LA NOSTRA FAMIGLIA

STEFANO DI MARIA

Mettiamo in circolo
accoglienza e futuro

Se nel 1998, anno di fondazione dell’Associazione Don Bosco 2000, avessero detto ai tre soci fondatori Cinzia, Agostino e Antonino (Salesiani Cooperatori) che avrebbero avviato oratori in Africa ed attività di sviluppo in Senegal, probabilmente sarebbero rimasti increduli davanti a tanta grazia, eppure è ciò che è successo.

Sono le 7 del mattino a Tambacounda, per gli amici “Tamba” in Senegal. Come ogni mattino si inizia a creare una fila di ragazzi davanti alla nostra sede, una fila affamata e sorridente. All’HUB Salésienne di Don Bosco 2000 si è pronti per servire la colazione ai talibè.

I talibé sono bambini dei villaggi, i veri ultimi, settimi o ottavi figli in ordine di nascita di famiglie musulmane che, impossibilitate a sfamarli, li affidano ai Marabù, maestri della scuola coranica, i quali li reclutano esclusivamente per elemosinare in strada e portare una diaria giornaliera differente in base all’età del bambino.

A servire un pasto in sede c’è Amarà, un giovane senegalese, nato nel vicino villaggio di Bode, che dopo un breve periodo passato in Congo e Centrafrica a vendere cellulari per vivere, era pronto a fare i “bagagli” e partire per il “viaggio della speranza” verso le coste dell’Europa, finché non ha incontrato l’Associazione Don Bosco 2000, andata in Africa “per mettere il grembiule” parafrasando don Tonino Bello.

Un percorso “all’incontrario” quello che propone l’Associazione, facendo accoglienza dei migranti sulle coste siciliane. Negli anni ha messo a punto un sistema di RVA, rimpatrio volontario assistito, come lo chiamano gli addetti ai lavori, decisamente fuori dal comune e che sta portando i suoi frutti: la Cooperazione Circolare.

«Sai fischiare?»

Se nel 1998, anno di fondazione dell’Associazione Don Bosco 2000, avessero detto ai tre soci fondatori Cinzia, Agostino ed Antonino (Salesiani Cooperatori) che avrebbero avviato oratori in Africa ed attività di sviluppo in Senegal, probabilmente sarebbero rimasti increduli davanti a tanta grazia, eppure è ciò che è successo. L’oratorio di Piazza Armerina (Sicilia), affidato a loro dopo la chiusura della casa FMA nella cittadina, è stato per anni punto di riferimento per i giovani della città ed ha continuato ad esserlo anche nel 2011 quando, all’apice della migrazione Africa-Europa, Cinzia Agostino ed Antonino (SSC) si sono sentiti chiamati ad accogliere gli ultimi, i giovani migranti, coloro che don Bosco nell’800 avrebbe chiamato “i suoi ragazzi”, gli stessi ragazzi che anziché dalle campagne alle città come nella Torino di allora, ad oggi scappano da guerra e abusi di ogni genere alla ricerca di un posto più sicuro: l’Europa. L’oratorio quindi sempre più inclusivo, oltre ai ragazzi della città accoglie anche questi giovani migranti che hanno portato con loro storie, gioia e sano entusiasmo pronti a mescolarsi con le attività invernali ed estive d’oratorio, di comunità.

Negli anni l’attività di accoglienza è continuata, un’accoglienza fatta con amore e responsabilità, centinaia i laboratori, le attività proposte e quel “sai fischiare?” di Garelliana memoria detto e ridetto alle migliaia di giovani accolti sin d’oggi. Fin quando nel 2016 la svolta: Seny ragazzo migrante poco più che ventenne, incontrando Cinzia, Agostino e Antonino (SSCC) con una richiesta quasi “sui generis”, diremmo all’occidentale, ha acceso una scintilla: “Ragazzi, voglio tornare in Africa”.

L’oratorio nella savana

Davanti a tale desiderio, non si può certo restare con le mani in mano e lì l’intuizione: accompagniamolo, proviamo a capire da che cosa scappano, come scappano, perché scappano e quali possibilità don Bosco oggi avrebbe trovato loro, i suoi ragazzi.

E così nel mese di novembre di quel 2016 ha avuto luogo la prima missione. Destinazione Dakar prima e Tambacounda poi (oggi sede dell’associazione).

Il primo approccio della comunità è stato certamente diffidente, tra gli sguardi curiosi di bambini e sospettosi degli anziani del villaggio; grazie alla mediazione di Seny tuttavia si è cercato di comunicare con un unico linguaggio, il linguaggio della gratuità, della carità ed ecco quindi il fiorire dopo tante peripezie dei primi orti di comunità, dei primi pollai che hanno sfamato e continuano a sfamare migliaia di persone anche dei villaggi circostanti, un’azione costante, ripetuta e reiterata nelle continue missioni che si alternano di mese in mese, mai fermate, nean­che in periodo COVID, perché la carità non può fermarsi, la carità ha necessità costante di braccia e gambe capaci di creare sviluppo e menti ragionevoli capaci di mettere a frutto la provvidenza. Ecco quindi la ricetta di don Bosco, quella del Sistema Preventivo che si fa carne, si fa attualità. Su quest’esperienza ci sarebbe davvero tanto da dire, come di quella volta che durante una missione si è spesso animato per strada, raccolto i sorrisi dei bambini ed accolto la loro gioia, di quella volta che sono stati donati banchi e attrezzature scolastiche costruendo un ponte Sicilia-Tambacounda o come di quella volta in cui si è andati per attrezzare l’oratorio realizzato nella savana in memoria di don Baldassarre Meli – il parroco dei migranti e dei bambini – come lo apostrofava una testata giornalistica per il suo impegno e lavoro nelle periferie di Palermo.

Don Meli è stato un Salesiano di Don Bosco, che nella fase terminale della sua malattia, aveva espresso il suo desiderio, non realizzato in precedenza, di poter andare in Africa attraverso le offerte che sarebbero pervenute dopo la sua scomparsa.

Ma torniamo ad Amara. Amara è amico di Seny, ormai è l’azione concreta e continua per le genti dei villaggi che riconoscono in Don Bosco 2000 un punto di riferimento, un aiuto costante. Amara è il primo vero frutto della Cooperazione Circolare in quello che definiamo “Corridoio Culturale”.

La Cooperazione Circolare

La Cooperazione Circolare consiste in un nuovo approccio alla cooperazione internazionale allo sviluppo. Un progetto in cui i protagonisti sono i beneficiari stessi dei progetti di accoglienza di Don Bosco 2000; e in cui, tramite azioni reali, la carità si fa portatrice di sviluppo. Si basa sul concetto classico di cooperazione decentralizzata, favorisce un trasferimento di competenze e di capitali verso gli stati di origine dei migranti, promuovendo il loro sviluppo e rispondendo al contempo alle esigenze del mercato del lavoro del paese ospitante. Pertanto, la Cooperazione Circolare si concentra sull’idea del “viaggio di andata e ritorno” del cooperante ue e del migrante cooperante come risposta alla fluidità del mercato del lavoro globale.

I migranti circolari hanno così la possibilità di acquisire nuove capacità da spendere una volta tornati nel proprio paese. La circolarità fornisce ai migranti africani gli strumenti per diventare agenti di sviluppo nel proprio paese d’origine, rivisitando così l’obsoleto concetto di cooperazione Nord-Sud a favore di una nuova prospettiva di transnazionalità e di presenza simultanea del migrante nel paese d’integrazione e di origine.

In concreto, le azioni di Don Bosco 2000 includono, e hanno incluso, la creazione di orti sociali, la pollicoltura e l’allevamento ovino e caprino, che servono come attività generatrici di reddito per le comunità locali. Inoltre, le operazioni di micro-impresa hanno un forte carattere ambientale: gli orti sostenibili sono creati scavando pozzi nella savana, alimentati da pannelli solari con energia completamente pulita.

In questo contesto ogni migrante circolare gestisce mezzo ettaro di orto, producendo verdure per rifornire i propri villaggi soprattutto durante la stagione secca.

Inoltre, la costruzione di una sede principale in Senegal ha permesso all’associazione di interagire con la comunità locale e ha dato vita a momenti di condivisione di bisogni e problemi che sono stati presi in carico nel corso degli anni. I temi più frequenti sono stati l’educazione dei bambini, lo sfruttamento dei bambini talibé e il duro lavoro delle donne che spaccano pietre per guadagnarsi da vivere. Visti questi problemi, la collaborazione con i migranti circolari si è estesa al lavoro con le stesse associazioni locali.

Tenendo in considerazione quanto detto, e le capacità di questo progetto di fornire un cambiamento reale e sostenibile, crediamo che la cooperazione circolare possa porre le basi alla lotta contro la migrazione forzata.

La storia di Amarà

Amarà aveva il desiderio di migrare verso l’Europa alla ricerca di un destino, forse, migliore. Bene Amarà in Europa c’è stato, questo gennaio, non da migrante ma con regolare visto e biglietto aereo in visita alle nostre sedi in Sicilia per una full immersion formativa, per conoscere le nostre realtà europee, i nostri strumenti, i nostri metodi per una formazione continua e snella per ottimizzare tutti gli sforzi in Africa. Questo permetterà di essere più efficaci ed efficienti nelle nostre progettualità che non vogliono avere il classico approccio “coloniale” bensì progettualità partecipate da giovani e donne del villaggio, scelte dalla comunità e semplicemente accompagnate dalla nostra conoscenza, devozione ed impegno. Ad oggi contiamo più 30 missioni in Senegal, Gambia e Mali, più di 5 pollai, 4 orti di comunità, 1 progetto di microcredito, 2 finanziamenti di progetti di giovani associazioni locali, assistenza all’empowerment femminile, 10 collaboratori africani regolarmente impiegati nelle attività, più di 100 bambini talibé sfamati ogni giorno e migliaia di altri bambini a cui abbiamo fornito cure mediche e kit scuola, frutto di investimenti provenienti dai donatori e della campagna di raccolta fondi, sempre attiva, acasaloro.it.

Quest’anno per noi Salesiani ricorre l’anniversario del primo contratto di apprendistato teorizzato da don Bosco: 170 anni fa questo Santo imprevedibile riceveva l’intuizione dallo Spirito Santo per un’innovazione che tutt’oggi rappresenta un modello per lo sviluppo integrale dell’uomo. La Cooperazione Circolare non vuole di certo avere la stessa pretesa, tuttavia crediamo fermamente che possa essere il modo giusto per continuare a “camminare coi piedi per terra e col cuore abitare il cielo”, ovunque questo cielo sia.

COOPERAZIONE CIRCOLARE

La Cooperazione Circolare è teorizzata dalla dott.ssa Roberta La Cara e dal dott. Agostino Sella (Salesiani Cooperatori) nel saggio “La cooperazione circolare, Dal progetto pilota al modello teorico” (2021) edizioni Nuova Cultura.

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