COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
LE MALATTIE DELL’EDUCAZIONE 1 - La figliolite
La malattia che schiaccia la crescita dei figli.
La ‘figliolite’ è la malattia dei genitori che non si decidono mai a tagliare il cordone ombelicale. Brillante è la descrizione che ne fa il noto pediatra Marcello Bernardi: “I genitori ammalati di ‘figliolite’ non vogliono essere soltanto le fondamenta: vogliono essere tutto, fino all’ultima tegola. Vogliono essere genitori per sempre, genitori in servizio permanente effettivo, per usare un gergo militaresco. Controllano tutto: cibo, vestito, amicizie, giochi, carriere scolastiche, comportamenti, le conseguenze di un simile atteggiamento, se non si vedono subito, si vedranno certo nel periodo dell’adolescenza. Come farà un ragazzo ad affrontare la vita, se non ha mai imparato a vivere? Se tutto è sempre stato deciso da altri, preparato da altri, scelto da altri, guidato da altri?”. Quasi che tutto ciò non bastasse, la ‘figliolite’ è anche la malattia dei genitori che stravedono per i figli, li proteggono, li difendono, comunque! Subito qualche esempio.
Erano ammalate di ‘figliolite’ le madri di Ronco Scrivia che divennero furibonde ed insultarono l’allenatore di calcio che, giustamente, aveva richiamato i loro figli.
Tutte le volte che facciamo noi
una cosa che il figlio può fare da solo, gli rubiamo un pezzo di vita.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella mamma che, per cancellare le prove della colpevolezza del figlio, bruciò ben sette capolavori del famoso pittore spagnolo Pablo Picasso, rubati dal ragazzo al museo di Rotterdam (Olanda) nel Luglio 2013.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella madre dei Parioli di Roma che, convocata dall’insegnante per avvertirla che se non si fosse impegnata di più, la figlia avrebbe rischiato la bocciatura, le urlò in faccia: “Questa è una scuola privata! Io pago. Lei non deve seccarmi!”. Era gravemente ammalata di ‘figliolite’ quella madre di Forlì che denunciò per furto il professore che ritirò il telefonino al figlio di terza media perché, invece di prestare attenzione alla lezione, continuava a guardare un sito pornografico!
La gravità della ‘figliolite’ sta nel fatto che è una maledizione per i figli. Il figlio troppo protetto si illude d’essere infallibile, perfetto, insindacabile: ed ecco la premessa per un futuro despota, un futuro rompiscatole prepotente!
I danni della ‘figliolite’ non si fermano qui.
Da essa nascono i cosiddetti ‘figli prolungati’: i figli, cioè, che non si decidono mai a lasciare la famiglia, per andarsene a vivere in proprio.
La psicologa Maria Rosa De Rita ci dà questo consiglio: “A 27 anni, al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno!”. Se non possiamo arrivare a tanto d’ora in poi, almeno, quando a sera torna a casa il ‘cucciolone’ di 35 anni, non sforniamogli più i sofficini. Sì, perché, diciamocelo chiaro: non è forse vero che talora siamo proprio noi a non volere che il figlio se ne vada di casa? Siamo noi che, a conti fatti, non abbiamo imparato ad amarlo.
Chi ama i fiori non li calpesta né li coglie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nel campo. In termini più pedagogici: amare davvero il figlio è liberarlo del nostro bisogno di aiuto. Amare il figlio è desatellizzarlo, è liberarci dalla ‘figliolite’.
Forse sarà bene “occuparci”
un po’ di più dei figli e “preoccuparci” di meno.
Che fare per liberarci dalla insidiosa ‘figliolite’?
II successo dipende dalla vittoria sul cosiddetto ‘complesso del bagnino’. II bagnino – si sa – teme sempre che qualcuno anneghi. Purtroppo mai come oggi tale complesso ha avuto tanta fortuna. Dice bene l’esperto della situazione infantile italiana Domenico Volpi: “C’è in Italia un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l’idiozia!”. È vero: i rischi dei piccoli non sono un’invenzione, ma neanche devono diventare un tormento, un’ossessione!
Non lasciare – per portare un esempio – che il figlio vada a scuola e torni a casa da solo, è una delle tante paure esagerate!
Non lasciare che il figlio vada a scuola da solo, è privarlo di un’occasione eccellente per acquistare sicurezza, per rinforzargli l’autostima, per aiutarlo ad integrarsi con le persone del quartiere.
In breve, è aiutarlo a desatellizzarsi. Bene è anche non sbucciargli l’arancia quando ha ormai cinque anni. Bene è smettere di insaponarlo il più presto possibile.
Bene è stimolarlo a preparare e spreparare la tavola (anche se i bicchieri e i piatti tremano!). Bene è dargli responsabilità proporzionate alle sue capacità di onorarle.
Bene è non fare mai ciò che il figlio è in grado di fare da solo! Sarebbe rubargli un pezzo di vita! Sarebbe farne un figlio prolungato.
IL SEME DI UN DITTATORE
Non avrete problemi a identificarli: da chi si mette in piedi sull’autobus e si butta sul sedile libero, allo zoticone che fruga tra i popcorn al cinema, all’autista che parcheggia in doppia fila davanti al panificio senza preoccuparsi del traffico… Tutti quelli che lo psicologo Didier Pleux chiama “tiranni adulti”. Personalità centrate su se stesse, indifferenti o quasi indifferenti al prossimo, e il cui numero si dice sia in aumento.
Una insegnante di economia che analizza la sua esperienza, ha individuato un aumento di questi difficili temperamenti: «Gli adolescenti a cui insegno da quindici anni non hanno mai imparato a tenere conto degli altri, il collettivo non ha alcun significato ai loro occhi. Sono incapaci di mettersi in discussione. Ci troviamo di fronte a un fenomeno preoccupante, di cui è giunto il momento di prendere coscienza. Tanto più che una parte di loro sta raggiungendo l’età adulta».
Il tiranno adulto è in una dinamica di piacere come un bambino che ha dimenticato di crescere. Non ha mai veramente interiorizzato i limiti del possibile. Ecco perché non sopporta di sentirsi dire “no”. Solo la realtà, quando si scontra con essa, può fermarlo. Né psicotico né perverso, deve cominciare a piangere il suo desiderio di onnipotenza e accettare i suoi difetti per potersi evolvere. Il tiranno adulto non è una vittima, è in una scelta esistenziale, a cui può decidere di rinunciare.