ANCHE QUESTA È MISSIONE
FRANCESCA BANAUDI*
La storia di D. al Centro Diurno
“Appena esce da scuola e quando arriva al Centro Diurno, D. fa il giro tra educatori e volontari per salutare e abbracciare ciascuno”.
Ovunque esistono, i Centri Diurni di scuole e oratori sono un pezzo del cuore di don Bosco.
È sabato mattina, sono le 8 meno qualche minuto e suona la sveglia. Oggi ci aspetta una lunga giornata: i bimbi del Centro Diurno non vanno a scuola e stiamo insieme tutto il giorno. Questo significa che alle 9 si parte, si sale sul pulmino, si raggiunge casa per casa e si dà il buongiorno a ciascuno. Concluso il giro si torna al Centro, si fa colazione insieme, si lavano i denti e poi siamo pronti per iniziare la giornata! Il sabato è sempre un momento particolare: non abbiamo i minuti contati come durante la settimana e il tempo a nostra disposizione è molto. Lo sappiamo noi educatori, ma anche i più piccoli ne sono ben consapevoli e, giustamente, fanno di tutto per approfittarne. Mentre i più grandi vorrebbero giocare, ai più piccoli piace disegnare e colorare, qualcuno vorrebbe addirittura fare un giro in bici vista la bella giornata. Ma non possiamo lasciarci trasportare. Bisogna prima finire tutti i compiti per il lunedì, altrimenti chi le sente le maestre! Il posto migliore sta per essere conquistato, il tavolo per lo studio non ha più speranza di sopravvivere perché sta per essere invaso: astucci, diari, libri e quaderni sono già pronti ad occuparlo, iniziano i compiti! Chi finisce le divisioni in colonna, chi ripassa la lezione di geografia, chi sta imparando l’analisi grammaticale, chi deve solo leggere qualche pagina ma fa comunque fatica. Ognuno ha il suo lavoro da svolgere e ciascuno vorrebbe un educatore tutto per sé sempre accanto, e non perché non siano in grado di farlo da soli, ma perché avere qualcuno vicino che si occupa e si preoccupa di noi è un’esperienza che non ha prezzo, “Io! Io! Io ho bisogno! Non ho capito come si fa questo esercizio” “Hai letto la consegna?” “Mmm… no” “La leggiamo insieme?” “Mmm… sì”. Ed ecco spuntare un sorriso e una luce nuova negli occhi. “Sì lo so fare, è facilissimo!” “Bene! Inizia a farlo che guardo gli altri compiti e poi passo a controllare”. Un attimo di silenzio, una nota di malinconia e l’espressione di una necessità: “Ti siedi qui vicino a me così ti faccio vedere come lo faccio bene?”. Come poter dire di no a quello sguardo così vispo e implorante? Quegli occhi che nascondono un vortice di emozioni, sensazioni, bisogni inespressi, paura di non essere compresi, essere giudicati o, ancora peggio, essere ignorati.
Un’occhiata intorno per assicurarsi che siano tutti tranquilli e poi posso sedermi ed esaudire quella piccola richiesta, così semplice ma così poco scontata. E la reazione ne dà testimonianza: un sorriso su tutto il volto, un’eccitazione generale racchiusa in un corpicino che non è in grado di nascondere la gioia che sta provando, un abbraccio che esprime gratitudine immensa e possiamo finalmente iniziare l’esercizio. Un’operazione molto semplice (fare i compiti) che porta alla luce sguardi e desideri nascosti che vanno colti e accolti con gioia e sensibilità, cura e attenzione, poiché non aspettano altro che essere presi in considerazione e compresi.
Esserci è tutto
«Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli». Con queste parole don Bosco ci guida e ci consiglia già nel lontano 1877, grazie alla stesura di quelle sette paginette de il Sistema Preventivo nella educazione alla gioventù. L’importanza della presenza, punto fondamentale della pedagogia di don Bosco e punto di partenza dell’educatore salesiano. Essere presenti dà la possibilità di osservare il “campo” di cui il Santo ci parla nel Sogno dei nove anni, di comprendere gli sguardi e di prevenire le intenzioni. Ma il primo passo per una buona azione è sempre un’attenta osservazione, che porta alla comprensione della situazione ed è proprio difficile poter osservare se non si è presenti e non si cammina accanto nel quotidiano. Camminare accanto giorno per giorno significa farsi prossimo, significa crescere insieme in umiltà e bontà, gioendo dei successi e affrontando insieme i momenti di crisi. Ciò vuol dire anche confrontarsi con le tracce lasciate dagli episodi passati, segni indelebili e spesso critici che influenzano nel profondo ogni azione e riflessione di oggi. I bimbi del Centro Diurno ne presentano tante tracce con cui necessariamente si confrontano nel quotidiano; sono il loro punto di partenza, elementi della loro unicità e originalità. Sono quelle le basi sulle quali ciascun educatore poggia la propria opera e il proprio intervento educativo, poiché è chiaro che non sia possibile tralasciare le fondamenta della Casa che ogni giovane e adulto rappresenta nel momento in cui si decide di prendersene cura. Occorre però anche ricordare che il passato è solo l’origine del giovane che noi educatori siamo chiamati ad incontrare: il futuro ne sarà influenzato, ma è ancora tutto da scrivere!
Questa è la certezza che mi permette di guardare negli occhi D. condividendo con lei una parte del suo percorso di vita. D. frequenta una scuola primaria ed è una bambina socievole, anche se talvolta timorosa dell’incontro con l’altro. A D. piace andare a scuola, ma le piace molto anche stare al Centro Diurno che è diventato ormai la sua seconda casa, se non addirittura la prima. Perché la scuola sì, è bella, però a volte è difficile. È difficile stare seduti tutto il giorno ed è difficile mantenere sempre un comportamento adeguato. È difficile parlare con le maestre “perché ogni tanto proprio non mi capiscono e quell’esercizio, io, non sono riuscita a finirlo”. Ed è difficile anche relazionarsi con i compagni… Oh com’è difficile! D. vorrebbe sempre giocare con le sue compagne di classe, ma quanta fatica quando si sente presa in giro perché ha la pelle un po’ più scura degli altri o quando i suoi capelli tutti arricciati vengono guardati male perché diversi rispetto a quelli dei suoi compagni. Sono quelli i giorni in cui D. non è molto contenta di andare a scuola, sono quelli i giorni in cui D. esce da scuola un po’ imbronciata e non vuole parlare con nessuno. Ma è davvero il colore della pelle o l’aspetto dei capelli che rendono D. così così diversa e unica? Non credo proprio! La sua unicità è dettata anche dalla sua storia, come quella di ciascuna di noi. D. è nata un po’ per caso e per i primi anni della sua vita ha viaggiato; è stata presa, portata, scambiata, senza possibilità di scelta. D. ha anche trascorso più di un anno all’interno di una tribù in un Paese dell’Africa settentrionale: qui ha vissuto ed è stata educata in modo selvaggio e imbarbarito e solo lei è a conoscenza dell’accaduto.
Queste sono solo alcune delle cicatrici visibili e invisibili che costituiscono il punto di partenza di D. Quanta forza che ha avuto! Quanta forza ogni giorno per riuscire a stare seduta al banco di scuola e mescolarsi fra gli altri compagni. Dopo più di un anno al Centro Diurno, D. si sente finalmente a casa e ha imparato che qui c’è qualcuno disposto ad accoglierla, ad accogliere proprio lei con la sua unicità e diversità.
L’abbraccio-rifugio
Oggi, quando a scuola va proprio male o riemerge qualche ricordo del suo passato, D. sa come sfogarsi: osserva bene la situazione, sceglie l’educatore o il volontario più adatto per quel momento e, senza dire una parola, si va a nascondere in un abbraccio con lo sguardo arrabbiato. Quanti mesi ci sono voluti per arrivare a quell’abbraccio, ma ce l’ha fatta. Oggi D. sa che quell’abbraccio è un rifugio sicuro e che, dopo qualche lacrima, può provare a raccontare che cosa è successo, con la certezza che condividendo è possibile trovare una soluzione e ricevere quella parolina all’orecchio che ribalterà la situazione, aiutandola a sistemare i pezzi anche questa volta.
È stato semplice raggiungere questo obiettivo? No, per niente, ma ce l’abbiamo fatta. Ora è tutto facile? No, ogni tanto è troppo anche per la D. di oggi e il suo comportamento selvaggio torna a far capolino. Rispetto a un anno fa, però, i cambiamenti ci sono e si vedono quotidianamente: adesso D., appena esce da scuola o quando arriva al Centro Diurno, fa il giro tra educatori e volontari per salutare e abbracciare ciascuno. Succede talvolta che all’arrivo al Centro venga distratta dalla vista di una merenda golosa o dai troppi compiti da fare e si dimentichi del suo rito di ingresso. In questi casi succede che, nel bel mezzo della merenda o appena tirati fuori il diario e l’astuccio, D. si alzi tutta concentrata alla ricerca di qualcosa, si avvicini all’educatore e compia il suo rituale. Solo al termine del giro riprende la sua attività esclamando «Ecco cosa mi ero dimenticata! Ora posso iniziare i compiti», il tutto coronato da un’espressione soddisfatta. Arrivata timorosa di tutto e di tutti, con il volto sempre teso e arrabbiato, questi sono i comportamenti e la gioia di D. oggi.
Lacrime e pace
Che cosa è successo in questi mesi e come siamo arrivati fin qui? Parlavamo prima di osservare, cogliere, comprendere e prevenire, azioni strettamente legate alla presenza. La presenza e l’attenzione nel quotidiano sono diventate familiarità, giorno dopo giorno sono diventate parte della vita di D. e dei suoi compagni. E don Bosco aveva qualcosa da dire sui frutti della familiarità, qualcosa che rivediamo in ogni rapporto educativo, senza esclusione. “La familiarità porta l’affetto, e l’affetto porta la confidenza”, scrive don Bosco nella Lettera da Roma del 10 maggio 1884. La confidenza è ciò che ha sperimentato D. e che le ha permesso di arrivare a quell’abbraccio: la sicurezza che il suo mostrarsi vulnerabile non sarebbe stato oggetto di scherno, bensì un modo per farsi conoscere, comprendere e accogliere. Credo sia importante ripeterlo ancora una volta: tutto parte dalla presenza. Una presenza così importante che deve far assaporare il gusto di una Casa che spesso risulta impossibile da immaginare per i bimbi e i ragazzi inseriti nel Centro Diurno.
Presenza e accoglienza sono dunque due dei punti cardine con cui si deve confrontare quotidianamente l’educatore salesiano. È su queste fondamenta che poggiano la Casa e la Famiglia che si va a creare all’interno del Centro Diurno, di una Comunità residenziale o dell’Oratorio in cui è presente lo spirito salesiano.
Occorre ancora evidenziare un ulteriore elemento essenziale nell’ambito di un progetto educativo salesiano, ovvero l’attenzione alla presenza del Signore. Ci si potrebbe domandare come il Signore sia presente in luoghi come questi, che raccolgono storie di abbandoni, violenze, dipendenze e perdite.
La risposta è così semplice che potrebbe darcela persino un bambino; e sarà proprio un bambino a darne dimostrazione. Era proprio un sabato mattina e, dopo aver fatto colazione, ci siamo divisi fra chi doveva finire i compiti e chi invece li aveva già finiti e ha avuto la possibilità di mettere in gioco la fantasia, sbizzarrendosi nella creazione di racconti dai particolari spesso tragici. Proprio nel bel mezzo di un evento critico di una di queste narrazioni, si apre la porta e subito appare N., il più piccolo dei bimbi del Centro Diurno (7 anni), in lacrime e accompagnato dal fratello maggiore N. ha ricevuto una pallonata in faccia durante l’allenamento di calcio, ha dovuto fermarsi e gli sta uscendo sangue dal naso. N. si avvicina, sta piangendo ed è sporco di sangue un po’ dappertutto, ma niente di serio. Però è agitato, fatica a stare fermo, la situazione è nuova, l’adrenalina della partita sta scendendo e sta realizzando che cosa sia successo. E, soprattutto, si accorge di avere tutti gli occhi addosso. Quindi si asciuga il viso, prova a ricomporsi e a raccontarci che cosa sia accaduto, la sua versione dei fatti almeno, “io stavo correndo, mi stavo avvicinando alla porta, il mio amico mi ha passato la palla e io l’ho presa di faccia perché volevo prenderla di testa, poi però ho fatto gol!».
Riusciamo finalmente a pulire mani e viso e a sederci sulla sedia, tenendo il ghiaccio in fronte. Raggiungiamo uno stato di quiete e tranquillità, tutta l’agitazione pian piano viene allontanata e la serenità emerge nei suoi occhi. Nell’osservare quello sguardo non si può non notare un netto cambiamento, una luce diversa che trasmette pace. La pace che solo la presenza del Signore può portare, quella pace che sa di Casa, di Famiglia, di Amore.