LA STORIA CONTINUA
GIAMPIETRO PETTENON
Museo Casa don Bosco
Alla scoperta di un edificio ricco di storia.
A Valdocco anche i muri parlano di don Bosco
Negli anni trascorsi a Torino-Valdocco ho ricevuto l’incarico dal Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime, di coordinare i lavori di progettazione, di realizzazione del restauro conservativo e di allestimento del museo Casa don Bosco. È stato un periodo intenso ed impegnativo. Intenso, perché si metteva mano alla casa delle origini del carisma salesiano, la casa costruita dallo stesso don Bosco, in poche parole ad una vera e propria reliquia, da trattare come tale. Impegnativo, perché il coordinamento delle competenze di altissimo livello espresse dall’architetto, dal museografo, dal museologo e dal responsabile della comunicazione, ciascuno a capo di un pool di professionisti e di maestranze, non è stata cosa facile. Nella fase iniziale di ripulitura dell’edificio dalle superfetazioni che la fantasia dei salesiani e le necessità del tempo avevano richiesto, le sorprese non sono mancate e, a volte, sono state davvero emozionanti.
Togliere con delicatezza dai muri originali le aggiunte di pareti, pavimenti e solai rifatti con materiali non adatti e gli impianti obsoleti ed invasivi, è stato come accarezzare la mano della nonna chiedendole di raccontarci la storia della sua giovinezza. E la nonna non ci ha deluso. Quello che questo edificio ci ha rivelato di sé, del contesto in cui fu costruito, delle scelte di don Bosco, lo presento nelle pagine di questo breve testo. Sollecitato a questo da numerosi amici e confratelli salesiani che sentendomi raccontare le scoperte che quotidianamente si rivelavano a noi, mi hanno fortemente spinto a scrivere. La gran parte di ciò che viene raccontato lo riprendo dal lavoro di coloro (salesiani e laici) che finora hanno studiato e scritto la vita di don Bosco e delle origini della Congregazione Salesiana.
II territorio fra Corso Regina Margherita e la Dora
La città di Torino viene fondata dai romani alla confluenza tra il Po e la Dora Riparia. Dei due fiumi, però è la Dora che ha sempre rivestito per i torinesi un’importanza particolare dal punto di vista sociale ed economico. Il Po, che arriva a Torino da sud, lambisce placidamente la città, è ampio e funge da difesa naturale.
La Dora invece, a regime torrentizio, arriva dalla Valle di Susa a nord ovest di Torino con tanta energia, a causa del dislivello naturale.
Valdocco si trova a nord di Torino, appena fuori le mura della città, dentro l’alveo naturale del fiume Dora. Ancora oggi notiamo la pendenza delle vie del quartiere, e tra queste vi è anche Piazza Maria Ausiliatrice, che da Corso Regina Margherita scendono verso la Dora. Qui nel periodo di don Bosco è un pullulare di attività: magli, segherie, mulini, tessiture di lana. È la zona delle attività produttive perché l’acqua della Dora, prelevata a monte della città tramite canali artificiali, faceva funzionare le varie macchine ad energia idraulica. Altra caratteristica di Valdocco ai tempi di don Bosco è la sua collocazione a ridosso di uno dei grandi viali che costituiscono la nuova cintura della città, grandi strade volute da Napoleone durante il periodo di annessione del Piemonte alla Francia (1800-1814).
Per decreto di Napoleone, le città murate del Piemonte devono smantellare la cinta difensiva.
I francesi, da un punto di vista politico, vogliono dare un segnale forte alla città di Torino: non deve più difendersi dai francesi, perché adesso sono loro i padroni di casa.
Dal punto di vista sociale essi ritengono che sia il momento di aprire le città ai territori circostanti e alla campagna. Quindi questo tipo di difesa non è più necessario. Fanno radere al suolo le difese militari della città settecentesca, che sono un terrapieno e, spianandole, costruiscono i primi grandi viali di Torino. Uno di questi è proprio Corso Regina Margherita (allora si chiamava Corso San Massimo), che terminava nel grande Rondò della Forca da cui iniziava Corso Principe Eugenio. Luoghi ben conosciuti e visibili tutt’oggi. La parte centrale dei grandi viali, diremmo oggi, era riservata all’alta velocità. Facilitava infatti lo spostamento dei carri carichi di merci e il transito delle carrozze, ed era a loro riservato. I controviali ai lati invece servivano ai pedoni, erano i grandi marciapiedi del tempo. E di gente che andava a piedi ce n’era molta. Quando leggiamo che don Bosco, alla sera, congedandosi dai giovani a Porta Palazzo li mandava tutti a casa e i più grandi lo riaccompagnavano fino all’oratorio, camminavano proprio nei controviali dell’attuale Corso Regina Margherita. Don Bosco arriva dunque a Valdocco, e non è il primo dei santi sociali torinesi dell’Ottocento a stabilirvisi perché prima di lui erano già operativi il Rifugio della Marchesa di Barolo (1823) e la Piccola Casa della Divina Provvidenza del santo Benedetto Cottolengo (1832).
Una periferia vivace e laboriosa
Don Bosco trova una periferia abitata soprattutto da giovani immigrati dalle campagne e dalle valli del Piemonte, impiegati nell’edilizia o nelle attività produttive. E questi sono anche i primi ragazzi che don Bosco accoglie in Oratorio: muratori che lavoravano sulle impalcature alla costruzione dei palazzi prospicenti i nuovi viali e operai impiegati nelle officine della zona. Le case che ci sono in zona, quando arriva don Bosco, non sono cascine di campagna a vocazione agricola e nemmeno le case di abitazione dei proprietari: in casa Pinardi non abitava il signor Pinardi, in casa Moretta non abitava il signor Moretta (che era un prete), in casa Filippi non abitavano i fratelli Filippi, in casa Bellezza non abitava una donna bellissima… Il nome della casa era il cognome della famiglia proprietaria dell’immobile. Erano tutte «case di ringhiera», praticamente dei condomini popolari del diciannovesimo secolo, case affittate stanza a stanza.
Sappiamo che nell’inverno del 1845-46 don Bosco prende a pigione tre camere in casa Moretta (la casa si trovava dove adesso vi sono gli uffici parrocchiali e l’ostello Mamma Margherita).
L’abitazione viene descritta come una casa lunga con nove stanze al piano terra e altrettante al primo piano, a cui si accedeva tramite una scala esterna e un ballatoio comune.
In quelle tre stanze, dal novembre 1845 al marzo 1846, don Bosco avvia la prima scuola serale di Torino. Fa scuola a 200 ragazzi. Ricevette lo sfratto a causa delle lamentele dei vicini. Casa Filippi invece si trovava esattamente dove oggi vi è il negozio di souvenir e la libreria, dentro Valdocco. In quella casa al primo piano c’era una filanda, mentre nei magazzini e locali laterali della corte vi era il deposito dei carretti comunali e nelle stanze soprastanti trovavano alloggio i carrettieri. Nei lavori di ristrutturazione (2016) degli ambienti destinati ai pellegrini che visitano Valdocco, è emerso il muro di facciata della casa adiacente a casa Filippi, caratterizzata dall’ampio porticato in cui venivano parcheggiati i carretti. Nel muro perimetrale del dehor del bar di Valdocco, si possono vedere le arcate, le colonne in mattoni rossi con il marcapiano in pietra chiara e le chiavi metalliche di bloccaggio dei tiranti di questo edificio che, molto probabilmente, è oggi il reperto edificato più antico che abbiamo a Valdocco.
Casa Pinardi
Casa Pinardi, costruita dai fratelli Filippi, viene comprata dal signor Pinardi il 14 luglio 1845 come investimento che garantisce una rendita grazie all’affitto dell’intera casa concluso con Pancrazio Soave il 10 novembre 1845.
Sul retro della casa, il signor Pinardi fa costruire una tettoia anch’essa concessa in affitto al signor Pancrazio Soave (fabbricante di soda), il quale a marzo del 1846 la subaffitta a don Bosco. Particolare interessante che lo stesso don Bosco ci racconta nelle sue Memorie dell’Oratorio, giocando sulle parole, è che lui cerca un “oratorio” e il Soave gli offre la disponibilità di un “laboratorio” a conferma che in questa zona era alta la domanda di laboratori dove avviare un’attività artigianale. Don Bosco affittata la tettoia dal signor Pancrazio Soave, la trasforma in una semplice cappella che inaugura il giorno di Pasqua, era l’11 aprile 1846. Poi don Bosco si ammala gravemente tanto che la sua vita è seriamente in pericolo e per essa i giovani pregano con fervore la Consolata. Si ritira convalescente presso la casa materna a Castelnuovo per tutta l’estate del 1846 e quando torna a Valdocco con sua mamma il 3 novembre 1846 prende tre stanze a pigione in casa Pinardi. Il mese successivo, cioè a dicembre 1846, affitterà tutta la casa memore dello sfratto dalle tre stanze ricevuto la primavera precedente dal canonico Moretta per le lamentele degli altri condomini che mal sopportavano, dopo una giornata di intenso lavoro, gli schiamazzi serali dei ragazzi di quel prete strano.
Paga l’affitto della casa per cinque anni, nel frattempo l’oratorio festivo è diventato anche una casa per una ventina di ragazzi e, il 19 febbraio 1851, finalmente potrà comprarla pagandola Lire 28 500. Per acquistarla don Bosco deve mercanteggiare non poco con Pinardi, che all’inizio della trattativa chiedeva l’esorbitante somma di Lire 50 000. Da osservare che il Pinardi aveva pagato la casa ai fratelli Filippi Lire 14 000 e dopo soli sei anni la rivende a don Bosco per più del doppio del prezzo di acquisto. Applicando un indice di rivalutazione storica che parte dall’unità d’Italia (1861) il prezzo pagato da don Bosco per casa Pinardi e il terreno circostante, corrisponde oggi (2022) ad un prezzo di acquisto di circa Euro 150000,00.
(Continua)