BS Settembre
2021

L'INVITATO

ANS

Giampietro Pettenon - Dalle Missioni alla Sede Centrale

«L’essenziale è prendersi cura».

Come ha conosciuto i salesiani?

Ho conosciuto i salesiani quando avevo 14 anni all’inizio della suola superiore, a Castello di Godego (TV) l’opera salesiana che è vicina al mio paese. Fino ad allora non avevo mai sentito parlare di don Bosco.

È stato il mio parroco, monsignor Liessi, a venire direttamente a casa mia, chiedermi di salire in macchina, e a portarmi a conoscere i salesiani. Non che la cosa mi interessasse particolarmente, solo che a quella figura imponente e autorevole con la lunga veste nera e il tricorno col fiocco rosso, non avevo il coraggio di disobbedire.

Com’è nata la sua vocazione?

Durante i cinque anni della scuola superiore ho vissuto – assieme ad altri giovani – in comunità con i salesiani, prima a Castello di Godego e poi nella Comunità Proposta a Mogliano Veneto. Ora che mi guardo indietro ho un ricordo bello di quel tempo, ma quando lo stavo vivendo non era sempre così facile. Non capivo cosa avrei potuto fare, non avevo assolutamente le idee chiare.

È stato comunque un cammino regolare e progressivo nel quale ho maturato la consapevolezza che la vita salesiana poteva essere per me la scelta di vita definitiva. E per questo, dopo l’esame di maturità, sono entrato nel Noviziato per diventare salesiano di don Bosco.

Come ha reagito la sua famiglia?

Sono il più piccolo di quattro figli e, naturalmente, ero il “cocco di mamma”. I miei genitori, semplici contadini, mi hanno sempre lasciato libero di scegliere senza alcun condizionamento, né ricatto affettivo. Da loro ho ricevuto appoggio e condivisione piena alle mie scelte.

Quali sono stati i suoi primi incarichi?

Nei primi anni di vita salesiana, io che avevo conosciuto don Bosco attraverso il percorso scolastico, sono stato inviato a lavorare in oratorio: un mondo a me sconosciuto, una impegnativa e difficile sfida e un bel tirocinio pratico, senza dubbio! Sono poi ritornato nell’ambito scolastico insegnando nella formazione professionale, nella scuola superiore e infine anche all’Università.

Avendo compiuto gli studi superiori e quelli universitari in ambito economico, ho anche sempre svolto il compito di economo nelle comunità salesiane in cui mi trovavo.

Oltre all’impegno per “Missioni don Bosco”, lei ha il merito della progettazione, della riorganizzazione e dell’allestimento della parte storica di Valdocco. In che cosa consiste?

Valdocco, a Torino, è la nostra “terra santa salesiana”. È qui che il nostro padre don Bosco ha dato origine a quel vasto movimento di persone, consacrati e laici, che ancora oggi cresce nel mondo e si dedica all’educazione umana e cristiana dei giovani, specialmente i più poveri.

Valorizzare e rendere accessibili a quante più persone possibili le reliquie che Valdocco custodisce del nostro caro don Bosco e dei suoi primi collaboratori e figli spirituali è stata un’impresa ardua e al tempo stesso affascinante. Al pellegrino che giunge a Valdocco per conoscere i luoghi delle origini, oggi viene offerta una vera esperienza di itinerario spirituale che dalla Cappella Pinardi, passando per la Chiesa di San Francesco di Sales giunge alla grandiosa Basilica di Maria Ausiliatrice.

Il complesso museale è vario e tutto affacciato sul cortile storico: il nuovo gioiello è il museo Casa Don Bosco e di fronte c’è il piccolo ma suggestivo museo etnografico di Missioni Don Bosco, una finestra aperta sul mondo. A testimonianza dell’importanza che per i salesiani riveste la comunicazione e il lavoro manuale si può visitare il museo della prima tipografia, costruita da don Bosco. E per chi ama le emozioni forti c’è anche il percorso di salita alla grande cupola della Basilica da cui la vista spazia sui tetti di Torino fino alla Mole antonelliana e in fondo, sulla collina, alla Basilica di Superga.

Abbiamo poi rinnovato gli ambienti dedicati all’accoglienza (sale da pranzo, camere, luoghi di incontro per gruppi e comitive di passaggio) con i servizi tipici di un luogo turistico-religioso: un negozio di souvenir, la libreria, il bar e i servizi igienici.

Visitare la casa di don Bocco a Valdocco oggi è una esperienza nuova che merita di essere vissuta da grandi e piccini, da famiglie e gruppi di giovani, da cultori dell’arte e della storia, insomma da tutti.

Il compito che deve affrontare adesso nella Sede Centrale di Roma non è altrettanto impegnativo?

La sede centrale della Congregazione salesiana a Roma dove risiede oggi il Successore di don Bosco e il Consiglio Generale, che hanno il compito di animare e governare la Congregazione Salesiana, si trova proprio accanto alla Stazione Termini, in quell’edificio addossato alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù che lo stesso don Bosco ha costruito per volere del Papa.

Anche qui sono stato chiamato a prendermi cura di questo luogo storico e ricco di storia salesiana. Necessita di un restauro conservativo e di una ristrutturazione che lo rendano adatto ai tempi e ai bisogni di una congregazione davvero con un respiro mondiale, diffusa in 134 paesi del mondo.

Mi sono poi state affidate altre attività di supporto indiretto alla missione salesiana che sono chiamato a coordinare, non sono un granché entusiasmanti, ma nella vita adulta ci si deve far carico anche di qualche incombenza un po’ gravosa.

Negli ultimi sette anni è stato responsabile della Procura Missionaria “Missioni Don Bosco” di Torino. In cosa è consistito il suo lavoro?

Il servizio che ho svolto in Missioni Don Bosco è stato molto bello, e particolare, nell’ambito della Congregazione Salesiana. È consistito essenzialmente in un vivere di continui incontri fra persone. Incontri con i missionari che venivano a Torino-Valdocco, dove ha sede la Procura Missionaria, per presentare i bisogni dei più poveri e chiedere aiuto. Ed incontri con i nostri sostenitori, i benefattori delle opere salesiane, per far conoscere i bisogni della missione e tendere la mano per… “domandare la carità”.

Dopo sette anni, quale ritiene sia il risultato più importante conseguito alla guida di MDB? E quali sfide lascia a don Antúnez?

Faccio fatica ad individuare un risultato preciso, come se il servizio in Missioni Don Bosco fosse una gara con un traguardo da raggiungere. Coordinare la Procura Missionaria non è stato per me un lavoro, ma una “missione” da vivere ogni giorno, con le sorprese belle e difficili che la vita riserva a ciascuno. Riconosco comunque che sono stati anni di vita bellissimi, seppur difficili in alcuni passaggi cruciali.

A don Daniel Antúnez cedo il testimone di un’attività in corsa, proiettata verso un orizzonte di relazioni intense con i nostri benefattori, relazioni che necessitano di essere sempre più personalizzate e sempre meno massive. È nella relazione personale, caratterizzata dallo Spirito di Famiglia che ci ha insegnato don Bosco, che dovrà misurarsi il mio successore.

Durante il suo mandato a MDB ha avuto modo di visitare in prima persona tante missioni e tante realtà di grande povertà, ma anche di speranza. C’è qualche episodio che l’ha più colpita?

Un po’ per necessità, un po’ per passione, ho conosciuto tanti confratelli salesiani e li ho visti operare sul campo. La loro testimonianza di donazione totale è commovente: stanno facendo autentici miracoli!

Ho sempre ritenuto la formazione professionale strategica per educare ed evangelizzare i giovani, specialmente i più poveri, ed avviarli alla vita in maniera dignitosa. Tra le opere che mi hanno più colpito, e che cito spesso, c’è stato un incontro, in un nostro centro di formazione professionale in Vietnam situato nella zona del delta del grande fiume Mekong. Il dirigente di una impresa commerciale di import-export che opera sulle banchine del porto ha detto di assumere volentieri i ragazzi qualificati alla scuola di don Bosco perché hanno tre caratteristiche: 1. Non rubano, 2. Obbediscono al capo, 3. Sanno lavorare in squadra. Penso che un complimento più bello, rivolto al nostro servizio educativo, non potevamo riceverlo.

Don Bosco stesso fu un grande fundraiser. Oggi quali sono “i segreti” per svolgere con successo questa missione?

Raccogliere fondi per sostenere le opere salesiane in terra di missione è dare una mano alla Provvidenza affinché la cura di Dio per l’umanità trovi concretezza. Più che di “segreti” io parlerei di “atteggiamenti” da curare e vivere ogni giorno nell’incontro con l’altro, sia esso il missionario o il benefattore.

Anzitutto bisogna essere umili e riconoscere che quello che stai facendo è opera di Dio. Poi è importante essere sinceri e trasparenti, presentando i reali bisogni dei più poveri, e non quello che a te fa più piacere. Infine essere riconoscenti per tutto l’aiuto ricevuto gratuitamente da tanti benefattori e che sei chiamato ad amministrare, in pieno accordo con i Superiori della Congregazione salesiana, affinché sia distribuito e condiviso con i più bisognosi.

Quanto è importante il ruolo dei laici nel settore della raccolta fondi? E quanto è contato, d’altra parte, il suo essere consacrato e salesiano nella gestione di una realtà come MDB?

In Missioni Don Bosco opera una bella squadra di laici che credono molto nel servizio che portano avanti con dedizione e tanta competenza. Sono loro il motore dell’attività. Senza di loro non ci sarebbe la Procura Missionaria. Io, come salesiano consacrato, ho cercato di entrare in questa organizzazione ben collaudata con il compito di essere l’olio che lubrifica il motore. L’olio del motore non si nota e non si percepisce che c’è. Ma senza olio il motore si surriscalda e brucia in fretta.

Vivo questo avvicendamento fra me e il mio successore, don Daniel Antúnez, come un cambio dell’olio, il tagliando periodico per mantenere in buona salute la macchina della Procura Missionaria.

Da quello che ha potuto vedere, la pandemia ha fiaccato o riacceso la generosità?

La pandemia da covid ci ha spaventati e provati molto, tutti: salesiani, giovani e benefattori, ma non ci ha travolti, anzi! La generosità non è venuta meno. Al contrario. Proprio perché abbiamo sperimentato in diversi modi la paura e l’impotenza di fronte a questa catastrofe, ci siamo sentiti più “umani” e solidali gli uni con gli altri. In particolare i nostri benefattori si sono fatti presenti in maniera forte e spesso commovente. Di questo dobbiamo rendere lode a Dio.

C’è qualche altro spunto che vuole condividere con i nostri lettori?

Desidero ringraziare. È molto più quello che ho ricevuto da questa esperienza di quello che ho potuto modestamente donare. E concludo usando le parole del nostro caro padre don Bosco: “Dio benedica e ricompensi tutti i nostri benefattori”.             

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