BS Maggio
2023

QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO

TESTIMONIANZE GIURATE AL PROCESSO DI SANTITÀ DI DON BOSCO

«Ero sempre in sua compagnia»

Giorgio Moglia, contadino.

Quando Giovannino Bosco, in una fredda giornata del febbraio 1827, dovette lasciare la sua casa dei Becchi per i maltrattamenti del fratellastro Antonio, andò a cercare lavoro come garzone alla cascina dei Moglia. Nell’aia incontrò tutta la famiglia: Luigi, giovane papà di anni 29; Dorotea, fiorente mamma di 26 anni; il loro bambino Giorgio, di tre anni; la giovanissima sorella di Luigi, Teresa di 15 anni; e Giuseppe, zio anziano di Luigi.

Quando si fece il «processo di santità» per don Bosco, la signora Dorotea era appena mancata, vecchietta bianca e fragile di 91 anni. Al «processo» si recò suo figlio Giorgio, 67 anni. Rilasciò la sua testimonianza sotto giuramento e sotto segreto.


Mi chiamo Moglia Giorgio del fu Luigi e della fu Dorotea Filipello, di anni 67, nato e domiciliato a Moncucco Torinese, di professione contadino. Quanto dirò, sarà quanto so di mia scienza, e non altrimenti.

Io ho conosciuto don Giovanni Bosco quando avevo tre anni e il giovane Bosco tredici, nel tempo in cui trovavasi in casa dei miei genitori, in qualità di servitore di campagna. Abitavamo già allora in Moncucco, alla Borgata Moglia. Il giovane Bosco si è fermato circa due anni in casa nostra. Durante quel tempo tutti i giorni io gli parlavo, perché si può dire che ero sempre in sua compagnia, sia in campagna sia in casa. Anzi, mia madre mi consegnava in custodia a lui, ed egli lo faceva volentieri, ma ora non ricordo nulla di quello che egli mi diceva essendo io d’età infantile.

Due grani e quattro spighe

Mia madre mi raccontò che un giorno il giovane Bosco, ritornato dalla campagna sul mezzogiorno insieme allo zio di mio padre, questi stanco dai lavori si sdraiò in casa per riposarsi, e vedendo il giovane Bosco che, sentito il suono dell’Angelus Domini (la campana di mezzogiorno), si era messo in ginocchio a recitare l’Angelus (preghiera che ricorda l’Annunciazione della Madonna), ne restò oltremodo meravigliato, ed esclamò:

«Questa è bella, io che sono il principale e non ne posso più dalla stanchezza, me ne sto qui, e il mio servitore invece si mette a pregare in ginocchio!».

Il giovane Bosco soggiunse:

«Oh guardate, se va bene ho guadagnato più io a pregare che voi a lavorare; se pregate, seminando due grani ne nascono quattro spighe; se non pregate, seminando quattro grani raccogliete due spighe. E ridendo soggiunse: – Pregate anche voi, e invece di due ne raccoglierete quattro».

L’altro a ciò udire esclamò: «Oh pofferbacco, che io abbia a prender lezione da un giovanetto?».

Raccoglieva i ragazzi nei tempi liberi e piovosi

Mia zia, di nome Anna, allora nubile, mi diceva che nei tempi liberi e piovosi il giovane Bosco raccoglieva i giovanetti attorno a sé, e loro insegnava ora il catechismo ora a cantare qualche lode sacra.

All’età di quindici anni il giovane Bosco, per motivo degli studi lasciò la nostra casa, e vi ritornò quando era già chierico, e noi non lo conoscevamo più. Al vederlo e riconoscerlo tutti ne provammo un gran piacere, e i miei genitori lo vollero far rimanere con loro. Essendo la madre del Bosco allo stretto d’alloggio, lo fecero restare in casa, dove rimase tre mesi durante le vacanze. In tal tempo lo si vedeva sempre dedito alla preghiera e allo studio, e assiduo alla Chiesa.

Quando arrivò la prima volta

Quando il giovane Bosco venne accolto in casa nostra da servitore di campagna, come mi fu raccontato dai miei genitori, era venuto via dalla casa paterna col permesso della sua mamma, perché era maltrattato dal suo fratellastro. E venne a casa nostra un giorno verso sera. S’incontrò con lo zio di mio padre, di nome Giuseppe Moglia, che gli disse: «Oh dove vai?» E Bosco rispose: «Vado cercando un padrone per prestare l’opera mia». Allora lo zio gli disse: «Bravo, lavora» e lo mandò via. Quando una mia zia sentì queste parole, supplicò lo zio di volerlo accogliere, per essere essa esonerata dal condurre gli animali al pascolo, e tanto disse che il Moglia lo tenne in casa.

«Ho conosciuto sua madre Margherita»

Da mia zia Anna seppi che il giovane Bosco era intento alla preghiera anche quando era occupato a pascolare il gregge in campagna. Ricordo ancora che il giovane Bosco, essendo già chierico, io ero andato alla sua casa, e vi rimasi per circa tre mesi. Prima di addormentarci mi faceva pregare e mi dava buoni consigli. Fra le altre cose mi disse parecchie volte:

– La miglior opera che sia al mondo è portare le anime perdute al bene, sulla buona strada.

Altre volte mi diceva:

– Chi perde il rispetto al padre e alla madre, si attira la maledizione di Dio.

E questo mi disse, avendogli io narrato che un giovane del mio paese aveva maltrattato suo padre.

Io ho tanto rispetto, stima e amore per don Bosco, quanto ai miei stessi genitori. E se ho bisogno di grazie dal Signore, io ricorro a lui per ottenerle. Io desidero ardentemente la sua beatificazione, e se fosse necessario che io andassi a piedi sino a Roma, io lo farei ben volentieri.

Ho conosciuto sua madre, che si chiamava Margherita, contadina. Aveva una piccola casa e qualche campicello. Il padre non l’ho conosciuto perché è morto quando don Bosco era ancora ragazzino. Sua madre era tenuta in grande stima dai miei genitori, e presso la borgata e dintorni, e da tutti lodata come una madre cristiana, veramente buona.

Mia madre ogni anno gli regalava le calze

Quando mio zio arava il campo, il giovane Bosco che guidava i buoi, se questi andavano senza bisogno della sua guida, coglieva ogni momento per trarre fuori un libro e leggere.

Dopo essersi il giovane Bosco fermato due anni con noi, si fermò un anno dal parroco di Castelnuovo, quindi andò a Chieri per continuare i suoi studi.

Mia madre, quando egli era già chierico in seminario, gli regalava ogni anno qualche paio di calze, il che prova che essa lo considerava come un suo figlio.

Io ho sentito la Messa di don Bosco nei primi mesi, dopo che era stato ordinato sacerdote, mentre trovavasi in vacanza a Castelnuovo, e ne restai edificato. L’ho pure sentito predicare una volta nel principio del suo sacerdozio, e io e i parenti ne restammo bene impressionati.

Vidi la casupola che fu il principio dell’Oratorio

Fin da quando si trovava in casa nostra, il giovane Bosco nei momenti di libertà cercava di attirarsi i giovanetti, e loro insegnava il catechismo, le litanie, qualche lode, e raccontava qualche buon esempio. Fatto poi sacerdote, accrebbe questo suo desiderio di far del bene alla gioventù, e fondò poi l’Oratorio per accogliere giovani poveri. Io stesso, venuto una volta a Torino, vidi la casupola che fu il principio dell’Oratorio, in cui v’erano già alcuni giovani. In quell’occasione don Bosco mi disse che se conoscevo qualche giovane povero e senza genitori, lo conducessi pure a Torino al suo Oratorio, che l’avrebbe accettato: difatti ne condussi due o tre. Il numero dei giovani (crebbe) sempre più. Negli ultimi anni, in cui visse, don Bosco mi disse che nell’Oratorio di Valdocco v’era più gente che non nel mio paese di Moncucco.

Ho letto alcuni libri e fui associato alle Letture Cattoliche che don Bosco faceva pubblicare allo scopo di istruire il popolo nelle cose religiose.

Mi domandava notizie della sua vigna

Mi raccontava mio zio Giovanni Moglia che, quando il giovane Bosco era in casa nostra, piantarono insieme quattro filari di viti. Giovanni coi vimini legava uno di quei filari vicino a terra, e questo gli costava fatica. Stanco del lavoro, si lamentava del mal di schiena e delle ginocchia, ma mio zio gli diceva:

– Va avanti. Se non vuoi avere mal di schiena da vecchio, bisogna che lo soffra ora che sei giovane.

E Bosco continuò a lavorare. Ma dopo qualche istante soggiunse: «Ebbene, queste viti faranno l’uva più bella e daranno miglior vino e in maggior quantità, e dureranno più delle altre».

La cosa avvenne come aveva predetto, perché le altre viti di quella terra coll’andar del tempo andarono perdute, e invece quelle legate dal giovane Bosco continuarono fino al 1890 con ammirazione di tutti. E io, ogni qualvolta venivo all’Oratorio in Torino, don Bosco mi domandava sempre notizie di quella vigna.

Nel 1840 il chierico Bosco venne a far da padrino al mio fratello Giovanni. Mia madre si lamentava di essere sfinita di forze, temeva di non riaversi in salute; al che don Bosco le disse: «Fatevi coraggio e state di buon umore, voi verrete fino all’età di novant’anni». Difatti essa morì in età di novantun anno. Devo dire che essa si fidava molto di questa promessa di don Bosco, e benché alcune volte colpita da malattie anche gravi, non volle mai prendere rimedi prescritti dal medico, perché diceva: «Don Bosco mi ha assicurato che vivrò fino ai 90 anni». Essa dopo la morte di don Bosco, si raccomandava a lui tutti i giorni, e morì col suo ritratto sul letto.

«Questo è il mio padrone»

Don Bosco ebbe sempre grande riconoscenza per la mia famiglia, per quel poco che abbiamo fatto per lui. Nei primi anni del suo Oratorio, quando non aveva ancora molti giovani, tutti gli anni li conduceva a casa nostra a fare una scampagnata. E voleva che noi considerassimo il suo Oratorio come casa nostra quando dovevamo venire a Torino. Moltissime volte mi fece sedere accanto a sé a tavola, anche quando era attorniato da molti suoi preti. Una volta a pranzo disse ai suoi preti e ad altre persone, rivolto a me: «Questo è il mio antico padrone», alludendo al tempo in cui da giovane era stato al servizio di mio padre Moglia.

Don Bosco morì pochi anni fa nell’Oratorio di Valdocco. Io l’ho veduto qualche mese prima. Lo trovai seduto su un seggiolone, sfinito di forze, paziente però e gioviale. Avendogli chiesto come stava, egli mi disse: «Eh siamo nelle mani di Dio».

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