LA LINEA D'OMBRA

ALESSANDRA MASTRODONATO

L’umanità del limite

La fede è come un’arma per combattere ogni sfida. / Ho fede in Te e ho fede nell’Amore, / per descrivere la fede, poi, non servono parole. /La fede è un conduttore fra un dubbio e questo immenso / quando il resto perde il senso…

Mai come nella presente fase storica l’uomo ha accarezzato il mito – e l’illusione – dell’onnipotenza, l’altera convinzione di essere pienamente padrone della propria storia, di essere in grado, con le proprie scelte e con le proprie azioni, di autodeterminarsi e di tendere a forme via via più elevate di autorealizzazione, fino alla miope pretesa di poter spostare sempre un po’ più in là la soglia della propria finitudine.

Nessuno può ritenersi veramente immune da questa tentazione, ma essa sembra essere più marcata nei giovani adulti, cresciuti all’ombra di una società che ha fatto dell’efficienza e della perfezione il proprio modello di riferimento e spesso schiavi di una soggettività ipertrofica ed eccessivamente dilatata che non è più abituata a fare i conti con i propri limiti. Una generazione che, non a torto, nutre grande fiducia nella propria capacità di trasformare in meglio il reale, ma che talvolta fatica ad accettare la strutturale fragilità della condizione umana, la provvisorietà dell’esistenza, le tante debolezze che ciascuno di noi si porta dentro, l’impotenza dell’individuo di fronte alla sofferenza e alla morte.

Eppure è proprio il “senso del limite” che ci restituisce la nostra umanità. Potrà, forse, sembrare un argomento paradossale, una riflessione del tutto dissonante rispetto a una cultura che rifiuta programmaticamente l’imperfezione e non ammette il fallimento. Ma la questione del limite ci richiama ad un “principio di realtà” che non deve mai venire meno nel cammino verso l’adultità: la consapevolezza che ci sono eventi che sfuggono al nostro controllo, verità al di fuori della nostra portata, mancanze con cui dobbiamo imparare a convivere.

Lungi dal rappresentare uno schiaffo all’orgoglio e all’amor proprio, il riconoscimento e l’accettazione del limite costituiscono un’importante scommessa educativa. Perché vivere senza limiti significa essere come «acqua senza argini, che non scorre e si impaluda e infine evapora sotto il sole, senza portare a niente».

È nel percepirci come “esseri finiti e limitati” che riusciamo a valorizzare appieno il tempo che ci è dato di vivere, a ridare un senso e una direzione di marcia alla nostra esistenza, ad individuare una chiave di accesso per comprendere e accettare tutto ciò che, nella nostra quotidianità, rimanda alla dimensione della fallibilità.

Affinché la consapevolezza della nostra fragilità non si trasformi in una trappola o in un alibi a rinunciare in partenza ad ogni sforzo di trasfigurazione dell’esistente è, però, indispensabile tenere a mente che, come esseri umani, siamo costantemente in bilico tra finitudine e trascendenza, tra il nostro essere inesorabilmente deboli e imperfetti, con le nostre miserie e i nostri passi falsi, e la nostra “sconfinata” – quella sì davvero priva di limiti – capacità di amare che, a dispetto di tutti i nostri errori e le nostre povertà, ci rende in grado di “fare grandi cose”. Compreso l’essere solidali e compassionevoli verso le fragilità di chi ci sta accanto, nelle quali reciprocamente riconosciamo le nostre.

È, questa, indubbiamente la sfida più ardua verso cui ci sollecita la nostra umanità, ma in questa partita così impegnativa ci viene in soccorso la fede, nella misura in cui ci provoca a interrogarci incessantemente sul significato profondo del nostro “essere nel mondo”, ci incoraggia a ricercare una verità più esigente di quelle cui può accedere l’intelligenza umana, ci aiuta a guardare ogni cosa dal basso, ma anche dall’alto, per comprenderne fino in fondo il senso e rinnovare radicalmente le coordinate della nostra esistenza.     

 

Ho fede nei silenzi colti a un passo dal coraggio,

quando cerco di capire il senso del mio viaggio.

Ho fede nelle cose che mi aspettano domani,

nelle scarpe che porto, ho fede in queste mani.

Ho fede mentre sento la mia fede che fluisce,

energia imbarazzata che costruisce

uno spazio illuminante che dà scopo a questa vita;

la fede è come un’arma per combattere ogni sfida.

Ho fede in Te e ho fede nell’Amore,

per descrivere la fede, poi, non servono parole.

La fede è un conduttore fra un dubbio e questo immenso

quando il resto perde il senso…

Ho fede nelle buche dove sono inciampato,

nelle mie ginocchia rotte e nei giorni che ho sbagliato,

perché oggi non mi spezzo e non abbasso mai lo sguardo

e, se sono così forte, lo devo solo al mio passato.

Ho fede in Te e ho fede nel colore

delle tue risposte acerbe che trasmettono stupore.

La fede è l’impressione di averti sempre accanto

quando ho camminato tanto…

A un passo da domani,

a un passo ormai da Te,

ma cosa rende umani

se non un limite?

A un passo dalla forza

che avevamo e ora non c’è,

ho bisogno di credere,

ho bisogno di Te…

Mi manca l’aria, l’aria sotto i piedi,

da una prigione senza sbarre lasciami scappare.

Quello che cerco io lo so, ma non lo so spiegare,

allora ascolta il mio respiro, io aspetto…

A un passo da domani,

a un passo ormai da Te,

ma cosa rende umani

se non un limite?

A un passo dalla rabbia

che avevamo e ora non c’è,

ho bisogno di credere,

ho bisogno di Te…

(Fabrizio Moro, Ho bisogno di credere, 2019)

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