LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
L’utopia possibile della solidarietà
Ho fatto un sogno / e ho visto un posto in cui milioni di persone danno vita a un altro sole; / sai che c’è? / Tutti erano importanti e si fidavano degli altri (Ermal Meta)
La storia degli ultimi decenni ha interpretato unilateralmente come una conquista il crescente individualismo che si è andato affermando a livello sociale ed esistenziale. Soprattutto tra i giovani, cresciuti all’ombra di una cultura insofferente verso ogni forma di obbligo interiore o di vincolo esteriore che ingessi le scelte del singolo e svilisca la soggettività, si è fatto strada il culto di una libertà assoluta e inderogabile, da perseguire a tutti i costi e a qualsiasi prezzo. Una libertà intesa come indipendenza illimitata, come autonomia incomprimibile nei confronti di qualsiasi legame che, a lungo andare, possa rischiare di restringere il proprio spazio d’azione, come capacità di autodeterminarsi in ogni situazione, rispondendo unicamente ai propri bisogni e desideri. Una libertà che, per difendere se stessa, non esita a scavare fossati e innalzare steccati insormontabili.
Accade così che un valore di per sé positivo, frutto di lotte secolari e di più recenti battaglie in direzione del riconoscimento di sempre nuovi diritti, si trasformi talvolta in una trappola, in una “cella di lusso” – come l’ha definita qualcuno – che, mentre ci regala il miraggio di poter difendere la nostra vita da ogni condizionamento esterno e dalle intrusioni altrui, ci condanna alla solitudine esistenziale, al silenzio assordante dell’assenza di relazioni, erigendo un muro sempre più alto tra noi e chi ci vive accanto.
Forse mai come in questo momento storico ne stiamo acquisendo consapevolezza! La smania di salvaguardare la nostra privacy, il nostro “spazio vitale”, il nostro diritto insopprimibile a una libertà che non conosce limiti o compromessi, ci ha reso sordi alle richieste di aiuto di chi ci sta intorno, indifferenti a quello che accade oltre il recinto impenetrabile del nostro giardino, sempre più diffidenti e distanti nei confronti degli altri. E se tanto abbiamo guadagnato in benessere e sicurezza, altrettanto abbiamo perso in termini di “umanità”.
Ciò non significa, tuttavia, che il processo sia irreversibile. Anzi proprio la crisi profonda che la nostra società sta attraversando, se da un lato ha contribuito a sgretolare l’illusione che il nostro stile di vita fondato sul primato assoluto dell’individuo e dei suoi bisogni soggettivi potesse durare indefinitamente, dall’altro ci pone di fronte all’urgenza, ormai non più derogabile, di recuperare il valore della “compassione” e della solidarietà.
È nel riconoscerci come ospiti di passaggio della stessa Terra, tutti ugualmente fragili e smarriti nell’attraversare la tempesta della vita, che possiamo riscoprire l’importanza del contributo di ciascuno per costruire un mondo più giusto e accogliente verso ogni donna e ogni uomo. È nel condividere la stessa sorte di sofferenza e disorientamento, fatta di fallimenti e costole rotte, che possiamo ricominciare a sentirci vicini, “diversi, eppure uguali” nel nostro universale bisogno di amore e felicità.
Un’ “utopia possibile”, in cui si possa essere autenticamente liberi anche senza disegnare confini, in cui l’individualismo incondizionato lasci il posto a stili di vita più aperti e solidali, rispettosi della dignità di ognuno, in cui la consapevolezza di appartenere alla stessa comunità umana ci faccia sentire responsabili della salvezza di ogni nostro fratello e ci aiuti a riscrivere la grammatica della reciprocità.
Ho fatto un sogno
e ho visto un posto in cui milioni di persone
danno vita a un altro sole;
sai che c’è?
Tutti erano importanti e si fidavano degli altri,
come me che mi fido di te,
non c’era nessuno di giusto o sbagliato;
ci ho creduto, perché in fondo sembrava possibile…
Con le mani
che si aggrappano al cielo stanotte
siamo meno lontani,
ma nel fango della stessa sorte.
Tutti noi siamo uguali,
che ridiamo con le costole rotte
per andare avanti,
andare avanti così…
E non sei buono, non sei cattivo,
ma sei quello che hai vissuto;
tutto questo lo sai bene solo te.
E quante sconfitte hai dovuto ingoiare,
pensando che forse una cosa migliore
non ti poteva succedere…
Di piuma le montagne,
di carta le catene,
divisi, eppure insieme,
scompaiono i confini,
diversi, eppure uguali
restiamo più vicini!
Con le mani
che si alzano al cielo stanotte
siamo meno lontani,
ma nel fango della stessa sorte.
Tutti noi siamo uguali
e balliamo con le costole rotte
per andare avanti,
andare avanti così,
andiamo avanti così…
Di piuma le montagne,
di carta le catene,
divisi, eppure insieme,
andiamo avanti così;
scompaiono i confini,
diversi, eppure uguali,
restiamo più vicini,
ricominciamo da qui…
(Ermal Meta, Un altro sole, 2021)