DON BOSCO NEL MONDO
ADOLPHE AKPOUÉ COFFI
I Salesiani in Benin ridonano la vita ai bambini
Un tempo il Benin si chiamava Dahomey, ed era noto per la qualità dei suoi schiavi. Cent’anni dopo la fine della tratta, gli schiavi sono ancora il principale prodotto d’esportazione del Paese: cambiano solo l’età (oggi sono bambini), il mezzo di trasporto (l’automobile) e la destinazione (la Nigeria).
Qui i Salesiani lottano con tutte le loro forze per salvarli.
La Repubblica del Benin, ex Dahomey, è uno Stato dell’Africa occidentale con una superficie di 114 763 km2.
È in questo Paese che i primi salesiani, pionieri, sono arrivati il 9 agosto 1980 dall’Ispettoria di Bilbao (Spagna) per mettersi al servizio della gioventù povera e abbandonata.
Per capire abbiamo incontrato padre Emmanuel Bernard Richard Azagba, direttore della comunità salesiana di Tokpota a Porto Novo e responsabile della casa Don Bosco che accoglie bambini in situazione di vulnerabilità.
Padre, com’è nata la sua vocazione?
La mia vocazione è stata un po’ complessa, in quanto provengo da una famiglia di tre figli, il più giovane e, per di più, l’unico maschio. Inoltre, c’è stato un elemento speciale che ha aiutato i miei genitori a fare una lettura cristiana e li ha portati a offrire il loro unico ragazzo alla Chiesa. Infatti, noi tre figli dei miei genitori, siamo nati il 24 dicembre con un intervallo esatto di cinque anni tra una nascita e l’altra. Fin da bambino ho sempre avuto il desiderio di consacrarmi al Signore. Ma un giorno, nella parrocchia salesiana di San Francesco Saverio a Porto-Novo, ho osservato come i salesiani durante l’oratorio stavano con i bambini di strada e i vari giochi che organizzavano per loro, la gioia che seminavano nei cuori di questi bambini. Così un giorno sono stato invitato a giocare con loro.
Ma mentre giocavo mi sono infortunato e subito un salesiano ha iniziato a prendersi cura di me senza conoscermi, per poi portarmi a casa. Ogni giorno questo salesiano veniva a trovarmi. Dopo il periodo di convalescenza, sono stato invitato a visitare le case dei bambini chiamate “Foyer Don Bosco”. Sono rimasto affascinato dal dinamismo dei Salesiani nei confronti dei bambini e dei giovani. Così ho cominciato a capire che stavano facendo come Gesù per l’umanità sofferente.
Dopo questa esperienza di vicinanza a questi bambini, mi sono detto che anch’io sarei stato come i Salesiani per questi bambini. Mi sono unito al gruppo degli Aspiranti alla Vita Salesiana e sono diventato salesiano di don Bosco. Ho trascorso i miei primi anni di sacerdozio in questa casa, dove da pochi mesi sono diventato direttore della comunità. È bello donarsi a Dio per i più poveri e per tutti gli uomini e le donne del nostro mondo.
Qual è la situazione attuale dei bambini che ospitate?
Ci sono molti bambini in Benin. In alcune famiglie numerose, a causa della poligamia (oggi vietata dalla legge), i bambini non sempre beneficiano delle attenzioni dei genitori che non possono provvedere a loro. Sono costretti a cavarsela da soli. Coloro che frequentano la scuola la abbandonano quando i genitori non pagano la scuola, nonostante il governo abbia decretato la gratuità della scuola materna ed elementare nel 2006. Purtroppo, la scolarizzazione gratuita all’orizzonte è stata poco più di una trovata pubblicitaria, un fuoco d’artificio. I bambini che vengono espulsi dalla scuola e i cui genitori non hanno i mezzi, rimangono a casa, imparano un mestiere o vengono affidati a un parente, un amico o un conoscente. E non tutti sono trattati bene. Alcuni vengono abusati o maltrattati e finiscono per scappare. Alcuni sono accusati di stregoneria e vengono cacciati via.
Sono questi bambini abbandonati che iniziammo a vedere sempre più spesso per strada o al mercato ad attirare la nostra attenzione. Erano abbastanza grandi per andare a scuola e non ci andavano. Abbiamo iniziato interessandoci alla loro situazione. Così, a Porto Novo, dopo aver riflettuto in comunità e aver coinvolto nella riflessione confratelli di altre comunità, abbiamo preso l’impegno di offrire loro i nostri servizi.
All’inizio abbiamo accolto i bambini che dormivano nei mercati o per strada e che venivano chiamati “bambini di strada”. Gradualmente siamo passati anche ai bambini vittime di tratta (esempio: un bambino che, contro la sua volontà, è stato portato via con la forza dal suo villaggio, con il pretesto di andare a scuola in città e di vivere con una famiglia benestante in un’altra città o in un altro paese dove viene utilizzato come assistente domestico o di vendita), e alle bambine vittime di sfruttamento economico e domestico (un bambino che vende pomodori al mercato per tutto il giorno senza pause, senza mangiare correttamente, e che viene punito perché perde soldi o perché ha sonno o è stanco). Inoltre, ci sono minori in conflitto con la legge (cioè che hanno commesso un reato e devono scontare una pena in carcere). Nonostante i notevoli sforzi compiuti da chi si occupa di protezione, sorgono nuovi problemi, come l’uso di droghe e l’integrazione di reti di adulti in cui i bambini, sia maschi sia femmine, si prostituiscono. Alcuni bambini sono accusati di stregoneria a causa di alcune deformità fisiche.
Qual è la situazione delle opere salesiane in Benin?
I Salesiani sono arrivati in Benin nell’agosto del 1980 e si sono stabiliti prima a Comé, nella diocesi di Lokossa, che hanno lasciato nel 1985. Nel frattempo furono fondate altre missioni: Porto Novo nel 1981, Parakou nel 1983, Cotonou nel 1985 e Kandi nel 1987. A Cotonou, come a Porto Novo, ci sono due comunità salesiane che lavorano per i giovani poveri e abbandonati. Queste ultime fondazioni si dedicano esclusivamente alla cura dei bambini vulnerabili. Le azioni portate avanti dai Salesiani di Don Bosco mirano a formare e offrire una seconda possibilità a molti bambini e giovani in situazione di fallimento. Proponiamo un’educazione integrale che tenga conto dell’ambiente e delle esigenze. Questa educazione tiene conto dell’uomo e di tutto l’uomo.
Nell’evoluzione del servizio educativo e pastorale che svolgevamo nelle parrocchie e nelle due scuole di Parakou (1987) e Cotonou (1990), abbiamo individuato una nuova sfida alla quale abbiamo cercato di dare una risposta. Abbiamo visto bambini e giovani vagare giorno e notte nel mercato. Erano esposti a ogni sorta di pericolo. Così, nel 1995, a Porto Novo, abbiamo avviato azioni a loro favore. Oggi questo lavoro si estende a Cotonou (con una nuova comunità) e a Kandi, dove si presta attenzione a questi bambini per affrontare questa nuova frontiera. I nostri centri di accoglienza per i bambini si chiamano Centro di accoglienza e protezione dell’infanzia (cape).
A poco a poco, molti bambini in situazioni di vulnerabilità hanno iniziato a bussare alle nostre porte grazie al lavoro dei nostri educatori sul campo che li incontrano nei nostri punti di riferimento nei mercati. Tre delle sei comunità del Benin prestano attenzione ai bambini vulnerabili.
A Porto Novo esiste una casa di transito aperta nel 1995 con una capacità di 60 posti. Esiste una seconda casa di riposo aperta nel 2000 con una capacità di 120 posti. Vengono accolti qui quando diventano stabili e accettano di andare a scuola o di imparare un mestiere. Nel 2009 sono stati aperti tre laboratori di formazione artigianale (falegnameria, saldatura ad arco e meccanica di due ruote). Per variare l’offerta formativa, alcuni bambini vengono indirizzati verso l’azienda agro-pastorale aperta nell’ottobre 2009.
Ci sono due case come punto di ascolto, orientamento e attività educative nei mercati di Dantokpa-Cotonou (2007), Ouando-Porto Novo (2010) e Sèmé-Kraké (2010) al confine con la Nigeria. Esploriamo i mercati per incontrare i bambini vulnerabili che vi passeggiano. Cerchiamo le famiglie dei bambini per scoprire perché si sono allontanati da casa.
Nel 2007 abbiamo lanciato il Programma di apprendimento accelerato (alp) per consentire ai bambini lavoratori minorenni che sono fuori dalla scuola ed esclusi dal sistema educativo formale di godere del loro diritto all’istruzione. Questo permette loro di imparare a leggere e scrivere e i più bravi sostengono l’esame per il Certificato di Istruzione Primaria (cep) in tre anni invece dei sei anni del programma formale di istruzione primaria.
A Cotonou, è stato aperto un punto di ascolto e orientamento nel mercato di Dantokpa il 6 maggio 2009. Poi abbiamo acquistato due piccoli appezzamenti di terreno nel mercato, sui quali abbiamo costruito e lanciato due programmi di corsi accelerati (acp). È stato inaugurato a Djidjè-Cotonou il 10 dicembre 2013 con tre laboratori di formazione professionale (cucito e ricamo, carpenteria in alluminio, meccanica a due ruote).
A Kandi, in seguito alla recrudescenza della tratta di minori nel nord del Benin (il fenomeno del reclutamento o dell’affidamento di un bambino a qualcuno in cambio di denaro attraverso l’inganno o l’abuso di autorità), abbiamo aperto un centro di accoglienza. Le ragazze e i ragazzi sono i benvenuti. Infatti, è l’unico centro che accoglie sia ragazze sia ragazzi. A Malanville, città di confine con il Niger, abbiamo un centro di ascolto.
Quali sono i bisogni più urgenti?
L’accoglienza di bambini vulnerabili nelle nostre case solleva la questione della ristorazione, del vestiario, dell’assistenza sanitaria, del pagamento della scuola o dell’apprendistato. C’è anche il problema del personale specializzato che lavora con i salesiani e il cui stipendio deve essere garantito. Poi c’è la fornitura di varie attrezzature e altre necessità…
Come vede il futuro?
Siamo ottimisti sui risultati attuali e futuri. Ci sono un impegno e un accompagnamento da parte dell’Ispettoria per rispondere alle esigenze di questo fronte della missione salesiana. È un dato incoraggiante. Inoltre, lavoriamo in sinergia con altre istituzioni che si occupano di bambini vulnerabili. La sensibilità dei confratelli sta crescendo.
C’è molto da fare per assicurare che i diritti dei bambini siano conosciuti e rispettati, per garantire la giustizia sociale, la parità di genere e l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori. Il futuro sta nell’educazione per cambiare atteggiamenti e comportamenti.
JOEL, UNO DEI “MOSTRI”
«Nei ghetti di Cotonou ognuno ha la sua specialità. La nostra era prendere i bambini. Li prendevamo di notte, fra i bambini di strada del quartiere, o nei villaggi fuori mano. Poi, sempre di notte, li portavamo nella foresta dove ci davano appuntamento i nigeriani. Lì non c’è nessun controllo, si può passare dal Benin alla Nigeria tranquillamente. I nigeriani venivano in macchina, si caricavano i bambini, ci sganciavano i soldi e arrivederci alla prossima. Non so bene che cosa ci facessero, con tutti quei bambini. Noi li prendevamo e basta».