IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
UNISAL
Don Valeriano Barbero
Morto a Novara il 14 aprile 2023, a 84 anni
«Sono nato a Bellinzago Novarese, in Piemonte. La leggenda dice che è un paese dove le persone sono senza anima, dove ogni famiglia, e questo non è leggenda, ha un prete, una suora ed un asino e dove la chiesa è sempre zeppa di fedeli. A parte l’anima, la mia famiglia entrava bene in questi parametri: una suora, un prete e un asino. Al presente rimango solo io: il prete. Uno dei ricordi che va più lontano è che alla domenica si andava sempre in chiesa. Mi piaceva servire messa e sognavo di poter anch’io un giorno celebrarla ed essere come quei missionari che venivano in paese e ci raccontavano tante cose fantastiche. Andai persino dal parroco per dirgli che volevo andare in Africa una volta cresciuto. «Vuoi farti mangiare dai leoni?», mi chiese.
E mi feci salesiano con la benedizione dei miei, con la stessa potei partire per le cosiddette missioni. Si era al termine del mese di ottobre del 1960 e la destinazione assegnatami come nuovo campo di lavoro erano le Isole Filippine. Avevo 22 anni.
Nelle Filippine fui economo di una scuola di 2000 studenti e poi economo ispettoriale. Ebbi la fortuna o la grazia di costruire il teologato, ricostruire scuole e soprattutto la grande chiesa dedicata alla Madonna.
La nuova frontiera però era Papua Nuova Guinea, la parte orientale della quasi omonima isola. Partimmo in tre. Fui nominato parroco. Eravamo giovani, pieni di entusiasmo e niente ci scoraggiava.
Fui attaccato con una scure, fui portato in tribunale varie volte per questioni di terre o di alberi, fui minacciato per i più strani motivi con la speranza che cedessi alle loro richieste. Persino che ero uno di loro ritornato in vita, ma adesso ero bianco e mi rifiutavo di dare loro l’aiuto promesso quando ero di colore nero. Contrassi molte volte la malaria e come ultimo tocco anche la lebbra.
Per darci forza non mancarono autentici miracoli, o almeno tali creduti dalla gente, come quello di avere fatto risuscitare una donna che era già data per morta o quando il mare ci restituì dopo due mesi le 100 lastre di alluminio per il tetto, affondate con la barca che le portava. Era proprio il 24 maggio quando queste lastre si resero visibili nella fanghiglia della baia, mentre noi avevamo perso ogni speranza. Nel Golfo passando da villaggio in villaggio, senza convertire, senza fare rumore, ma sempre presente alla persona anziana, all’ammalato, a chi moriva di tubercolosi, a chi aveva la lebbra, a chi aveva fame penso di avere portato negli anni trascorsi nelle paludi e nella foresta e sui fiumi del Golfo la carezza o il profumo di Dio».
“Ora è con il Signore, che amava molto, e con Maria Ausiliatrice, di cui diffondeva la devozione non solo con i suoi discorsi, ma anche con bellissime chiese”, scrive l’arcivescovo emerito di Rabaul, monsignor Francesco Panfilo, SDB.
Continua monsignor Panfilo: “Lo conobbi da quando ero un salesiano in formazione e lui era un giovane sacerdote e diventammo presto molto amici. Posso dire che non era solo un mio confratello nella Congregazione salesiana, ma un vero fratello. Fummo tutti sorpresi quando nel 1980 lasciò le Filippine, dove era stato Direttore ed Economo Ispettoriale, per iniziare a lavorare ad Araimiri, in Papua Nuova Guinea. Scherzando mi diceva: ‘Tu sei stato Ispettore e ora sei vescovo, ma io sono un pioniere’. E aveva ragione! In Papua Nuova Guinea. Don Val ha dato tutto quello che aveva. Quando facevo le mie visite ispettoriali ad Araimiri, passavo ore a parlare con lui, ma quando arrivava il momento di partire, me ne andavo sempre con il cuore pesante, perché sapevo quanto fosse duro e difficile il lavoro. Quando sono arrivato in Papua Nuova Guinea dalle Filippine, nel maggio 1997, stava costruendo il nuovo Collegio (DBTI). Siamo stati insieme fino all’8 settembre 2001, quando sono stato ordinato vescovo di Alotau. In quei quattro anni abbiamo pregato insieme, mangiato insieme e lavorato insieme. Infatti, quando arrivò il momento di versare il cemento, entrambi ci unimmo agli operai e lo facemmo. Si parlerà degli edifici che ha costruito: chiese, aule, case per il personale, dormitori… Tuttavia, ciò che ci lascia è che prima di tutto era un sacerdote, un sacerdote salesiano e ne era orgoglioso. Era un uomo di preghiera e le sue riflessioni erano spiritualmente profonde. Ha gestito milioni di dollari per erigere quegli edifici, ma posso testimoniare che era distaccato dal denaro e dalle cose materiali. Era povero e molto frugale nel suo stile di vita”.
“Don Val non aveva mezze misure quando si trattava di entusiasmo e zelo per la missione. L’eredità che lascia è quella della passione per le anime, dello zelo per il Regno, dell’entusiasmo nel lavoro”.
“La Chiesa di Port Moresby, di Rabaul e di tutta la PNG piange la perdita di don Val. Era un grande uomo, con una grande valenza pastorale e che ha realizzato opere potenti e per la gente.” ha dichiarato il cardinale John Ribat, arcivescovo di Port Moresby.