LA NOSTRA STORIA
FEDERICO VALLE
La Santa Impresa di Don Bosco
La cartiera di Mathi
Don Bosco aveva il raro e magnifico dono della «visione»: sapeva prevedere l’evoluzione del suo tempo. E scese in campo con la sua dinamicità e il suo coraggio: a poco a poco da autore si trasformò in tipografo ed editore.
Ma c’era ancora una cosa da fare per completare la filiera produttiva. E la fece.
Il primo libro scritto da don Bosco è una sorpresa. Si tratta di una guida pratica di enologia sulla coltivazione della vite, il metodo per la produzione e la conservazione del vino. Giovanni Bosco lo scrisse in seminario e fu solo l’inizio di un’attività vulcanica, che continuò negli anni Quaranta con la stesura di opere devozionali ed educative. Ma dagli anni Cinquanta in poi lo scrivere per lui prese il volto di un vero e proprio “apostolato della stampa”, sentito e portato avanti come una “vocazione”.
Don Bosco aveva un’antenna speciale per capire i “segni dei tempi”. La diffusione dell’educazione di massa promossa dalle riforme scolastiche portò come risultato un aumento dell’alfabetismo, quindi un incremento della domanda di letture. Ciò comportò l’aumento delle iniziative editoriali, incluse quelle religiose, che gareggiavano per raggiungere le masse.
Don Bosco aveva il raro e magnifico dono della «visione»: sapeva prevedere l’evoluzione della situazione in cui viveva. E scese in campo con la sua dinamicità: a poco a poco da autore si trasformò in tipografo ed editore. Tutto per lanciare collane e biblioteche popolari, pubblicazioni periodiche, testi scolastici.
La «Santa» impresa
La nascita della prima legatoria salesiana è un momento epico. Tutto nasceva nella leggerezza e nella gioia. Così è nata la prima legatoria salesiana. «Don Bosco mentre sperava di avere in tempo non lontano una tipografia a sua disposizione, nei primi mesi dell’anno apriva, scherzando, come era solito a fare, in molte sue imprese, un terzo laboratorio nell’Ospizio: Legatoria di libri. Ma fra i giovani che aveva nella casa non ve n’era alcuno che s’intendesse di questo mestiere: pagare un capo d’arte esterno non era ancora il tempo. Tuttavia un giorno, avendo intorno a sé i suoi alunni, depose sopra un tavolino i fogli stampati dì un libro che aveva per titolo: Gli Angeli Custodi, e chiamato un giovane gli disse: «Tu farai il legatore!»
«Io legatore? Ma come farò se non so nulla di questo mestiere?»
«Vieni qua! Vedi questi fogli? siediti al tavolino bisogna incominciare dal piegarli».
Don Bosco pure si assise, e fra lui ed il giovane piegarono tutti quei fogli. Il libro era formato ma bisognava cucirlo. Qui venne in suo aiuto Mamma Margherita e fra tre riuscirono a cucirlo. Subito con farina si fece un po’ di pasta ed al libro si attaccò anche la copertina. Quindi si trattò di eguagliare i fogli, ossia raffilarli. Come fare? Tutti gli altri giovanetti circondavano il tavolino, come testimoni di quella inaugurazione. Ciascuno dava il suo parere per rendere eguali que’ quinterni. Chi proponeva il coltello, chi le forbici. In casa all’uopo non vi era ancora nulla, assolutamente nulla. La necessità rese don Bosco industrioso. Va in cucina, prende con sussiego la mezzaluna d’acciaio che serviva a tagliuzzare le cipolle, gli agli, le erbette, e con questo strumento si pone a tagliare le carte. I giovani intanto si rompevano lo stomaco dal ridere».
Ma l’obiettivo di don Bosco era ben più ampio: progettava di gestire in proprio l’intero ciclo della produzione editoriale, proponendosi come editore cattolico a tutto tondo nel momento in cui, all’indomani dell’Unità d’Italia, la battaglia della carta stampata sembrava essere entrata nel vivo. Non a caso Pio XII proclamerà san Giovanni Bosco patrono degli editori cattolici.
Agli inizi del 1862 don Bosco riuscì finalmente ad avviare il proprio progetto: nel giro di pochi anni la tipografia dell’Oratorio immise sul mercato una grande quantità di libri.
Nel 1876, don Bosco affiancò all’iniziativa torinese la tipografia di Genova Sampierdarena e aprì librerie in varie parti d’Italia.
Il santo imprenditore rischiava però di dover ridurre il proprio sviluppo a causa della mancanza di carta e, venuto a conoscenza di una piccola cartiera in vendita a Mathi, a 25 chilometri da Torino, si decise ad acquistarla. L’azienda era stata fondata da Michele Varetto nel 1841 per la produzione di carta partendo dagli stracci, sfruttando lo storico canale di Nole che permetteva la creazione di energia attraverso l’acqua derivata dal torrente Stura di Lanzo. Dopo la morte del titolare nel 1871 la vedova, signora Clotilde Berta, non volendo dedicarsi alla gestione di un’impresa così impegnativa con ben cinquanta dipendenti, decise di metterla in vendita. L’atto rogato nel 1877 dal regio notaio Pavesio sancì l’acquisto della struttura composta da «fabbricati civili e locali costituenti la cartiera stessa con giardino inglese, giardino da frutta… diritti d’acque, meccanismi e utensili».
I primi due anni diedero parecchi grattacapi a don Bosco per via della disonesta gestione dell’amministratore laico Domenico Varetti, commerciante genovese, con cui dovette entrare in causa per risolvere alcune controversie. Vista l’esperienza negativa dal dicembre 1878, decise di affidare l’impresa ad un gruppo dirigente di sua fiducia composto da religiosi salesiani.
Il 31 agosto 1877 don Bosco, in veste di «commerciale» della sua «santa impresa», scriveva al missionario don Lasagna: «Mi sono messo a fare il negoziante e ho comprato una cartiera ad unico fine per giovare alla buona stampa. Se pertanto i tipografi di Montevideo (che non stampino cose irreligiose) vogliono della nostra carta, io credo di poter offrire il venti per cento di riduzione. Chi ne desidera mi mandi il prezzo e la forma della carta e cominceremo a mandare un saggio».
Una cartiera all’Esposizione del 1884
L’Esposizione Generale del 1884, svoltasi a Torino, diede l’opportunità a don Bosco di mostrare a tutti l’alto livello raggiunto in campo tipografico ed editoriale. Proprio in quei mesi era prevista la consegna a Mathi di una nuova macchina continua ordinata alla ditta Escher-Wyss di Zurigo. Si decise pertanto di installare temporaneamente i macchinari presso un’apposita galleria, dove poter esporre al pubblico l’intero processo. Il padiglione era lungo 55 metri e largo 20 e portava la scritta: «Don Bosco. Fabbrica di carta, Tipografia, Fonderia, Legatoria e Libreria Salesiana».
Ecco il racconto del signor Crosazzo, salesiano coadiutore, dello spettacolo offerto ai visitatori: «Entrando in questa galleria una persona affatto profana di come viene composto il libro, vedeva come veniva fabbricata la carta, l’allestimento della stessa, la preparazione del quaderno ad uso scuola, la stampa del libro, la legatura e il buon uso che tutti dovrebbero fare della carta, cioè la diffusione della buona e utile stampa per il bene morale e intellettuale dell’umanità».
La giuria dell’Esposizione, di orientamento anticlericale, assegnò alla Società Salesiana la medaglia d’argento e don Bosco la rifiutò, considerando il giudizio del pubblico il miglior riscontro per l’impegno profuso nell’arte tipografica.
«Ndova ’t travaji? Da don Bosc»
La cartiera di Mathi fu gestita con grande capacità dal santo e negli anni fu ingrandita e totalmente rinnovata attraverso importanti investimenti nei macchinari da stampa.
La mattina del 2 febbraio 1882 un tragico evento provocò distruzione e morte all’interno dello stabilimento: scoppiò la caldaia a vapore per la bollitura degli stracci e persero la vita due operai. Don Bosco, che in quei giorni viaggiava nel sud della Francia, informato del fatto, aiutò le famiglie coinvolte e sostenne gli orfani ricoverandoli presso le sue case salesiane.
La Direzione delle Opere Salesiane stabilì subito, non solo di ricostruire i fabbricati danneggiati, ma anche di investire risorse per un ampliamento dell’azienda.
I salesiani coadiutori che amministravano l’impresa scelsero i migliori impianti dell’epoca, di produzione svizzera. Come primo direttore don Bosco scelse don Antonio Varaia, cui seguì don Carlo Ghivarello.
Tra tutti emerge la figura del salesiano Luigi Crosazzo, direttore tecnico-amministrativo della cartiera per oltre 35 anni; a lui si deve anche la prima storia della cartiera salesiana, pubblicata postuma nel 1953.
Nel 1896 i Salesiani aprirono a Balangero un impianto di produzione di pasta meccanica, dal legno di pioppo, trasportata a Mathi con una teleferica.
Anche nel 1911 la cartiera partecipò all’Esposizione Internazionale di Torino in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, con eccellenti risultati.
All’epoca si potevano distinguere due strutture: la cartiera più antica, detta «salesiana» e quella «inferiore».
Nel 1905 il senatore Giacomo Bosso acquistò la «inferiore» per la produzione di carte speciali mentre la cartiera salesiana si consolidò nella Società Anonima Agricola Industriale Torinese. La cessione totale dell’impresa alla famiglia Bosso avvenne nel 1919 e la cartiera conseguì negli anni una continua crescita sotto la guida di Valentino e Giacomo, rispettivamente figlio e nipote del senatore, anche se i Salesiani rimasero presenti fino agli anni Trenta. In dialetto piemontese è rimasta l’espressione «Ndova ’t travaji? Da don Bosc», a testimonianza di quanto ha inciso la presenza del santo imprenditore in questa piccola realtà di provincia.
Nel 1963 la società finlandese Ahlstrom decise di investire in Italia acquisendo prima il 51% delle quote e nel giro di pochi anni l’intera proprietà. Gli impianti vennero continuamente ampliati e nel 2006 la macchina n. 8 arrivò a produrre fino a 120.000 tonnellate annue di carta. Due macchinari (PM4 e PM8) attualmente in produzione sono intitolati a san Giovanni Bosco.
Recentemente, nel 2013, parte della Ahlstrom è stata ceduta al Gruppo svedese Munksjo, leader mondiale nel settore delle carte speciali. Ad oggi la cartiera di Mathi impiega circa 600 persone.
La camera di don Bosco
Nella casa edificata all’interno della cartiera ancora oggi sono custoditi gli ambienti utilizzati dal santo. Un quadretto ottocentesco appeso al muro della camera da letto così recita: “Nel venir a visitare la Cartiera, provò la necessità di offrire riposo talvolta alle stanche sue membra in questa stanza che perciò chiamasi: camera di D. Bosco”.
MATHI SALESIANA
“Io penso che in tutto il mondo, all’infuori di Valdocco e Castelnuovo, non ci sia paese che abbia una parentela così stretta con i Salesiani come la nostra” affermava il parroco di Mathi don Secondo Burzio. “Infatti per ben 50 anni sono state presenti contemporaneamente in Mathi tre case dei Figli di don Bosco: la cartiera, la casa di Prima formazione per le vocazioni adulte e la casa per i salesiani; quattro case delle Figlie di Maria Ausiliatrice: l’asilo Varetto, il convitto della cartiera, il pensionato Chantal, il convitto del Cotonificio Valle Susa. Questa parentela risale in linea retta fino al Fondatore e quindi è di primo grado!”.
Le vocazioni adulte, dirette dal giovane Filippo Rinaldi rimasero dal 1883 al 1884, nella casa Chantal e poi Le prime Figlie di Maria Ausiliatrice arrivarono a Mathi nel 1885 per volontà dello stesso don Bosco che, dopo aver spostato le “vocazioni adulte” a Torino, nel medesimo fabbricato rimasto libero fondò un’opera particolare detta “Casa Chantal”, esistente fino al 1967: “Non potendo accettare donne nelle nostre case − racconta don Giulio Barberis, mathiese doc − don Bosco aprì espressamente una casa a Mathi, dove sono accolte e caritatevolmente trattate dalle suore di Maria Ausiliatrice le madri rimaste sole e anche qualche sorella dei nostri salesiani”.
Un’altra religiosa della comunità, suor Orsola Marocco, ricopriva il ruolo di maestra elementare del paese. Le suore tennero inoltre una scuola di cucito e un oratorio festivo per le fanciulle.
Oggi l’Istituto Chantal è casa di riposo parrocchiale.