volessi entrare nella loro Famiglia religiosa. Ero già impegnato nel movimento salesiano, ma questa domanda mi indusse a rafforzare il mio impegno, in particolare nel gruppo Domenico Savio, negli ambienti del gioco e sui campi sportivi. Anche Luc, il mio migliore amico, ora Salesiano, mi aiutò a prendere la mia decisione: per diverse estati consecutive ci condusse in un cantiere a Bordeaux, nella Francia sudoccidentale, a prestare la nostra opera come volontari. Quando avevo diciotto anni e frequentavo l’ultimo anno del liceo, la mia scelta non era però ancora chiara. Per tre anni andai dunque a lavorare in una tipografia. Dopo questa prima esperienza e un lungo discernimento, decisi di entrare in noviziato per diventare salesiano. Dio ha sempre messo sulla mia strada persone che mi hanno aiutato a riflettere e a discernere la mia vocazione. Il viceparroco della parrocchia in cui lavoravo come accolito, per esempio, offriva sempre una testimonianza importante: era disponibile all’ascolto e al servizio per tutti in ogni momento.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, nel 1983, partii per l’Ispettoria dell’Africa Centrale. Chiesi al mio Ispettore di permettermi di stare in una parrocchia povera per vivere con i più poveri. All’epoca però la Congregazione Salesiana non contava molte parrocchie e i miei superiori non ne avevano. Entrai dunque nella tipografia dell’istituto Salama di Lubumbashi, dove ho lavorato per circa vent’anni.
Ho sempre avuto una particolare attenzione per i poveri. A Salama, per dare ai giovani in difficoltà l’opportunità di frequentare la scuola tecnica, la tipografia rimaneva aperta durante le vacanze e nei giorni festivi. Gli allievi avevano così la possibilità di mettere da parte un po’ del denaro guadagnato per pagarsi gli studi e le tasse scolastiche.

Che cosa rappresenta l’Opera Mamma Margherita?
La Commissione Opere Mamma Margherita è stata istituita nel 1994 con la finalità di aiutare i giovani di strada. Partecipavo già alle riunioni della Commissione quando adempivo il mandato di economo ispettoriale e nel 2002 sono poi stato incaricato del coordinamento della Commissione Opere Mamma Margherita. Il nostro primo compito a cui siamo stati chiamati è stato strutturare la Commissione per inquadrare meglio l’accoglienza, l’esame della situazione individuale e la sistemazione dei giovani con difficoltà sociali e familiari: definire la missione da assegnare a ogni nostro centro, in cui accogliere nuovi giovani sconosciuti alla rete ecc. Abbiamo dunque deciso insieme a tutti i nostri centri di lavorare a un progetto globale di educazione coerente per i giovani con problemi familiari. Affinché la rete funzionasse, era essenziale che le nostre case lavorassero tutte con lo stesso spirito e per gli stessi obiettivi, per dare un futuro a tutti questi giovani.
Prima che la rete fosse istituita, non era raro che un giovane visitasse tutte le nostre case senza risultati. All’epoca, il Bakanja Center, il nostro centro di “reinserimento scolastico”, apriva le sue porte ogni domenica a tutti i giovani che lo desideravano; ne arrivavano quasi 800, che vi si ritrovavano per fare una doccia, giocare e riposare. Nello stesso tempo, già nel 1997 la casa Bakanja-Ville, ubicata nel centro di Lubumbashi, era aperta a tutti i giovani che volevano trovarvi rifugio. Nel 2009 abbiamo però dovuto affrontare grandi difficoltà. I politici dell’Alto Katanga avevano deciso di cacciare tutti i giovani dalla strada e li mandarono tutti in un centro chiuso. Questo centro, che allora ospitava più di 800 giovani dai quattro ai trentadue anni, esaurì rapidamente i posti disponibili. In questo contesto era necessario ripensare completamente il nostro modo di accompagnare i giovani e di aiutarli a compiere un percorso di inserimento, in particolare a Bakanja-Ville, la porta di accesso alla rete OMM, una casa che gestisco da 17 anni. Prima del 2009, tra 200 e 250 giovani potevano ascoltare il messaggio della nostra tradizionale buonanotte prima di andare a dormire. Riuscivamo dunque ad avere un’ampia possibilità di ascolto! Dopo l’avvenimento citato del 2009, la casa fu però trasformata in centro di prima accoglienza, con un bacino potenziale di ascolto più limitato: di notte non ospitiamo più lo stesso numero di giovani. Durante il giorno sono però tutti benvenuti: la mattina è dedicata soprattutto all’accoglienza di bambini e ragazzi di età inferiore ai quindici anni e viene proposto in particolare un corso di alfabetizzazione; nel pomeriggio l’accoglienza è sempre più ampia. Tutti i giovani che vivono per strada sono benvenuti e possono venire qui a riposare, parlare o fare una doccia. Anche se riusciamo a dedicarci a un numero minore di giovani, la nostra missione rimane la stessa: sensibilizzare i ragazzi, visitare le famiglie e reintegrare gradualmente i giovani nelle loro famiglie. Grazie al lavoro svolto dai nostri team sociali, ogni anno tra 300 e 350 ragazzi lasciano la vita di strada, perché riescono a reinserirsi nelle loro famiglie o sono accolti nei vari centri della nostra rete. Parallelamente, grazie a un progetto finanziato dal MIVA, la casa Bakanja-Ville realizza un’opera sociale “fuori dalle mura” con visite notturne organizzate due volte la settimana per stabilire un contatto e mantenere un collegamento con i bambini e i giovani di strada. Queste uscite servono principalmente a sensibilizzare questi giovani sulla mancanza di prospettive per il futuro della vita di strada, sui comportamenti rischiosi che si trovano a dover affrontare e sugli effetti dannosi che la vita di strada ha sul loro sviluppo. È un’opportunità per aiutarli a riflettere sul reinserimento sociale e familiare.
Con la nostra esperienza e il nostro modo di operare strutturato in rete, abbiamo acquisito credibilità da parte dello Stato e dei benefattori, ma soprattutto permettiamo ai giovani vulnerabili di beneficiare della nostra esperienza. Disponiamo di una gamma di scelte che ci permette di offrire a ciascuno un percorso adatto alla sua storia passata, alla sua situazione attuale, ai suoi desideri e alla sua volontà. Uno dei punti di forza della nostra rete è proprio la pluralità delle figure di riferimento impegnate: all’interno della nostra rete è rappresentata quasi tutta la Famiglia Salesiana, con Salesiani, cooperatori, VDB e laici. Collaborano con noi anche altre Congregazioni di Suore e questo ci permette di trarre beneficio dal loro punto di vista, dalla loro esperienza e dal loro modo di operare. Potremo offrire un servizio ancora più completo quando la nostra rete lavorerà in collaborazione con le nostre scuole salesiane locali, in modo che i giovani con alte potenzialità che escono dalle Opere Mamma Margherita possano studiare ed essere accolti gratuitamente.

Quali sono le principali sfide di questa missione salesiana al servizio di questi bambini e ragazzi a rischio?
Le sfide sono numerose e riguardano diversi aspetti.
• La prima sfida riguarda l’evoluzione della mentalità. Troppi giovani finiscono a vivere per strada perché sono accusati di stregoneria, per esempio. Una mentalità diffusa è ancora fortemente segnata da credenze ataviche che possono incoraggiare i genitori a sbarazzarsi dei figli per ragioni di ogni sorta. C’è ancora un’immensa opera di sensibilizzazione da compiere con la popolazione locale e in particolare con le famiglie dei nostri giovani.
• L’accoglienza dei giovani più adulti, e in particolare la loro integrazione nel mercato del lavoro, è una delle nostre preoccupazioni più urgenti. È necessario avviare un sistema di autoimprenditorialità che consenta loro di diventare autonomi. Oltre all’imprenditorialità, dobbiamo anche rafforzare la cooperazione con le imprese locali, che rappresentano un trampolino di lancio per la formazione e l’assunzione dei nostri giovani.
• Negli ultimi mesi abbiamo dovuto affrontare una nuova sfida: sempre più ragazze e madri nubili finiscono a vivere per strada. Abbiamo stabilito un contatto con alcune di loro e stiamo cercando la formula giusta che permetta loro di beneficiare di un aiuto e di un sostegno simili a quelli che offriamo ai ragazzi che arrivano alla porta di Bakanja-Ville.