LA STORIA CONTINUA
GIAMPIETRO PETTENON
Il primo ospizio costruito da don Bosco
Alla scoperta di un edificio ricco di storia.
Trascorsi solo pochi giorni dall’inaugurazione della chiesa di San Francesco di Sales, don Bosco nell’estate del 1852 inizia la costruzione del campanile stretto fra la chiesa e casa Pinardi e, dalla parte opposta della casa, innalza un nuovo fabbricato. È l’edificio che ancora oggi vediamo: inizia dalla scala centrale del museo e, con un angolo di novanta gradi, forma un’ala parallela alla chiesa di San Francesco di Sales.
Se a occidente di casa Pinardi don Bosco usa tutto il terreno a disposizione per costruire la chiesa di San Francesco di Sales fino al confine con la proprietà di casa Bellezza, ad oriente usa tutto il terreno disponibile per costruire il primo ospizio fino al confine con casa Filippi.
Così come appartiene al genio di don Bosco la novità di collocare un piano interrato sotto le chiese, anche le caratteristiche di questa costruzione dicono molto del santo.
L’edificio, di dimensioni notevoli rispetto all’adiacente casa Pinardi e con all’interno sale capienti e luminose, all’esterno mantiene l’aspetto di una tipica casa di ringhiera.
La logica distributiva degli spazi interni non prevede un corridoio di collegamento fra le stanze. Salendo le scale si accede ai locali tramite il piccolo e stretto ballatoio esterno, che permette di essere percorso da una persona alla volta. Evidentemente don Bosco non intende costruire un collegio o un convento per i suoi ragazzi, ma una casa. E il ballatoio ha proprio il sapore di casa.
Tutto l’edificio è interessato da un piano interrato con saloni ad uso civile (refettori e laboratori).
Il piano terra è caratterizzato da un ampio porticato sul lato esposto a sud. Questa è un’altra novità introdotta da don Bosco nelle sue opere, e da allora ogni casa salesiana si caratterizza per la presenza di un porticato.
Il portico è contaminazione fra interno ed esterno: è la casa che si apre al cortile ed è il cortile che entra in casa. È un luogo da vivere tutti i giorni dell’anno: quando piove ripara dalla pioggia e quando c’è il sole fa ombra.
Per don Bosco gli spazi hanno tutti una funzione educativa paritetica: la camera, il refettorio, l’aula scolastica, il laboratorio, la chiesa, il cortile e il porticato… tutto serve e tutto viene valorizzato in chiave educativa. Egli assegna una nuova funzione al portico, che fin dal medioevo viene usato con diverse destinazioni.
A Bologna i caratteristici portici – bassi e stretti – avevano una vocazione produttiva. Erano l’espansione della bottega dell’artigiano che poteva così lavorare all’aperto con più aria e più luce.
Nella Torino dei Savoia – che aspirano a farne la capitale del Regno d’Italia – i portici, ampi ed eleganti, hanno una vocazione ludica e commerciale. Sono dedicati al passeggio dei nobili e della corte reale e servono per ammirare le merci che i negozi espongono in vetrina.
Nell’Oratorio di Don Bosco il portico assume una vocazione squisitamente educativa: è luogo di incontro conviviale, è area di gioco da usare tutti i giorni in qualsiasi condizione atmosferica perché protetta, è luogo di preghiera e di formazione. Nel portico dell’Oratorio, don Bosco durante i mesi estivi raduna i suoi ragazzi alla sera per la preghiera e il pensiero della “buona notte”; tutti rivolti verso la piccola edicola dell’Ausiliatrice che sta sul muro del campanile e con la cattedra della buona notte accanto al terzo pilastro a sinistra di chi guarda (il calco in bronzo collocato nella posizione originale ci trasmette la sensazione di essere in una chiesa).
Ultimo elemento caratteristico di questo fabbricato sono gli abbaini del sottotetto, una tradizione torinese che viene dalla vicina Francia. Nel sottotetto dei palazzi del centro città c’erano le stanze della servitù, a Valdocco invece negli abbaini che vediamo sul lato a sud, avevano la loro cameretta i primi salesiani. Guardando dal cortile, l’abbaino che sta proprio sopra la scala centrale era della camera del chierico Michele Rua, il secondo abbaino a destra era di Giovanni Cagliero e l’ultimo prima che il fabbricato faccia angolo era di Giovanni Battista Francesia. Ora questi locali del sottotetto non sono stati interessati dal restauro e dalla conversione di tutto l’immobile a museo. Restano un sottotetto, in attesa di essere in futuro valorizzati…
Come dicevamo sopra, la costruzione di questo primo ospizio inizia subito dopo aver inaugurato la chiesa di San Francesco di Sales (20 giugno 1852). A dicembre la costruzione è a buon punto ma un periodo di piogge ininterrotte senza che il fabbricato abbia raggiunto il tetto – con i muri freschi di malta esposti alla pioggia – provoca una rovinosa caduta delle pareti tanto che il municipio di Torino interviene ed impone a don Bosco di interrompere i lavori fino a quando non sia terminata la stagione invernale.
Nei lavori di restauro abbiamo avuto prova della causa di questo crollo. Asportando l’intonaco completamente degradato del primo refettorio dei ragazzi, che si trova nel piano interrato nell’ampio locale che sta sotto il porticato, abbiamo visto la qualità dei materiali da costruzione.
C’è di tutto in quel muro perimetrale: ciottoli di fiume di diverse grandezze (don Bosco, scarso di mezzi, andava con i ragazzi nel vicino corso del fiume Dora e della Stura con il carretto a portare a casa i ciottoli che servivano ai muratori), mattoni di argilla, pezzi di pietra, scarti di altro materiale edile.
Impressiona davvero vedere questo insieme variegato di forme e materiali tenuti insieme da una malta povera di cemento. Quella parete ora visibile nella sua nudità era in origine intonacata. Nel lavoro di restauro abbiamo scelto, con l’architetto direttore dei lavori, di lasciarla esposta alla vista del visitatore per ricordare il fatto del crollo avvenuto in fase di costruzione, l’estrema povertà degli inizi dell’oratorio e la tenacia con cui don Bosco stava realizzando il suo sogno: dare una casa ai poveri ragazzi.
Ancora una volta don Bosco è veloce nella costruzione; a ottobre del 1853 l’edificio è completato e subito le sue sale e le camere si animano di vita e di ragazzi che crescono di numero ogni giorno che passa.
Il campanile della chiesa di San Francesco di Sales
Nel medesimo tempo in cui cresceva il fabbricato del primo ospizio, fra la chiesa e la vecchia casa Pinardi, don Bosco fa erigere il campanile che ancora oggi vediamo; piccolino ma elegante, proporzionato nelle dimensioni alla attigua chiesa di cui è il completamento.
Anche al campanile don Bosco assegna un compito, e in questo ha lo sguardo proiettato al futuro. La torre campanaria infatti – che, come ogni edificio a Valdocco, parte dal piano interrato – al suo interno ha una scala che arriva fino alla cella che custodisce la campana. Ebbene questa scala ha le rampe di salita che sbarcano esattamente alla medesima quota dei piani di solaio dell’ospizio che si trova dall’altra parte di casa Pinardi.
Era infatti intenzione di don Bosco di abbattere casa Pinardi ormai troppo piccola – sarà demolita tre anni più tardi – e costruire un nuovo fabbricato delle medesime forme e dimensioni dell’ospizio appena eretto.
In questo modo la scala dentro il campanile serviva da scala di servizio, stretta ma molto comoda, per collegare tutti i piani della casa: dalla cucina nell’interrato su, su fino al sottotetto dove erano le camere dei ragazzi e degli assistenti salesiani.
Negli anni successivi alla morte del santo, questa scala è stata interrotta e parzialmente demolita per fare spazio alla piccola sacrestia che serviva l’attuale cappella Pinardi. Con l’intervento di restauro abbiamo voluto riproporla, anche se solo parzialmente. Nel piano interrato del museo la scala è solo evocata da una linea luminosa che corre lungo il muro e, grazie ad un solaio in vetro, il visitatore può alzare lo sguardo per ammirare, con un colpo d’occhio, tutta l’altezza della torre campanaria.
La nuova casa Pinardi
Per poco più di due anni don Bosco ferma le costruzioni. Lo sforzo iniziale di costruzione della chiesa di San Francesco di Sales e del primo ospizio lo ha fortemente provato.
A marzo del 1856 decide che i tempi sono maturi per riprendere in mano il progetto iniziale, quello di completare l’edificio del primo Oratorio con l’abbattimento della “vecchia” (ha solo dodici anni di vita!) casa acquistata dal Pinardi ed erigere al suo posto la nuova ala dell’ospizio con le medesime caratteristiche di quella a fianco, collegando così in un unico palazzo, a ferro di cavallo, la casa di Valdocco.
Demolisce casa Pinardi – sempre con l’aiuto dei giovani – recuperando tegole, travi, mattoni, pietre… tutto quello che può essere riutilizzato per la nuova costruzione, fa scavare l’area per poter iniziare a costruire anche in questo caso dal piano interrato e poi su, fino agli abbaini del sottotetto.
In soli sei mesi, ad ottobre del 1856, la nuova ala di edificio è terminata ed utilizzata subito per accogliere nuovi ragazzi che in quell’inverno arrivano ad essere centosettanta.
Dal punto di vista architettonico questa nuova costruzione è in perfetta continuità con la precedente. Sono emersi però alcuni particolari costruttivi in fase di restauro che indicano una maggiore attenzione di don Bosco in fase costruttiva.
Anzitutto il materiale da costruzione è più curato e selezionato. Le pareti perimetrali sono in mattoni rossi (li vediamo nella dispensa sotterranea collegata alla cucina) e non quell’insieme eterogeneo che abbiamo descritto precedentemente a proposito del primo refettorio nel piano interrato. Gli stessi intonaci della cucina che sono nel piano interrato risultavano meno degradati dall’umidità di quelli del primo lotto costruttivo di soli tre anni precedente e per questo sono stati in massima parte recuperati.
Il secondo indizio è la presenza di un sistema di riscaldamento delle stanze ai piani superiori a ipocausto, cioè con canali a pavimento entro i quali viene immessa aria calda. Dietro la cucina, al di là dello stretto corridoio, vi era una caldaia a legna e carbone collegata ai piani superiori tramite canali verticali dentro il muro di spina centrale della casa. Con serrande meccaniche manuali che possiamo vedere ancora oggi, il calore veniva deviato dove più occorreva. Al primo piano di questa parte di edificio, nel pavimento abbiamo ritrovato questi canali che corrono paralleli ai muri nelle stanze. Uno di questi è visibile grazie ad una copertura in vetro che ha sostituito la copertura originale in pietra di luserna.
Il terzo elemento che denota una cura nei particolari costruttivi sono i soffitti voltati delle sale del primo piano, ancor oggi molto ben conservati. Sono gli unici soffitti voltati che l’edificio conserva dalle origini, nei piani primo e secondo.
La fontana, il pozzo e la cucina
Casa Pinardi era dotata di una fontana addossata al muro esterno sul lato meridionale. Serviva agli inquilini come unica fonte di approvvigionamento di acqua potabile per cucinare, lavarsi, irrigare l’orto…
Ma da dove traeva l’acqua questa fontana a pompa? Ovviamente non dall’acquedotto comunale che in quegli anni era ancora lontano a venire, ma dal pozzo sottostante, fatto costruire dai fratelli Filippi contemporaneamente alla casa, ed avente la profondità di circa dieci metri e diametro di circa un metro.
Quando don Bosco decide la demolizione di casa Pinardi per costruire la nuova ala dell’Oratorio, sta ben attento a preservare questa preziosa fonte di vita, ed anzi, crea un secondo accesso al pozzo. Si potrà così attingere acqua non più soltanto in superficie tramite la fontana, ma anche direttamente dal piano interrato del nuovo fabbricato dove colloca la nuova e spaziosa cucina che sarà in funzione dal 1856 al 1927.