BS Dicembre
2021

DON BOSCO NEL MONDO

Giampietro pettenon

Il cuore salesiano del Brasile

Oggi, in Brasile, i salesiani sono una vera “potenza” educativa e pastorale. Gestiscono una rete di centinaia di scuole e opere sociali a favore dei ragazzi più poveri, che soprattutto in queste terre non mancano.

Brasilia, la capitale del Brasile, è stata sognata da don Bosco cent’anni prima che venisse fondata. Ne parla in un suo sogno missionario assai singolare perché egli racconta che gli sembrava di sorvolare a volo d’uccello tutta l’America Latina e ad un certo punto indica in modo preciso le coordinate di posizione dove sarebbe poi sorta la nuova capitale del Brasile, solo negli anni ’60 del ventesimo secolo. I fondatori della città tennero conto di questa predizione del santo dei giovani e proclamarono san Giovanni Bosco compatrono della capitale, assieme alla Vergine Aparecida.

I salesiani vi sono arrivati assieme ai primi abitanti proprio quando si costruivano le strade e le prime case di quella che doveva diventare la nuova capitale politico-amministrativa del Brasile. Abbiamo due scuole con annessa la parrocchia. L’opera più grande è gestita insieme alle suore salesiane, le Figlie di Maria Ausiliatrice, e in essa vi è anche un bellissimo santuario dedicato al compatrono della città, il santo dei giovani, don Bosco.

La presenza salesiana in Brasile però è molto antica. Con don Bosco ancora vivo, nel 1883 monsignor Lasagna – salesiano missionario in Argentina – divenuto poi vescovo in quelle terre, fonderà la prima opera in Brasile a Rio de Janeiro.

Ora in Brasile i salesiani sono una vera “potenza” educativa e pastorale. Gestiscono una rete di centinaia di scuole e opere sociali a favore dei ragazzi più poveri, che soprattutto in queste terre non mancano. Sono proprio i ragazzi più poveri economicamente, affettivamente, culturalmente che danno senso alla presenza dei figli di don Bosco in questo grande paese. E l’affetto dei giovani brasiliani per don Bosco è davvero grande e si tocca con mano. Don Bosco è per loro “padre” che offre una casa e affetto a chi non ne ha, e “maestro” che educa a diventare onesti cittadini e buoni cristiani.

Antonia, una giovane mamma

Un’altra esperienza molto bella l’abbiamo incontrata nella periferia di Cruzeiro do Sul, una cittadina nell’estrema parte occidentale del Paese, a pochi chilometri dal Perù.

Molti quartieri fatti di baracche di legno con il tetto in lamiera sorgono lungo l’alveo del grande fiume Jurua, che attraversa la città. Queste case di legno in realtà sono palafitte costruite su alti pali perché quando viene la stagione delle piogge e il fiume va in piena, tutti questi quartieri vengono allagati, e per mesi non si esce di casa se non con una barca o camminando su traballanti passerelle.
È una zona pericolosa perché gli abitanti sono sotto il controllo e la “tutela” della mafia locale che controlla il traffico di droga che viene dal vicino Perù. La polizia locale in questi quartieri non entra. Ci entrano però i volontari del Movimento Shalom coor­dinati da Antonia, una giovane mamma, impiegata di banca, donna cordiale e decisa, che dedica ogni pomeriggio al coordinamento di un piccolo ma significativo centro di aggregazione post scolastica per bambini e ragazzi dai sei ai dodici anni. In questa casa intitolata a Madre Teresa una cinquantina di piccoli trovano educatori (tutti volontari) che li aiutano a fare i compiti, danno ripetizioni ai più fragili e a tutti una bella ed abbondante merenda a fine giornata, che per molti di loro è anche l’unica cena che fanno.
Il vescovo salesiano, appena arrivato nella sua nuova diocesi, si è reso conto che c’era bisogno di qualcuno che prendesse a cuore il futuro dei giovani in via preventiva, così da evitare esperienze fallimentari e cadute in vizi e pericoli che compromettono il futuro. Ha chiesto quindi aiuto ai salesiani di Manaus. Ne è nata una collaborazione che sta portando pian piano il suo frutto: verrà aperta una nuova opera salesiana con oratorio e centro di formazione professionale (proprio come la Valdocco di don Bosco dei primi anni).

È già pronta la casa per la comunità salesiana e una parte dell’oratorio. Adesso bisogna trovare i fondi per finanziare il completamento delle strutture ricreative del Centro Giovanile e creare, e poi allestire, i laboratori professionali. Per cominciare si è pensato di avviare dei corsi nel settore dell’alimentazione: panificazione, pasticceria, pizze…, nel settore della cura della persona: parrucchiera, estetista, cosmesi… e nel settore degli impianti civili: idraulico, elettricista, impianti fotovoltaici, condizionamento…

Porto Velho

La terza tappa del nostro viaggio in Brasile è a Porto Velho (Porto Vecchio), al confine con la Bolivia.
Porto Velho è una media città brasiliana che conta circa cinquecentomila abitanti, fondata all’inizio del Novecento sulla riva del grande fiume Madeira come base per la raccolta del caucciù, l’oro bianco della rivoluzione industriale americana ed europea perché dal caucciù, tramite il processo di vulcanizzazione, si ottiene la gomma.

Con i raccoglitori di caucciù (siringueiros) in quelle terre, nella prima metà del Novecento vi arrivano anche i salesiani. Fondano un grande collegio, costruiscono la cattedrale; sono salesiani i primi vescovi della nascente diocesi. Arrivano anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, le suore salesiane. Porto Velho diventa una base logistica per i salesiani per andare lungo il fiume e addentrarsi nella foresta incontaminata per incontrare le popolazioni indigene della zona. La presenza salesiana è apprezzata e i collegi di entrambi i rami (maschile e femminile) dei figli e delle figlie di don Bosco sono frequentati da migliaia di allievi. Numerose sono le parrocchie e soprattutto le cappelle delle comunità locali. La storia poi prosegue con alterne vicende che vedono andare in crisi l’economia del territorio e anche un po’ la presenza dei salesiani, che riducono la loro attività un tempo così capillare.
Resta oggi in città una bella parrocchia, con un grande santuario mariano intitolato alla Madonna di Fatima e l’oratorio festivo. Vedo arrivare i ragazzi a frotte, si materializzano un gruppo dopo l’altro come attirati da una potente calamita. Arrivano anche cinque o sei giovani sui sedici anni. Volti poco raccomandabili.

Il don mi dice che vengono dal vicino quartiere dello spaccio di droga. Non fatico a crederci. Ampi tatuaggi, sguardo di sfida, andatura baldanzosa. Non hanno la mascherina. L’animatrice, un po’ timida non ha il coraggio di parlare. Il don dice solo una parola: “mascara” e indica un sacchetto pieno di mascherine nuove a disposizione di chi arriva e ne è sprovvisto. Il gruppo per un attimo si ferma e poi… uno ad uno prendono la mascherina che viene loro offerta gratuitamente, la indossano, ed entrano. Un bellissimo esempio di come la legge della strada davanti al portone dell’oratorio cede il passo alla legge del rispetto vicendevole e della uguaglianza, in cortile. Ho visto arrivare un branco di lupi e trasformarsi in mansueti agnelli entrando in casa salesiana. Per tutto il pomeriggio giocano a calcio, madidi di sudore, con un vigore ed una energia inesauribile. Non si sentono bestemmie, né parolacce, né si assiste a prepotenze. Sono giovani come gli altri che si divertono stando insieme a tirare calci ad un pallone. Bellissimo! Il cortile è tutto un giocare, chiacchierare, salutarsi. Ci sono i piccoli con i campetti a loro dedicati e don Antonio, un salesiano buono e simpatico, basso e tondo, che gioca con loro. Le mamme sono indaffarate a preparare i panini per la merenda del pomeriggio: hot dog e succo di frutta per tutti. I negozianti del circondario, quando avanzano pane e altri alimenti li portano in oratorio per la merenda dei ragazzi. Alle cinque si ferma la musica, e si fermano anche i giochi. Tutti insieme (circa duecento persone) in cerchio per la preghiera e il pensiero della “buona notte salesiana”. Recitiamo un Padre nostro per rispetto dei molti ragazzi di fede protestante, che però nel Padre nostro si ritrovano e non è motivo di divisioni.

Quando diventa buio, siamo vicini all’Equatore e verso le sei di sera il sole velocemente tramonta (per risorgere poi il mattino successivo sempre verso le sei), l’oratorio chiude. Gli animatori si danno da fare per rimettere in ordine il cortile e i giochi. Mi commuove una mamma che esce accompagnando per mano il figlio. È grande quel suo figlio, ma affetto da una grave disabilità fisica e anche mentale. Cammina a fatica, ma cammina. Ha voluto anche lui venire in oratorio per stare con i suoi compagni. Non ha giocato, non ha parlato con nessuno. La mamma sempre accanto. Però ha respirato quel particolare clima di festa. Ha così rotto la monotonia delle lunghe giornate passate in casa davanti alla finestra a veder passar la gente per la strada. Anche lui in cortile, assieme agli altri: giovane fra i giovani.

Iauaretê

La tappa conclusiva, e la più bella, del nostro viaggio in Brasile è l’opera salesiana di Iauaretê, in Amazzonia, nell’area indigena dell’Alto Rio Negro proprio al confine con la Colombia.

In questa storica presenza salesiana ha operato per cinque anni don Roberto Cappelletti, missionario salesiano partito dal Veneto per il Brasile una decina di anni fa.

Il suo desiderio era di poter realizzare una nuova e degna abitazione per i salesiani che sono presenti da oltre cento anni, e anche dar accoglienza ai bambini più piccoli che sono in situazione di difficoltà e vulnerabili. Ci è riuscito, don Roberto, a realizzare questo sogno e ad inaugurare la nuova casa proprio in occasione del compleanno di don Bosco, il 15 e 16 agosto.

A Iauaretê si vive il contatto con la natura, e le relazioni con le persone sono dirette e cordiali. Non c’è copertura telefonica, non c’è quindi internet, non c’è la tv. Non ci sono automobili. Sembra strano ma è proprio così.

Siamo arrivati con un piccolo aereo e abbiamo trovato un formidabile comitato di accoglienza: bambini, ragazzi, giovani, le mamme e i papà, l’intera comunità salesiana. Poiché eravamo ospiti d’onore è arrivato anche l’unico trattore del villaggio, avete letto bene: un trattore! con il carro attaccato dietro, dove siamo saliti noi e le nostre valigie e in processione ci hanno portati al centro del villaggio dove c’è la grande chiesa dedicata all’Arcangelo Gabriele e l’oratorio salesiano.

In oratorio giocavano tutti, ma proprio tutti. Chi a calcio, chi a pallavolo. I piccoli in un “campo saponato” cioè un foglio di plastica bagnato, nel quale invece del pallone si rincorre e si danno calci ad una saponetta. Un po’ alla volta i capitomboli diventano sempre più frequenti e solo stare in piedi è un’impresa. Il divertimento comunque è assicurato, per chi gioca e per chi assiste.

Alla fine della festa la merenda per tutti: un sacchetto di carta con dei pop corn (fatti in casa) e un din-din (un ghiacciolo anche questo fatto in casa, con un sacchettino di plastica con un piccolo foro, riempito di succo di frutta e messo in congelatore: praticamente un ghiacciolo a km zero).      

 

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