I FIORETTI DI DON BOSCO

B.F.

Il fido Bracco

Quando Giuseppe, il fratello di Giovanni Bosco compì diciotto anni si trasferì con la mamma e Giovanni, sedici anni, al Sussambrino, un bel cascinale che dominava una collina vicina ai Becchi. Qui Giuseppe teneva un cane da caccia, al quale Giovanni aveva posto il nome di Bracco. Era un cane affettuoso, giocherellone, socievole e, come Giovanni scoprì subito, davvero intelligente.

Nelle ore libere dalla scuola e dallo studio, Giovanni cominciò ad addestrare Bracco. Gli insegnò a porgere or l’una or l’altra zampa, a prendere il pane con garbo. 

Bracco imparò, dopo qualche incertezza, a salire la ripida scala a pioli che portava sul fienile. Giovanni gli giocava tiri birboni. Quando il buon cane era sul fienile, portava via la scala e poi si allontanava. Il cane abbaiava, correva in su e in giù, cercava un luogo agevole per poter discendere, si ritirava spaventato dall’altezza, ma poi finalmente si gettava in basso e tutto festoso gli correva dietro.

Ovunque andasse, Giovanni, era accompagnato da Bracco. Qualche volta, per il caldo e la stanchezza, il giovane si toglieva la giacca e ordinava: «Bracco, porta la mia giacca!» Se tardava a dargliela, il cane addentava un lembo della giacca, che Giovanni non si era ancora tolta, e la tirava.

Giovanni gli metteva la giacca sul dorso, ed esso zampettava fiero, badando che l’abito non cadesse.

Alla domenica, dopo le funzioni di chiesa, Giovanni ritornava alla sua collina accompagnato dagli amici e, come faceva un tempo ai Becchi, organizzava uno spettacolo di giochi e abilità in cui la stella era il suo fido Bracco.

Ad un certo punto, Giovanni ordinava al cane di saltare sul dorso di una placida mucca che pascolava nel prato. Il povero cane con uno sguardo dubbioso e mesto fissava il padrone, quasi volesse dire: «Roba da matti!» Ma dietro l’intimazione di Giovanni, che non ammetteva replica, presa la spinta, saltava e cadeva dalla parte opposta, per aver preso troppo slancio. Giovanni gli ordinava di riprovare e il cane si fermava sul dorso della mucca in equilibrio precario.

Giovanni allora si allontanava, fingendo di dimenticarsi di lui. Bracco allora incominciava a guaire, ma vedendo che il padrone si allontanava, spiccava un salto e correva a raggiungerlo e gli abbaiava davanti, come volesse rimproverarlo. Naturalmente scrosciavano risate e applausi.

Giovanni si affezionò al suo Bracco. E viceversa. Ma ricordando che aveva promesso al Signore di non affezionarsi mai più ad alcun animale, dopo la tragica morte del suo merlo canterino, quando i parenti di Moncucco glielo chiesero, lo portò nella loro fattoria. Ripartì di nascosto, ma giunto a casa si vide comparire innanzi il suo fido animale. Giovanni non gli sorrise secondo il solito e gli disse: «Vedi, Bracco, questa non è più casa tua: dunque io non ti darò più da mangiare». Il cane allora andò ad accovacciarsi in un angolo della stanza, e per un bel po’ non si mosse.

I parenti di Moncucco tornarono a riprenderlo ma, appena fu libero, il cane riprese la via del Sussambrino. Giovanni lo ricevette con un bastone in mano, ma il cane si sdraiò ai suoi piedi guardandolo con occhi supplicanti. Giovanni si commosse e lo tenne con sé.    

LA STORIA

Questa storia è raccontata nelle Memorie Biografiche, Volume I, pagina 239 e seguenti.

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