LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Finalmente in Patagonia!
I PRECEDENTI DELLE MISSIONI SALESIANE
(continua dal numero precedente)
Il 15 agosto 1879 monsignor Aneiros offriva formalmente a don Bosco la missione patagonica: «È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato».
A far sospendere a don Bosco e don Cagliero, almeno temporaneamente, qualunque progetto missionario in Asia fu la notizia del 12 maggio 1877: l’arcivescovo di Buenos Aires aveva offerto ai salesiani la missione di Caruhé (a sud est della provincia di Buenos Aires), luogo di presidio e di frontiera tra numerose tribù di indigeni del vastissimo deserto della Pampa e della Provincia di Buenos Aires.
Si aprivano così ai salesiani per la prima volta le porte della Patagonia: don Bosco ne rimase come elettrizzato, ma a raffreddare decisamente i suoi entusiasmi ci pensò subito don Cagliero: “Le ripeto però che a riguardo della Patagonia non bisogna correre con velocità elettrica, né andarci a vapore, perché a questa impresa i Salesiani non sono ancor preparati […] si è pubblicato troppo ed abbiamo potuto fare troppo poco a riguardo degli Indii. L’impresa non bisogna disconoscerla, facile assai ad idearsi, difficile a realizzarsi, ed è troppo poco tempo che siamo qui venuti, e ci conviene sì con zelo ed attività lavorare a questo scopo, ma non fare fracasso, per non suscitare ammirazione a questa gente di qui, per volere aspirare noi, arrivati jeri, alla conquista di un paese che ancora non conosciamo e di cui ignoriamo persino la lingua”.
Venuta meno l’opzione di Carmen de Patagónes con la parrocchia affidata dall’arcivescovo ad un padre lazzarista, ai salesiani rimasero aperte quella appunto più a nord di Carhué e quella più a sud di Santa Cruz, per la quale don Cagliero ottenne un passaggio navale in primavera, che gli avrebbe fatto rimandare di sei mesi il previsto rientro in Italia.
L’anno 1877 si chiuse con la terza spedizione di 26 missionari capitanati da don Giacomo Costamagna e con la nuova richiesta di don Bosco alla Santa Sede di una Prefettura a Carhué e un Vicariato a Santa Cruz. Eppure, a dire il vero, in tutto l’anno l’evangelizzazione diretta dei salesiani fuori città si era limitata alla breve esperienza di don Cagliero e del chierico Evasio Rabagliati nella colonia italiana di Villa Libertad a Entre Ríos (aprile 1877) ai confini della Diocesi del Paranà e ad alcune escursioni nel campo pampeano dei salesiani di S. Nicolás de los Arroyos.
Il sogno si realizza (1880)
Nel maggio 1878 falliva per una tormenta oceanica il primo tentativo di raggiungere Carhué da parte di don Costamagna e del chierico Rabagliati. Ma intanto don Bosco era già ritornato alla carica con il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, cardinal Giovanni Simeoni proponendogli un Vicariato o Prefettura con sede a Carmen, come aveva suggerito lo stesso don Fagnano che lo vedeva come punto strategico per raggiungere gli indigeni.
L’anno dopo (1879), proprio mentre veniva meno un progetto di entrata dei Salesiani in Paraguay, si aprivano loro finalmente le porte della Patagonia. Nell’aprile infatti il generale Julio A. Roca dava inizio alla famosa “campagna del deserto” con l’obiettivo di sottomettere gli indios e ottenere sicurezza interna, respingendoli oltre i fiumi Río Negro e Neuquén. Era il “colpo di grazia” al loro sterminio, dopo i numerosi massacri dell’anno precedente.
Il vicario generale di Buenos Aires, monsignor Espinosa, come cappellano di un esercito forte di seimila uomini, si fece accompagnare dal chierico argentino Luigi Botta e da don Costamagna. Il futuro vescovo si rese subito conto dell’ambiguità della loro posizione, ne scrisse immediatamente a don Bosco, ma non vide altra via per aprire la strada della Patagonia ai missionari salesiani. Ed in effetti appena il governo chiese all’arcivescovo di stabilire alcune missioni sulle sponde del Río Negro e nella Patagonia, si pensò subito ai salesiani.
Questi, dal loro canto, avevano in animo di chiedere al governo la concessione per dieci anni di un territorio da loro amministrato in cui costruire, con materiali pagati dal governo e con manodopera degli indios, gli edifici indispensabili per una sorta di reducción in quel territorio: gli indigenti avrebbero evitato la contaminazione dei coloni cristiani “corrotti e viziosi” ed i missionari vi avrebbero piantato la croce di Cristo e la bandiera argentina. Ma l’ispettore salesiano don Francesco Bodrato non se la sentì di decidere da solo e don Lasagna nel maggio lo sconsigliò per il fatto che il governo Avellaneda era alla fine del suo mandato e non era interessato al problema religioso. Meglio dunque conservare salesianamente indipendenza e libertà d’azione.
Il 15 agosto 1879 monsignor Aneiros offriva formalmente a don Bosco la missione patagonica: “È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato, come la cura d’anime tra i Patagoni, che può servire di centro alla missione”.
Don Bosco la accettò subito e di buon grado, anche se essa non era ancora il tanto sospirato consenso all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche autonome rispetto all’arcidiocesi di Buenos Aires, realtà costantemente avversata dall’Ordinario diocesano.
La partenza
Il drappello di missionari partì alla volta della sospirata Patagonia il 15 gennaio 1880: era composto da don Giuseppe Fagnano, direttore della Missione e parroco a Carmen de Patagónes (il padre lazzarista si era ritirato), due sacerdoti, di cui uno si occupava della parrocchia di Viedma sull’altra riva del Río Negro, un salesiano laico (coadiutore) e quattro suore. In dicembre a dar man forte arrivò don Domenico Milanesio e pochi mesi dopo don Giuseppe Beauvoir con un altro coadiutore novizio. L’epopea missionaria salesiana in Patagonia incominciava. (continua)