BS Giugno
2022

IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE

P.M.

Monsignor Jesus Tirso Blanco

Salesiano, vescovo della Diocesi di Luena, Angola, morto il 22 febbraio, a Negrar, nei pressi di Verona, dopo una lunga malattia, a 64 anni d’età.

«Fin da piccolo sentivo di voler essere prete. Chiesi di entrare in aspirantato, mia madre si opponeva perché ero troppo piccolo, solo 12 anni, ma poi acconsentì. Mi segnò molto l’esperienza in un barrio della periferia di Buenos Aires, Isidro Casanova. “Fuggivo” dall’aspirantato per fare catechismo. In noviziato manifestai al Direttore spirituale il mio desiderio di essere missionario. Durante il postnoviziato frequentai la miglior università missionaria: La Cava, una favela della zona nord di Buenos Aires».

Jesús Tirso Blanco era nato a Ramos Mejía, in Argentina, il 3 marzo 1957. Frequentò il noviziato salesiano a Manucho, emise la prima professione il 31 gennaio 1976 e quella perpetua il 24 gennaio 1982, e venne ordinato sacerdote il 28 settembre 1985 a San Justo.

Già l’anno dopo alla sua ordinazione partì missionario per l’Angola, con prima tappa a Luena, dove anni dopo tornerà da vescovo. Nei suoi anni di servizio missionario e pastorale salesiano fu Parroco (1992-94) e Direttore (1994-95) e a N’dalatando, poi Vicario dell’opera “Sao Paulo” di Luanda (1995-99), quindi Direttore (2000-07) e Parroco (2007-08) dell’opera “Sao José” nella zona di Lixieira, presso Luanda, e infine Vicario della Sede della Visitatoria “Mamá Muxima” dell’Angola (ANG).

Per la Visitatoria ANG ha servito come Delegato per la Comunicazione Sociale (2004-08), Vicario (2005-07), Delegato per la Pastorale Giovanile, per l’Evangelizzazione e la Cultura (2006-2008).

Ricevette la nomina a vescovo della diocesi di Luena il 26 novembre 2007, venendo consacrato il 2 marzo successivo.

«Nel 1985, chiesi contemporaneamente la grazia dell’ordinazione sacerdotale e quella di partire come missionario per la destinazione che avesse più necessità. Non avevo preferenze: dall’Ecuador alla Cina. In quel tempo, la Congregazione si era impegnata nel Progetto Africa e fui mandato in Angola. Un vecchio salesiano, una persona molto capace, mi disse che provava una grande invidia perché lui aveva chiesto tutta la vita di andare in missione e non era mai stato accettato. Sono profondamente riconoscente all’Ispettore che mi ha permesso di diventare missionario. Non sapevo molto dell’Angola. Mi procurai una carta geografica. Arrivato in Angola fui destinato a Lwena. I poliziotti mi chiesero: «Ma lei sa dove va?». Così appresi che Lwena, teatro di frequenti operazioni militari, non era un bel posto dove abitare. Ma per me è stato l’ambiente migliore per incontrare Dio nella missione, in comunione con un popolo nuovo che mi adottò subito come uno della loro famiglia».

E in merito alla sua diocesi, comprendente tutta la provincia di Moxico, la più vasta dell’Angola, grande come tutta l’Italia, situata nell’estremità orientale del Paese, osservò: “La mia diocesi condivide sfide e problemi dell’Angola, esasperati dalle enormi distanze, la mancanza di strade e la scarsità di missionari (e intendo clero, soprattutto locale, i religiosi e le religiose e i laici ’professionalmente’ missionari). Il nostro territorio diocesano ha bisogno di Dio, ma manca di persone formate che aiutino la popolazione a diventare artefice della propria crescita spirituale e materiale. Questo si somma alle distanze e alla mancanza di comunicazioni».

Mons. Tirso Blanco ha vissuto semplicemente e totalmente consegnato alla missione. Come salesiano e come vescovo si è concentrato sul miglioramento della qualità della vita dei poveri, nell’educazione, nei centri sanitari, nelle strade, nella ricostruzione delle chiese distrutte dalla guerra.

«In un incontro internazionale di evangelizzatori qualificati ho chiesto di non contagiarci con l’«europessimismo ecclesiale». La nostra Chiesa è viva, le nostre celebrazioni sono festose, abbiamo la consolazione del «bagno di folla». Ma ha bisogno di evangelizzazione in profondità, di persona a persona, di andare incontro alla gente, ai giovani, senza paura di «consumare le scarpe». Il futuro è buono, come sempre pieno di sfide, ma accompagnato dalla sensazione della possibilità del successo.

«Quando ero parroco, direttore o responsabile della pastorale, mi piaceva molto ripetere a braccio una frase di don Bosco, prima di tutto per me, poi per i collaboratori e tutto il mondo: «Stiamo portando avanti una serie di progetti che agli occhi del mondo sono come favole o pazzie, ma se teniamo duro Dio li benedirà e tutto sarà rose e fiori. Il motivo per ringraziare, pregare e credere».

Questa frase appartiene all’Angola Salesiana.

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