LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’ultima lettera arrivata… appena in tempo
Le sorprese non finiscono mai.
Quando nei primi anni ottanta del secolo scorso si è iniziato a raccogliere le lettere di don Bosco, in vista della loro pubblicazione – lanciando l’appello ovunque a mezzo stampa, radio, Tv (non esistevano internet e moderni social) – non si poteva immaginare che 40 anni dopo ce ne fossero ancora di sconosciute; tanto più in Italia, tanto più in Piemonte. E invece… ecco l’ultima arrivata appena in tempo per essere inserita nell’ultimo volume dell’epistolario che raccoglie le lettere recuperate “fuori tempo massimo”, ossia dopo la pubblicazione del volume relativo all’anno della loro datazione1. Ci è pervenuta tramite un professore dell’Università Pontificia Salesiana, don Giorgio Zevini, che l’ha avuta in dono dal nipote dello stesso destinatario; oggi è conservata nell’Archivo Salesiano Centrale di Roma.
Il contesto del documento
È quello precedente alla nascita del Regno d’Italia (1861), a dieci anni di distanza dalla concessione nel regno sabaudo della libertà di stampa (1848), libertà che era stata accolta molto favorevolmente anche da chi prima non era libero di propagandare le proprie idee religiose (varie confessioni protestanti, ebrei…). Don Bosco, che già da tempo si stava impegnando nella pubblicazione di libri e fascicoli per la gioventù e per il popolo, soprattutto di testi devozionali e formativi, scese allora direttamente in campo in difesa della fede cattolica che vedeva messa in pericolo.
Nel 1853, su sollecitazione dei vescovi del Piemonte e in collaborazione con il vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Moreno, don Bosco aveva dato vita alla collana “Letture cattoliche”, mensile di poche decine di pagine, formato ridotto, con taglio didascalico, dai toni talora fortemente polemici. In essa erano apparsi scritti suoi e di altri autori. Dal 1862 veniva stampato in proprio a Valdocco e diffuso in tutta Italia attraverso un’invidiabile rete di sacerdoti e laici disponibili a farsi promotori di quella che in futuro sarebbe stata chiamata “la buona stampa”.
Fra i tanti sacerdoti che per diversi motivi mettevano piede a Valdocco, magari per raccomandare a don Bosco qualche fanciullo del paese, un giorno deve essere venuto il “fabbriciere” della parrocchia di Grignasco (Novara), don Bernardino Francione, un sacerdote piuttosto colto. Vista la tipografia salesiana e la collana delle “Letture Cattoliche” deve aver avuto l’idea di pubblicare lui stesso nella stessa collana un libretto sul sacramento della Cresima. Detto fatto, qualche tempo dopo spedì a don Bosco il manoscritto, che, in ossequio alle norme diocesane in vigore, lo sottopose al revisore ecclesiastico stabilito dall’arcivescovo monsignor Luigi Fransoni (in esilio dal 1850 a Lione).
Il giudizio dell’ignoto censore – che a quanto pare conosceva bene l’indole popolare delle “Letture Cattoliche” di don Bosco – fu del seguente tenore: “ll lavoro è buono e potrebbe stamparsi senza difficoltà, se si vuol destinare alle persone culte; ma per queste letture bisognerebbe togliere tutto ciò che ha aspetto di obbiezione: popolarizzare quanto si possono le parole e i periodi, aggiugnere [sic] alcune similitudini od esempi che possono lasciar sentimenti morali nel basso popolo e ne’ cristiani poco istruiti”.
Una significativa postilla
Don Bosco dovette condividere pienamente tale giudizio: a lui interessavano i fanciulli, i giovani, la popolazione italiana semianalfabeta, non gli intellettuali o le “persone culte”. La collana che dirigeva aveva un target molto semplice, il ceto popolare fatto di contadini, operai, artigiani, mamme di famiglia. Ed in questa prospettiva, al giudizio moderatamente positivo del revisore, aggiunse una sua significativa postilla: “Il mio sentimento però sarebbe che ella supponesse di parlare ai suoi parrocchiani e li istruisse intorno al sacramento di cui qui parliamo e intorno al modo di far bene la prima comunione”. Dunque chiedeva al suo interlocutore don Francione – cui attribuisce erroneamente il titolo di parroco (che invece era don Giuseppe Boroli) – un testo scritto che avesse il sapore del parlato, del colloquiale, della predicazione popolare, con suggerimenti vari per la vita morale, secondo i criteri più comuni della mentalità popolare dell’epoca.
La fortuna delle Letture cattoliche
Non risulta che il libretto del suddetto sacerdote sia stato stampato nelle “Letture Cattoliche” e neppure altrove: il nome dell’autore e del titolo del libro non appare nell’enciclopedia degli scritti a stampa dell’Ottocento. Ma rimane il fatto che le “Letture Cattoliche” ebbero un immenso successo. Partite con una tiratura di circa 3000 copie, arrivano a circa 12 000 negli anni 1870: un’enormità per l’epoca. Mantenute a prezzi molto bassi, costituirono il “fiore all’occhiello” della tipografia di Valdocco, che ovviamente metteva sul mercato centinaia di altri volumi, dai grossi dizionari e testi per la scuola ad operette agiografiche ed apologetiche, libri ed opuscoli di storia, d’istruzione religiosa, di carattere devozionale, di circostanza.
Torino, 10 lug.58
Ill.mo Sig. Prevosto,
Le trasmetto l’originale del suo lavoro sopra il sacramento della confermazione. Il giudizio della Revisione ecclesiastica per le letture cattoliche è come segue:
“Il lavoro è buono e potrebbe stamparsi senza difficoltà, se si vuol destinare alle persone culte; ma per queste letture bisognerebbe togliere tutto ciò che ha aspetto di obbiezione; popolarizzare quanto si possono le parole e i periodi; aggiugnere alcune similitudini od esempi che possono lasciar sentimenti morali nel basso popolo e ne’ cristiani poco istruiti”.
Il mio sentimento però sarebbe che ella supponesse di parlare ai suoi parrocchiani e li istruisse intorno al sacramento di cui qui parliamo e intorno al modo di far bene la prima comunione siccome abbiamo detto quando ebbi il piacere di vederla qui all’Oratorio.
Ad ogni modo ella mi abbia sempre fra quelli che di cuore si offrono
Di V. S. Ill.ma
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco G.