LA STORIA CONTINUA
GIAMPIETRO PETTENON
Museo Casa don Bosco
Alla scoperta di un edificio ricco di storia.
Progetti per il futuro
Il primo obiettivo di don Bosco, finalmente proprietario della casa in cui abita con Mamma Margherita e i suoi ragazzi, è quello di costruire una nuova chiesa che sostituisca la cappella troppo bassa e angusta, incapace di contenere i numerosissimi giovani che frequentano l’oratorio festivo.
A casa Pinardi non dedica alcuna particolare attenzione. È una casa singola di cinque stanze allineate fra loro con al centro una stretta scala in legno che conduce al ballatoio del primo piano, dove ci sono altre cinque stanze. La superficie della casa corrisponde a quella dell’attuale porticato del museo Casa Don Bosco, con una lunghezza complessiva che, partendo dalla porta di ingresso dell’attuale cappella Pinardi, arriva alla scala centrale del museo. Non ha il piano interrato, né il porticato, né gli abbaini. Accanto alla casa sul lato ad occidente che confinava con Casa Bellezza, vi era il cortile di gioco dell’oratorio festivo. Qui don Bosco progetta ed inizia subito a costruire la chiesa di San Francesco di Sales. Posa la prima pietra il 20 luglio 1851 e dopo soli undici mesi, il 20 giugno 1852, festa della Madonna Consolata a lui tanto cara, avviene la consacrazione della chiesa.
A questa prima edificazione ne seguiranno molte altre, in continuazione, fino alla morte del santo e oltre. Tanto che la Valdocco salesiana, un intero isolato nel quartiere cittadino che progressivamente prende forma, sarà un continuo cantiere per quasi cent’anni.
Gli ultimi edifici verranno eretti nei primi anni ’50 del Novecento sulle macerie della devastazione subita dalla Casa Madre della Congregazione salesiana, nel bombardamento avvenuto durante la seconda guerra mondiale: il Teatro Grande al posto della scuola ginnasiale, il Centro di Formazione Professionale al posto del primo teatro voluto da don Rua ad inizio Novecento e la cosiddetta Casa Audisio al posto dell’antica casa Filippi – già a suo tempo ampliata da don Bosco nel 1861 – e del primo edificio scolastico costruito appositamente a tale scopo nel 1863.
Il refettorio dei ragazzi
La chiesa di San Francesco di Sales è il primo edificio che don Bosco costruisce all’Oratorio; l’edificio presenta una caratteristica innovativa per il tempo, che sarà poi replicata in tutte le chiese costruite da don Bosco e dai suoi figli in America del Sud.
Mi riferisco al piano interrato.
Tradizionalmente le chiese non si costruiscono con un intero piano abitabile sotto il pavimento dell’edificio sacro. Sovente, nelle grandi chiese più antiche c’è una cripta, un piccolo sacello, che custodisce le reliquie del santo a cui il luogo di culto è dedicato.
Stupisce non poco l’idea di don Bosco, ripresa poi fedelmente dai salesiani, di iniziare la costruzione di una chiesa partendo da un piano interrato, delle medesime dimensioni della chiesa soprastante, che a seconda delle necessità sarà destinato a refettorio dei ragazzi, oppure a laboratorio, sala di ricreazione, teatro, cappella…
Come dicevo poco sopra, dopo la chiesa di San Francesco di Sales, don Bosco avvia la costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice, poi quella di San Giovanni Evangelista sempre a Torino in Corso Vittorio Emanuele II, infine la Basilica del Sacro Cuore a Roma. In tutte è presente il piano interrato.
Non solo. A Buenos Aires don Ernesto Vespignani, architetto salesiano e grande missionario in Argentina, progetta e realizza ad inizio Novecento la grandiosa Basilica di San Carlo Borromeo e di Maria Ausiliatrice e, ovviamente, anche in questo caso la costruzione prevede un intero piano interrato sulla medesima sagoma della chiesa soprastante. E lo stesso dicasi della Basilica di Maria Ausiliatrice a Lima, capitale del Perù, sempre ad opera di don Vespignani.
Don Bosco e i suoi figli spirituali hanno sempre “fame” di spazi per accogliere più ragazzi possibile in casa salesiana. E se la parte superiore delle chiese è abbellita da cupole, guglie, torri, campanili, statue… nel piano interrato, che a nessuno crea disturbo, ci collocano ambienti di vita della loro opera educativa.
Da quanto ci trasmettono le cronache salesiane, il piano interrato di San Francesco di Sales rimane incompiuto ed inutilizzato per i primi sei anni. È nel 1858 che don Bosco completa questo ampio locale sotterraneo e lo adibisce a refettorio dei ragazzi ospiti nell’oratorio, che nel frattempo sono diventati duecento.
Va ricordato inoltre che don Bosco non volle mai costruire un teatro nel suo Oratorio a Valdocco e quindi in occasione degli spettacoli teatrali messi in scena dai ragazzi, nei primi tempi il refettorio fungeva anche da teatrino con il palco allestito nel catino absidale a nord, sottostante il presbiterio della chiesa.
Ora questo ambiente – molto suggestivo dal punto di vista architettonico perché ha la copertura voltata con archi ribassati, ampie finestre che portano dentro la luce naturale ed è la sala più grande di tutto il museo – presenta la collezione di opere della devozione mariana e oggetti sacri appartenenti al tesoro della Basilica di Maria Ausiliatrice.
Il locale, per scelta museografica, non ha impianto di illuminazione propria. La luce, soffusa, viene dai lucernari che lasciano filtrare obliquamente i raggi solari e dalle teche di esposizione a tutto vetro che, illuminate al loro interno, evocano grandi lanterne che indicano il cammino al visitatore.
Tre elementi importanti
Degni di nota in questo locale sono tre elementi architettonici.
Il primo è il pavimento originale; uno dei pochi conservati dal tempo di don Bosco. È in lastre di pietra di Luserna – la pietra tipica di Torino – di forma irregolare, posate a comporre un mosaico di forme sapientemente incastrate l’una all’altra. Al momento di togliere questo pavimento per fare i lavori di sottofondazione della chiesa (la chiesa non aveva vere fondamenta; abbiamo scoperto che i muri perimetrali partivano da terra a soli venti centimetri dalla quota di calpestio) e degli impianti tecnologici necessari all’esposizione museale, si è provveduto a fotografare la collocazione delle pietre, asportarle, numerandole una ad una, per poi ricollocarle nella medesima posizione una volta ultimati i lavori. Quelle pietre che stiamo calpestando noi oggi visitando il museo, sono le stesse su cui hanno camminato don Bosco, Michele Rua, Giovanni Cagliero e tanti altri giovani prima, e salesiani poi, che ben conosciamo.
La seconda caratteristica di questo locale sono i due telai superstiti delle finestre originali. Commuove vedere i piccoli vetri tenuti insieme da fermi in metallo, perché troppo piccoli rispetto alla cornice in legno della finestra, che avrebbe dovuto/potuto contenerne di più grandi. Ma erano anni di estrema povertà, si economizzava su tutto, anche su una piccola lastra di vetro che veniva “cucita” con un’altra, anch’essa troppo piccola da sola per l’uso che serviva.
Ultimo elemento degno di nota sono i due tronchi di scale contrapposti fra loro e collocati nei due piccoli transetti del locale, che dai cortili esterni immettevano direttamente nel refettorio. Probabilmente erano scale riservate una agli studenti e l’altra agli artigiani; distinzione in due categorie di ragazzi accolti in Oratorio, venutasi a creare a Valdocco con il passare degli anni e con l’organizzazione sempre più puntuale di spazi, orari e attività che scandivano la vita dei tantissimi giovani ospiti di don Bosco.
Il criptoportico
Di fianco al refettorio dei ragazzi (sul lato orientale), sempre nel piano interrato, al momento di mettere mano al restauro del fabbricato, vi era un locale estremamente degradato a causa dell’umidità, sottostante il cortile di casa Pinardi. Pareva una dispensa o un deposito a servizio della vicina cucina o del refettorio stesso. Invece i documenti d’archivio ci hanno rivelato una storia ben diversa. Era un corridoio sotterraneo (criptoportico), costruito da don Bosco nel 1870, in occasione dell’ampliamento del coro e delle sacrestie della basilica di Maria Ausiliatrice.
La basilica viene consacrata il 9 giugno 1868. Solo due anni più tardi don Bosco ne amplia la parte terminale dietro l’altar maggiore, avvicinando così la basilica alla chiesa di San Francesco di Sales che è sul retro ed anzi, collegando i due edifici tramite un ampio porticato a livello del cortile, a cui corrisponde nel piano interrato un altro portico a servizio del forno per il pane.
Fino al 1870 don Bosco comprava il pane per le numerose bocche da sfamare che aveva in casa e il pagamento del panettiere a fine mese era sovente una tragedia che solo il ricorso alla Provvidenza poteva risolvere. Ad un certo punto decide di farlo in casa, il pane. Per questo costruisce un grande forno sotto la nuova sacrestia di levante e collega il locale del forno con la cucina e i refettori, che sono tutti al piano interrato, tramite questo criptoportico. Quello che noi ora percorriamo è solo la metà della lunghezza originale di questo porticato sotterraneo. La parte mancante è stata demolita e inglobata nei sotterranei della basilica in occasione del grande ampliamento avvenuto negli anni ’30 del Novecento.
Vediamo nella pianta sottostante a firma di don Bosco e del progettista Luigi Spezia, datata 24 marzo 1870, la sagoma in colore rosso del coro sul retro della basilica e del portico che, affiancandosi alla chiesa di San Francesco di Sales, arrivava fino a casa Pinardi.