SALESIANI
FABIO CORTESI
Occhi azzurri sull’Angola
Luigi de Liberali, per tutti don Gigetto, salesiano, 70 anni portati benissimo nel fisico e nella mente, è in Angola da 14 anni, dopo una lunga esperienza in Brasile.
La lingua, il portoghese, è la stessa, ma le culture e le realtà sociali e politiche sono diverse. In comune, questi due paesi, hanno ricchezze naturali enormi ed enormi ingiustizie.
Sulla schiena delle donne
L’Angola, 33 milioni di abitanti in un territorio grande quattro volte l’Italia, ha petrolio, diamanti, miniere, legname pregiato, ma l’acqua potabile in casa è un lusso, la scolarizzazione si ferma prevalentemente ai primi tre anni di studio, la sanità è riservata a chi può pagarsela, la gestione delle fogne e dei rifiuti è molto limitata. Pensano le piogge a scaricare quanto si trova nelle strade e a portarlo all’oceano. Ci sono strutture, macchinari, ci sono nuovi edifici, ma non ci sono abbastanza tecnici per far funzionare i servizi e non ci sono abbastanza soldi per la maggior parte della popolazione. I medici sono prevalentemente cubani e qualche russo; i cinesi, nuovi colonizzatori dell’Africa, realizzano molte infrastrutture commissionate e pagate dal governo, ma finalizzate al loro profitto. Le università sono per pochi. La struttura familiare è caratterizzata dal peso quasi esclusivamente caricato sulle spalle delle donne: c’è una poligamia di fatto, permessa dalla legge e gli zii, i parenti, divengono figure di riferimento. Le donne hanno cura dei figli, pensano al cibo, trovando qualcosa giorno per giorno tornando dal lavoro.
In Angola la comunicazione è sotto stretto controllo: dopo un anno la guerra in Ucraina non è nelle informazioni della tv pubblica. La politica è controllata da chi ha le leve finanziarie e militari.
Ci sono tanti giovani, la vita media è bassa per le malattie che falcidiano, in assenza di igiene e di cure, gli anziani ma anche tanti bambini. Malaria, verminosi, aids colpiscono le persone diffusamente, assieme ad altre patologie.
I salesiani
Ci sono i salesiani: gli stranieri sono 25, 120 sono Angolani, la maggior parte giovani in formazione. Operano in tredici comunità: in parrocchie, centri giovanili, scuole, centri di formazione professionale, raccogliendo i ragazzi di strada abbandonati e senza una famiglia.
La fede cristiana è testimoniata e diffusa dai presbiteri, ma soprattutto dai catechisti, che la domenica riuniscono le comunità per celebrare e pregare. Ad ogni parrocchia corrispondono molte comunità da animare. Le donne sono l’anima della vita ecclesiale, con il canto, l’accoglienza, l’animazione delle celebrazioni liturgiche, la danza, il servizio, la festa…
La maggior parte delle famiglie lotta ogni giorno per la sopravvivenza, a fronte di una minoranza che gode delle rendite derivanti dalle concessioni statali per le materie prime. Uno dei lavori più diffusi nelle città è la vigilanza: le case di chi sta meglio sono costantemente presidiate per evitare razzie. Molti sono anche impiegati nelle strutture statali o commerciano informalmente, in tutti i modi, od operano nei trasporti, utilizzando spesso mezzi di altri. Fuori città, quasi tutti coltivano poveramente piccoli appezzamenti di terreno, dai quali ricavano alimento e sostentamento familiare.
Il cristianesimo è molto diffuso, ma convive con una cultura magica, con la convinzione che malattie e morte derivino non da cause naturali ma dal malocchio inviato da qualche persona. Per rimediare alle maledizioni la gente si rivolge a indovini, stregoni, che, con adeguato pagamento, effettuano riti e indicano i colpevoli.
Nell’incontro che don Gigetto ha avuto nella parrocchia di San Domenico Savio di Verona, sono state fatte alcune domande: “Come si può uscire da questa assurda situazione dove un’enorme ricchezza naturale coincide con miseria sociale, ingiustizia, malattia? Come vincere la superstizione? Come possono gli altri aiutare gli Angolani?”
Gli occhi azzurri del missionario salesiano sono diventati ancora più brillanti, le braccia si sono aperte nell’accettazione di una realtà, per manifestare speranza, ma anche bisogno di tanto tempo per far crescere competenze e cultura. La risposta ai quesiti è stata una sola parola: educazione. Educare alla conoscenza, a leggere e scrivere, alla passione per lo studio, ai principi di giustizia ed ai valori dell’umanità, ad una professione. Educare alla fede cristiana, dare strumenti anche semplici, penne e quaderni, testi per l’evangelizzazione, perché questa va di pari passo con l’emancipazione sociale. Educare, ma anche tanta pazienza, senza la pretesa di imporre tempi e modelli, offrendo possibilità di riscatto, occhi nuovi e cuori nuovi, l’abbraccio ai ragazzi abbandonati, il sostegno ai tanti animatori laici delle comunità che divengono esempio anche per noi, per le nostre terre, dove è finito il tempo della delega dell’evangelizzazione e della testimonianza ai soli consacrati. Il Signore benedica don Gigetto che lo testimonia con un sorriso, una forza serena che disarma.