BS Ottobre
2022

LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO

FRANCESCO MOTTO

Le lotterie: autentiche imprese (seconda parte)

Il salone espositivo

Valdocco non aveva spazi per l’esposizione dei doni, per cui don Bosco domandò al vicesindaco Baricco, tesoriere della commissione per la lotteria, di chiedere al Ministero della guerra, tre stanze di quella parte del Convento di san Domenico che era a disposizione dell’esercito. I padri domenicani erano d’accordo. Il ministro Alfonso Lamarmora in data 16 gennaio le concesse. Ma ben presto don Bosco si rese conto che non sarebbero state sufficientemente ampie, per cui fece chiedere al re, tramite l’elemosiniere, abate Stanislao Gazzelli, un locale più grande. Dal sovraintendente reale Pamparà gli venne risposto che il re non disponeva di locale adatto e proponeva di affittare a sue spese il locale del gioco del Trincotto (o pallacorda: una sorta di tennis a mano ante litteram). Questo locale però sarebbe stato disponibile per il solo mese di marzo e a certe condizioni. Don Bosco rifiutò la proposta ma accettò le 200 lire offerte dal re per il fitto del locale. Messosi allora alla ricerca di altro salone, ne trovò uno adatto su indicazione del municipio cittadino, dietro la chiesa di S. Domenico, a poche centinaia di metri da Valdocco.

Arrivo dei doni

Nel frattempo don Bosco aveva chiesto al ministro delle Finanze, il famoso conte Camillo Cavour, una riduzione o l’esenzione delle spese di spedizione delle lettere circolari, dei biglietti e degli stessi doni. Tramite il fratello del conte, il religiosissimo marchese Gustavo di Cavour, ricevette il consenso per varie riduzioni postali.

Si trattava ora di trovare un perito per la valutazione dell’ammontare dei doni e il conseguente numero dei biglietti da smerciare. Don Bosco lo chiese all’Intendente suggerendone anche il nome: un orefice membro della Commissione. L’Intendente, invece, tramite il sindaco gli rispose chiedendogli una doppia copia descrittiva dei doni arrivati onde nominare un proprio perito. Don Bosco eseguì subito la richiesta e così il 19 febbraio il perito valutò in 4124,20 lire i 700 oggetti raccolti. Dopo tre mesi si arrivò a 1000 doni, dopo quattro a 2000, sino alla conclusione di 3251 doni, grazie al continuo “questuare di don Bosco” presso singoli, sacerdoti e vescovi e alle sue ripetute richieste formali al Comune di proroga del tempo per l’estrazione. Don Bosco non mancò neppure di criticare la stima fatta dal perito comunale dei doni che continuamente arrivavano, a suo dire, inferiore all’effettivo loro valore; ed in effetti vennero aggiunti altri estimatori, soprattutto un pittore per le opere d’arte.

La cifra finale fu tale che don Bosco fu autorizzato ad emettere 99 999 biglietti al prezzo di 50 centesimi l’uno. Al catalogo già stampato con i doni numerati con nome del donatore e dei promotori e promotrici si aggiunse un supplemento con gli ultimi doni arrivati. Fra loro quelli del papa, del re, della regina madre, della regina consorte, deputati, senatori, autorità municipali ma anche tantissime persone umili, soprattutto donne che offrirono oggetti e suppellettili per la casa, anche di poco valore (bicchiere, calamaio, candela, caraffa, cavatappi, cuffia, ditale, forbici, lampada, metro, pipa, portachiavi, saponetta, temperino, zuccheriera). Il dono più offerto furono i libri, ben 629 e i quadri-quadretti, 265. Pure i ragazzi di Valdocco andarono a gara ad offrire il loro piccolo dono, magari un libretto regalato loro da don Bosco stesso.

Un lavoro immane fino all’estrazione dei numeri

A questo punto bisognava stampare i biglietti in serie progressiva in duplice forma (piccola matrice e biglietto), farli firmare entrambi da due membri della commissione, spedire il biglietto tenendone nota, documentare il denaro incassato… A molti benefattori si inviavano decine di biglietti, con l’invito a tenerli o a smerciarli presso amici e conoscenti.

La data dell’estrazione, inizialmente fissata per il 30 aprile, fu rinviata al 31 maggio e quindi al 30 giugno, per effettuarlo poi a metà luglio. Quest’ultima proroga fu dovuta allo scoppio della polveriera di Borgo Dora che devastò l’area di Valdocco.

Per due pomeriggi, 12-13 luglio 1852, sul balcone del palazzo municipale si procedette all’estrazione dei biglietti. Quattro urne a ruota di diverso colore contenevano 10 pallottole (da 0 a 9) identiche e dello stesso colore della ruota. Inserite ad una ad una dal vicesindaco nelle urne, e fatte girare, otto giovani dell’Oratorio compivano l’operazione ed il numero estratto veniva proclamato ad alta voce e poi pubblicato sulla stampa. Molti doni furono lasciati all’Oratorio, dove furono successivamente riutilizzati.

Valeva la pena?

Per i circa 74 mila biglietti venduti, tolte le spese, a don Bosco restarono circa 26 000 lire, che poi provvide a suddividere equamente con l’attigua opera Cottolengo. Un piccolo capitale certo (la metà del prezzo di acquisto della casetta Pinardi l’anno precedente), ma il risultato più grande del lavoro massacrante cui si sottopose per effettuare la lotteria – documentata da decine di lettere spesso inedite – è stato il diretto e sentito coinvolgimento di migliaia di persone di ogni classe sociale nel suo “incipiente progetto Valdocco”: nel farlo conoscere, apprezzare e poi sostenere economicamente, socialmente, politicamente.

Don Bosco ricorrerà molte volte alle lotterie e sempre con il duplice scopo: raccogliere fondi per le sue opere per i ragazzi poveri, per le missioni e offrire modalità a credenti (e non credenti) di praticare la carità, il mezzo più efficace, come ripeteva continuamente, per “ottenere il perdono dei peccati e assicurarsi la vita eterna”.                       

«HO SEMPRE AVUTO BISOGNO DI TUTTI» Don Bosco

Giuseppe Cotta, banchiere, fu grande benefattore di don Bosco. In archivio si conserva la seguente dichiarazione su carta da bollo in data 5 Febbraio 1849: “I sottoscritti sacerdoti T. Borrelli Gioanni di Torino e D. Bosco Gio’ di Castelnuovo d’Asti si dichiarano debitori di franchi tre mila verso l’ill.mo Cavaliere Cotta che ne fece imprestito ai medesimi per un’opera pia. Questa somma dovrà essere dai medesimi sottoscritti restituita fra un anno cogli interessi legali”. Firmato Sacerdote Giovanni Borel, D. Bosco Gio.

In calce allo stesso foglio e nella stessa data p. Cafasso Giuseppe scrive: “Il sottoscritto rende distinte grazie all’Ill.mo Sig. Cav. Cotta per quanto sopra e nello stesso tempo si rende fidejussore verso il medesimo della somma nominata”. A fondo pagina il Cotta sottoscrive di aver ricevuto lire 2000 il 10 aprile 1849, altre 500 lire il 21 luglio 1849 e il saldo il 4 gennaio 1851.

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