QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
TESTIMONIANZE GIURATE AL PROCESSO DI SANTITÀ DI DON BOSCO
«Fui il secondo ragazzo accettato nella casa di don Bosco»
Felice Reviglio, parroco di S. Agostino in Torino.
Felice Reviglio nacque a Torino, presso la parrocchia di S. Agostino. Si allontanò dalla religione cristiana per difficoltà incontrate nella parrocchia e per l’atteggiamento ostile della sua famiglia. A 16 anni era un buon cantore di brani d’opera lirica, e volle conoscere don Bosco e il suo Oratorio. Don Bosco vide in lui un futuro sacerdote e sperò di farne il primo salesiano (Michele Rua aveva 5 anni meno di lui). Reviglio fu davvero il primo sacerdote cresciuto nell’Oratorio, ma disse a don Bosco che non se la sentiva di diventare salesiano. Don Bosco l’aiutò a inserirsi nel clero diocesano, dove fu parroco a Volpiano e poi parroco di S. Agostino, la parrocchia dov’era nato. Fu sempre un amico totale di don Bosco.
Io sono il teologo Reviglio Felice, 60 anni, nativo e domiciliato a Torino, curato della parrocchia di Sant’Agostino in questa stessa città.
«Entrai nell’Oratorio scavalcando un muro»
Nella mia deposizione mi attengo a quanto so di mia propria scienza, ciò che ho visto e udito.
Ho conosciuto don Giovanni Bosco circa l’anno 1847 (don Bosco aveva 32 anni, Reviglio ne aveva appena compiuti 16). Un giorno di domenica con alcuni miei amici, attirato da ciò che si diceva di don Bosco, cioè che trattava i giovani con molta bontà, mi presentai all’Oratorio scavalcando un piccolo muro, poiché la porta era già chiusa. Penetrai così nella piccola chiesa dove si facevano le funzioni. Mi accorsi subito che quel meschino Oratorio non poteva essere stato altro che una stalla o tettoia, convertita in cappella.
Fin dal primo istante fui enormemente sorpreso nel vedere tanti giovani della mia età e condizione, devoti e modesti come agnellini, pendere dalle labbra di un piccolo e venerando sacerdote, che seppi poi essere il teologo Giovanni Borei, il quale con dolcezza, semplicità e affabilità istruiva quello stuolo di giovani.
Dopo mi trattenni nel cortile, e presi parte alla ricreazione. Il mio primo desiderio era quello di conoscere e avvicinare quel prete che mi era stato descritto dai miei amici con tanto entusiasmo, come un padre amoroso della gioventù, don Bosco. Lo avvicinai, e forse per la prima volta sentii una gioia ineffabile, che ora conosco essere stata la prima chiamata che Dio mi faceva per attirarmi a sé. È molto difficile tentare di descrivere l’accoglienza affabile, benigna che ebbi da don Bosco, e la profonda commozione che provai. Mi fece alcune domande sul mio stato e la mia condizione, poi fece risuonare al mio orecchio una di quelle potenti parole che egli sapeva dire per guadagnare la gioventù. Mi sentii del tutto mutato.
Per non dirgli di no, con quei miei compagni che mi avevano accompagnato cantai alcuni pezzi d’opera, che furono molto graditi… Avevo allora 16 anni, vivevo nell’ignoranza della dottrina cristiana e non conoscevo nemmeno il Padre nostro. Intenerito dal mio misero stato, don Bosco nel nostro secondo incontro mi invitò dolcemente a recarmi dietro l’altare della cappella, dicendomi che sarebbe venuto subito ad ascoltare la mia confessione. Era questa l’abile operosità sua: girava tra i giovani che si ricreavano e avvicinava quelli che, con il suo occhio penetrante e ispirato, conosceva aver maggior bisogno della sua carità.
«La prima volta che mi confessai da don Bosco»
Recatomi di slancio nella cappella, trovai diversi giovani che aspettavano anch’essi di confessarsi da don Bosco. Venuto il mio turno, versai il mio cuore nel suo, e udii una parola che infuse nell’anima mia la pace più ineffabile. Dopo la confessione, egli si offerse di istruirmi nelle prime verità della fede, che mi vennero poi insegnate da don Ponte, da lui delegato. Siccome egli veniva a mensa con don Bosco, mi riceveva tutti i giorni dopo pranzo, e mi insegnava il catechismo. Per fortuna sua, alcuni anni prima ero già stato ammesso alla prima Comunione, ma mi era stata poi proibita dal parroco di S. Agostino perché non sapevo il Padre nostro. Fu quindi facile richiamare alla mente le lezioni che avevo ricevuto da bambino, e in quindici giorni fui pronto alla prima Comunione, che ricevetti dalle mani di don Bosco.
Da quel momento l’Oratorio divenne il mio luogo prediletto, lo frequentavo almeno tutti i giorni, e qualche volta più volte al giorno. In quelle ore imparai la musica, che potei ben presto eseguire tanto all’Oratorio come altrove. Alla sera, dopo la lezione che ci faceva don Bosco, egli ci accompagnava verso casa. Giunti sui viali, cantavamo varie lodi alla Madonna, poi tornavamo alle nostre famiglie.
«Mi arrampicai su un gelso per sfuggire a mia madre»
Con il passare dei giorni, don Bosco venne a conoscere bene la mia situazione, e si offrì di accettarmi in casa sua in qualunque giorno mi fossi presentato. L’occasione si presentò molto presto. Una sera, stanco del lavoro, affranto dalla privazione del cibo e offeso da ingiurie e minacce, verso le otto di sera scappai verso l’Oratorio. Don Bosco non era ancora tornato a casa, e per timore di essere raggiunto da mia madre mi arrampicai su un gelso, che con le sue abbondanti foglie mi nascose dagli sguardi, nonostante il chiarore della luna. Rannicchiato tra un ramo e l’altro come un malfattore che ha paura di essere raggiunto dalla giustizia, attendevo con grande trepidazione l’arrivo di don Bosco. Venne finalmente don Bosco, ma anche mia madre che, persuasa che fossi fuggito all’Oratorio, voleva riportarmi a casa. Tra mia madre e don Bosco s’ingaggiò un dialogo lungo e non troppo piacevole, che preferisco non ricordare.
Io, ascoltatore inosservato, avevo solo paura che qualcuno guardasse in su verso l’albero, e mi scoprisse. Fu certo Provvidenza che nessuno mi vide, e che sia don Bosco sia i miei compagni (arrivati intanto per la scuola serale) non avendomi visto, assicurarono mia madre che lì non potevo essere. Appena lei se ne andò, cominciai a respirare. Quando tutti se ne furono andati, discesi dall’albero e andai a bussare alla porta di don Bosco. Egli, sommamente sorpreso di vedermi e sentito ciò che mi era capitato, disse alla sua veneranda madre di darmi pane e minestra, e mi assegnò un lettino per riposare nella notte. Il giorno dopo incontrai mia madre che tornò a cercarmi, e ottenni il suo pieno consenso di rimanere all’Oratorio. Da quel momento divenni il secondo ragazzo accettato nella casa di don Bosco. In quel modo don Bosco inaugurava il suo ospizio, e dava un nuovo sviluppo alla sua missione.
«Per dieci anni vissi accanto a mamma Margherita. Essa mi confidò…»
Per vari anni, con gli altri (che di giorno in giorno crescevano di numero) ricevevo quotidianamente minestra e pane, e potevamo raccogliere nel vicino orto la verdura che ci doveva servire da companatico. (…) Conobbi la madre di don Bosco. Vissi accanto a lei dieci anni, e posso dire con tutta verità che era donna di eminente pietà, semplicità, di preghiera e di sacrificio. Da lei stessa seppi che, rimasta vedova all’età di 29 anni, ebbe molte proposte di matrimonio, alle quali tutte rinunciò per attendere all’educazione dei suoi due figli, cosa che le costò lavoro, privazione di riposo e molti sudori. (…)
La vita del primissimo Oratorio, minuto per minuto
Dal giorno che entrai nell’Oratorio, osservai la santa e intelligente operosità che don Bosco adoperava per la santificazione dei giovani. In un cortile abbastanza vasto che circondava la cappella si radunavano nei giorni festivi circa cinquecento giovani. Egli aveva provvisto diversi giochi e attrezzi di ginnastica per trattenerli allegramente: bocce, piastrelle, stampelle, il passo del gigante, le parallele, il cavalietto, e nelle occasioni di S. Luigi e di S. Francesco di Sales c’era la corsa nei sacchi, la rottura delle pignatte, il rompicollo (arrampicata su un piano inclinato sdrucciolevole, un’imitazione povera dell’albero della cuccagna).
Durante la ricreazione dei giovani, don Bosco andava girando all’intorno, e ora si avvicinava a uno e ora a un altro, e in tale occasione, mentre nessuno se ne accorgeva, li interrogava per conoscerne l’indole e i bisogni. Era riuscito ad avere l’aiuto di vari e buoni sacerdoti, che lo aiutavano, assistevano i giovani nel tempo di ricreazione. Si formavano diversi gruppi, intorno a don Bosco e ad altri sacerdoti, e si cantavano lodi alla Madonna. Queste ricreazioni si svolgevano prima e dopo le funzioni sacre.
Fin dal mattino presto, in ogni stagione dell’anno, don Bosco si trovava in cappella e confessava i giovani che già numerosi frequentavano i sacramenti. A un’ora stabilita celebrava la S. Messa, dopo la quale raccontava dalla piccola cattedra la storia sacra in modo così familiare e interessante che, alla fine, alcuni sapevano ripetere le sue parole e rispondere alle sue curiose ma importanti domande.
Nelle feste più solenni, dopo le funzioni, regalava ai giovani pane e salame, o altro companatico.
Nel pomeriggio c’era un’istruzione popolare, fatta quasi sempre a dialogo tra don Bosco e il teologo Borei.
«Fui il primo scelto da don Bosco per la Congregazione salesiana»
Don Bosco sentiva il bisogno di aiutanti nella sua santa impresa, aiutanti che fossero animati dal suo medesimo spirito. Egli avviava agli studi solo quelli dai quali sperava con il tempo un aiuto. Ma se avveniva che dopo qualche tempo i giovani non avessero quel desiderio, tuttavia dimostrassero vocazione sacerdotale, don Bosco lasciava loro pienissima libertà, e si adoperava con non minore premura per procurare loro i mezzi per arrivare al sacerdozio, lieto di provvedere alla Chiesa preti, di cui specialmente allora si sentiva molto bisogno.
Egli si adoperava per gettare le fondamenta di una società religiosa, i membri della quale gli professassero ubbidienza. Io fui il primo scelto da lui a questo fine. Sebbene non mi sia sentito di promettergli l’obbedienza che chiedeva, fui ugualmente aiutato da lui a proseguire gli studi, e lasciato da lui in perfetta libertà di consacrarmi alla diocesi. Anzi, per una sua raccomandazione speciale ottenni dall’arcivescovo la nomina a un patrimonio ecclesiastico.
Ammiro i disegni della divina Provvidenza, la quale dispose che io ricevessi il Battesimo e fossi parrocchiano della parrocchia di S. Agostino ove ora sono parroco.
«Lo incontrai tante volte negli anni che seguirono»
Ogni volta che don Bosco incontrava nelle strade o durante i suoi viaggi dei figli che erano usciti dalla sua casa, dopo essersi informato della loro condizione, chiedeva notizie dell’anima loro. Diceva: «E la Pasqua l’hai fatta? Sei sempre un buon cristiano? Vienimi a trovare presto». In questo modo riusciva a far ritornare alle pratiche religiose forse abbandonate. Domande simili faceva agli stessi sacerdoti e parroci, da lui avviati al sacerdozio, come posso dichiarare d’aver fatto verso di me, dandomi in pari tempo norme onde disimpegnare santamente il mio ministero.
Aveva infuso in noi tanto amore verso la Chiesa che ci sentivamo disposti a difenderla anche a costo della vita, e io, se nutro tali sentimenti in me, lo devo a don Bosco e posso attestare che i più potenti impulsi di obbedienza e fedeltà alla Chiesa li ricevetti e ho impressi in me da don Bosco.
Una volta mi trovai, mentre ero già parroco in Torino, a far visita a don Bosco. Erano le cinque del pomeriggio ed egli pranzava da solo. Mangiava pochi fagioli, malamente conditi, in una scodella di stagno, dopo aver lavorato molte ore al tavolino. Tutto il suo vitto si riduceva a così poco. Ne sentii una stretta al cuore. Don Bosco praticava per primo la massima che frequentemente ci ripeteva: mangiare per vivere e non vivere per mangiare. Questo sistema lo praticò fino alla fine della sua vita.
«Vidi avverarsi le profezie di don Bosco»
Quando si benedì la prima pietra della chiesa di S. Francesco di Sales (nel 1851), la prima chiesa dell’Oratorio, a noi sembrava che quella fosse l’opera massima che avesse potuto fare don Bosco. In quell’occasione, a me che facevo le meraviglie per la nuova chiesa, don Bosco disse con sicurezza, come avesse avuto i tesori a sua disposizione: «Questo è nulla! Vedrai cosa si fabbricherà qui davanti e qui attorno», e descrisse la casa colossale che adesso si ammira. Sicché, di mano in mano che si ampliava l’Oratorio, io notavo l’avveramento delle sue predizioni, e lo raccontavo come cosa meravigliosa, poiché quando don Bosco predisse tali cose, non c’era alcuna possibilità di successo.
Rammento anche che, mentre eravamo attorno a lui cinque chierici tra i quali io stesso, disse: «Tra voi uno sarà vescovo». Devo confessare ingenuamente che, essendo il più anziano, orgogliosamente credevo di essere il predestinato. Così, quando nel 1884 (trent’anni dopo) fu consacrato vescovo monsignor Giovanni Cagliero, uno dei cinque presenti, io alla mensa (davanti al cardinale Alimonda e agli altri vescovi consacranti e moltissime persone compreso don Bosco) ricordai la predizione, e feci pubblica confessione della mia presunzione. Il salesiano don Francesia, anche lui tra i cinque chierici che sentirono la predizione, e ora presente alla mensa, pubblicamente dichiarò che anche lui si era preparato a fare la stessa dichiarazione e a confessare che anche lui aveva pensato di essere il predestinato.