BS Febbraio
2022

LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO

FRANCESCO MOTTO

Le sorprese non finiscono mai… davvero!

Caro lettore del BS, ho appena fatto in tempo a scrivere, nel dicembre scorso, che dopo 40 anni di ricerche non sarebbe stato facile scovare altre lettere inedite di don Bosco… ed ecco che sul mio tavolo di lavoro ne giunge una nuova, proveniente da Nizza Monferrato (Asti).

E’ proprio il caso di ripetere “le sorprese non finiscono mai”. Il nuovo documento aggiunge un piccolo tassello alla nostra “storia sconosciuta di don Bosco” per tanti motivi: per la modalità del suo reperimento, per la serietà della sua autenticazione, per il suo contenuto educativo-spirituale.

Un viaggio di 50 km, durato 162 anni

L’11 gennaio 1911 il priore di Sommariva Bosco (Cuneo) il teologo Celso Giulio Francese, previo appuntamento, si presentò nella curia arcivescovile di Torino portando con sé una lettera autografa di don Bosco. Lo attendeva una sorta di tribunale, costituito da un vescovo, il Vicario Generale monsignor Costanzo Castrale, dal promotore fiscale, il teologo Carlo Franco e dal segretario, il teologo Carlo Ferrero. Gli venne chiesto come era venuto in possesso della presunta lettera di don Bosco. Il priore rispose che nel corso di un colloquio con la signorina Anna Betrone, maestra a Sommariva del Bosco, era venuto a sapere che ella possedeva “un prezioso ricordo del venerabile don Bosco”. Si trattava di una lettera scritta al chierico Bartolomeo Alasia [di Sommariva], divenuto successivamente sacerdote, ma ormai defunto. La maestra l’aveva avuta da un suo parente, pure defunto, il quale a sua volta l’aveva ricevuta direttamente dal predetto Bartolomeo. Allora il priore aveva invitato la signorina Betrone a consegnare tale lettera al “Superiore Ecclesiastico”, come era richiesto nel caso di processi di beatificazione. Ella subito aveva accondisceso “dolente di non aver saputo prima, ché del resto l’avrebbe subito consegnata”.

In poche parole: la lettera del 1859 era passata dalle mani del destinatario, l’ex seminarista diventato sacerdote, a un suo parente, da questi alla maestra Betrone, poi al teologo Francese. Infine è ritornata alla legittima proprietaria, signorina Betrone. Ora è conservata nell’Archivio Storico della casa delle fma a Nizza Monferrato. Un viaggio di poche decine di km ma durato 162 anni.

E la Curia di Torino? Il segretario ne trasse subito due copie conformi all’originale (una da conservare e l’altra mandata il giorno dopo alla S. Congregazione dei Riti a Roma), stese il verbale del piccolo interrogatorio che fece sottoscrivere ai presenti e autenticò le carte con il timbro della stessa curia arcivescovile.

Tutto per una letterina… ma di un santo!

I precedenti della piccola storia

Quali i precedenti di questa storia? Era successo che il giovane Bartolomeo Alasia, nato nel 1842 a Sommariva del Bosco e già studente di Valdocco dal 22 ottobre 1856 fino al 7 agosto 1959, era entrato con alcuni suoi compagni nel seminario diocesano di Chieri, convinto, sulla parola dello stesso don Bosco, che non avrebbe pagato la pensione. Invece pochi mesi dopo gli giunse, probabilmente dall’economo del seminario, la richiesta di pagamento. Subito ne scrisse a don Bosco, che immediatamente, il 6 aprile 1858, chiese al Rettore del Seminario di Torino e primo responsabile pure di quello di Chieri, canonico Alessandro Vogliotti, di trasferire la pensione gratuita del giovane Bonetti – che ora lui prendeva in casa sua a Valdocco – al giovane Alasia. Ebbe (o forse presunse di avere) subito il consenso dell’amico Rettore, per cui lo stesso giorno tranquillizzò il giovane dicendo che il Rettore gli avrebbe comunicato la notizia direttamente in seminario a Chieri.

Tutto qui? No, c’è ben altro!

Don Bosco, educatore lungimirante, non si accontentò di “intercedere” perché al giovane e povero Bartolomeo venisse abbonata la pensione del seminario; colse l’occasione per aggiungergli speciali raccomandazioni di indole spirituale, da trasmettere pure ai suoi compagni exallievi di Valdocco. Del loro buon comportamento in seminario era per altro già informato. Gli scrisse dunque:

Per godere favori speciali di questa fatta [la pensione gratuita], ci vuole anche una speciale buona condotta nello studio e nella pietà. Coraggio, adunque. Segui gli avvisi che ti do.

  1. Evitare assolutamente i compagni dissipati e non di buona condotta
  2. Frequenza dei Santi Sacramenti della Confessione e della Comunione
  3. Frequenza, famigliarità, imitazione di quelli che sono più nominati nello studio e morale condotta
  4. Andare ogni giorno a fare una visita, fosse anche di un solo minuto, al SS.mo Sacramento.

Se tu e i tuoi compagni Vitrotti, Galleano, Piano, Sola praticherete questi avvisi, farete un bene all’anima vostra, onore al vostro stato e al luogo dove la Divina Provvidenza ha disposto che foste venuti per gli studi di latinità” [in vista del sacerdozio].

Chiudeva don Bosco la sua letterina con un appello dal sapore giovanneo (1 Giov. 2,7): “Miei cari, amatevi a vicenda, aiutatevi l’un l’altro col buon esempio e col consiglio, e mentre io mi raccomando alle vostre preghiere, vi prego dal Signore sanità e grazia e mi dico tuo /Aff. mo Sac. Gio. Bosco”.

Autenticità sicura

Non c’è dubbio alcuno che si tratti di lettera di don Bosco, anche se è andato forse perso l’originale autografo: ne sono prove convincenti la formale autenticazione della curia torinese, lo stile epistolare proprio di don Bosco e soprattutto il contenuto. In poche righe c’è tutto don Bosco, ossia un instancabile promotore di vocazioni, un attento maestro di vita spirituale, un sacerdote zelante, un cuore appassionato dei giovani. Quanto c’è bisogno ancora oggi di educatori simili!

A questo punto si aprirebbe anche l’interessante e poco conosciuto capitolo della vita di don Bosco sulle tante vocazionali sacerdotali che uscirono da Valdocco: centinaia e centinaia. Don Bosco molto intelligentemente se ne sarebbe servito per “difendere” la sua opera e il suo metodo educativo nelle vertenze con monsignor Gastaldi e con gli ambienti ecclesiastici di Torino e Roma ostili a Valdocco in genere e all’educazione in esso impartita. Ma il soggetto merita uno spazio più ampio di quello qui disponibile.           

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