L'INVITATO
SARAH LAPORTA
Don Oreste Valle
«Faccio don Bosco in Kosovo»
«La nostra di Gjilan è la comunità salesiana che serve la più piccola comunità cristiana nel mondo».
Com’è nata la tua vocazione missionaria?
Da ragazzo ero un appassionato lettore di biografie di missionari. Durante il ginnasio mi avevano appassionato personaggi come don Cagliero, don Fagnano, don Lasagna, don Balzola, Colbacchini, Versiglia, Caravario. Giusto 40 anni fa, iniziava la nostra presenza a Ijeli, diocesi di Miarinarivo, al centro del Madagascar. Nella parrocchia di San Paolo a Cagliari, dove mi trovavo, tutto andava bene. Un giorno del mese di maggio ero pronto a celebrare alle 18, l’ispettore mi ha detto che dopo la Messa doveva parlarmi. Ha assistito alla Messa. Poi sono andato da lui e gli ho detto che ero pronto a far parte del progetto Africa. Mi ha spiegato a che punto erano le cose e mi ha dato una pagina con i nomi di coloro con cui sarei partito, e il programma da seguire a partire dal 13 giugno fino alla partenza fissata per la metà del mese di dicembre.
A Cagliari avevo fatto delle forti esperienze di rievangelizzazione. Avevo toccato con mano come Gesù poteva cambiare tante persone, tante famiglie, fare di persone indurite nel vizio dei veri apostoli. Pensavo che sarebbe successo qualcosa di più importante in missione. In missione, invece, mi sono trovato con persone molto buone, dentro una chiesa santa ed impegnata nell’evangelizzazione, dove i laici erano impegnati, anche nella formazione e nella guida delle comunità.
Come sei finito nel Kosovo?
Quello che penso oggi, dopo aver riflettuto sulla storia delle comunità di Ijeli e di Betafo, dove sono stato, è questo: è necessaria una preparazione specifica per le cose che si devono fare. Le comunità troppo piccole, in ambienti difficili, sono una benedizione, perché favoriscono scambi profondi tra confratelli, un aiuto reciproco molto condiviso, però si corrono anche rischi: quelli nei quali anche noi siamo cascati: la “troppa generosità” nel lavoro, in un clima non sempre favorevole, con una disponibilità senza limiti a venire incontro a indiscussi bisogni, ti logora e ti esaurisce. Uno di noi dopo un anno circa è dovuto tornare in Italia, il suo lavoro, non cosa da niente, è caduto nelle spalle dei due che restavano. Così sono cominciati i problemi per me. Tornato in Italia, per circa due anni mi sono occupato dei cooperatori salesiani presenti nelle case delle fma e delle 4 comunità delle Suore di monsignor Cognata presenti nella diocesi di Oristano. Quando mi ripresi, il 6 gennaio del 1992, il Visitatore della Sardegna don Giuseppe Casti, mi comunicò che il Rettor Maggiore aveva avuto una richiesta, personalmente da papa Giovani Paolo ll, per dare inizio a due presenze in Albania. Era un invito che ho accettato.
L’Opera salesiana in Albania ha avuto un rapido sviluppo. Durante la guerra Serbia-Kosovo a Tirana avevamo un campo profughi con 850 persone ed in parrocchia assistevamo 6000 profughi registrati. Dopo la guerra si è pensato di aprire un cfp a Pristina, dove i salesiani della Slovenia avevano lavorato bene in situazioni molto difficili per 32 anni, quando sono subentrati a loro i salesiani dell’ispettoria meridionale.
Ho trascorso tre anni belli e fruttuosi come vice parroco. In questi tre anni il Vescovo del Kosovo ha cominciato la costruzione della cattedrale. La parrocchia aveva circa 1700 fedeli. Non era il caso che tenessimo la parrocchia e abbiamo anticipato la richiesta del vescovo, consegnandola al clero diocesano. Quando succedeva questo, è venuto a novembre del 2008 in Visita straordinaria don Pierfausto Frisoli, tra l’altro con mandato del Rettor maggiore di sondare la possibilità di creare una nuova presenza salesiana nei Balcani. La situazione sembrava favorevole e così il primo di ottobre del 2009 don Dominik Qerimi e io, lui da Tirana ed io da Pristina, ci siamo trasferiti a Gjilan per dare inizio alla nuova opera.
Com’è l’opera di Gjilan?
Gjilan è uno dei sette distretti (Province) del Kosovo. A Sud-est. Confina a Sud con la Macedonia e a Est con la Serbia. La città ha una popolazione di circa 70 mila abitanti. Quasi al confine con la Macedonia, in un villaggio che si chiama Letnicë c’è un santuario dedicato all’Assunta, molto caro ai cattolici di oggi, anche perché Madre Teresa di Calcutta ha raccontato d’aver avuto lì la prima chiamata. Nel 1846 un “cattolico” molto zelante che voleva far carriera, ha reso difficile la vita dei suoi correligionari e poiché non rinnegavano la fede, ne ha spedite alcune centinaia prigionieri in Turchia. Dopo due anni circa una cinquantina sono tornati in patria, e sono all’origine della fede cattolica in tre parrocchie: Letnicë, Binq e Shtubëll. Sono 1300 cattolici, molto orgogliosi delle loro radici e molto ferventi in queste tre parrocchie. A Gjilan, quando siamo arrivati noi, abbiamo trovato solo un battezzato. In diversi momenti altri hanno ricevuto il battesimo. Ma ora di quelli solo una decina tengono qualche contatto con noi.
Quando don Frisoli è venuto a farci visita a Gjilan c’era un grande “rustico” con 1867 metri quadri coperti in ognuno dei tre piani. Doveva essere una “casa della pace”. Ma nonostante il nome qualcosa non ha funzionato e dal 2002 fino al nostro arrivo tutto era bloccato. Ed era un peso per i due vescovi che si sono succeduti in Kosovo. In quel tempo la gente sentiva un gran bisogno di vivere in pace ed armonia ed il Kosovo veniva additato come esempio perché le tre religioni monoteistiche vivevano in pace e collaboravano in opere sociali (es. l’Associazione Madre Teresa ha distribuito generi di prima necessità a migliaia di persone ed insieme hanno avviato un’attività straordinaria per la pacificazione delle famiglie). A Gjilan c’erano alcune moschee, una cattedrale ortodossa e nessun segno che facesse riferimento alla Chiesa Cattolica. Così 263 intellettuali hanno scritto una lettera aperta chiedendo in generale alla società civile e in particolare alla Chiesa qualcosa che fosse riferimento alla terza fede riconosciuta in Kosovo. I colloqui di don Frisoli con il vescovo e soprattutto con il suo vicario del tempo, la visita sua a Gjilan e la lettera lo hanno favorevolmente impressionato e alla comunità salesiana già presente a Pristina ha dato come consegna lo studio e la valutazione delle possibilità di aprire una nuova presenza in terra balcanica. Ciò che è stato fatto e realizzato in un anno, grazie anche all’impegno generoso dell’ispettore di allora, don Pasquale Martino.
Quali sono le difficoltà “ambientali”?
Lascio perdere i problemi legati al clima continentale. Ci si abitua! Le autorità civili e religiose si sono dimostrate molto accoglienti nei nostri confronti. Forse noi non le abbiamo sempre capite! Qualche gruppuscolo forse per attese di tipo economico, e forse anche per motivi religiosi, qualche problema ce lo ha creato. Adesso sono anni che questi atteggiamenti negativi sono un lontano ricordo e sentiamo sempre più che la gente ci stima e ci aiuta, al di là dei nostri meriti. Il fatto di non avere una comunità cristiana che condivide la nostra vita, però, ci condiziona. Don Martoglio nella visita che ci ha fatto 7 anni fa ci ha detto che la nostra di Gjilan è la comunità salesiana che serve la più piccola comunità cristiana nel mondo. E le cose continueranno così per molti anni ancora.
Come sono i giovani kosovari?
A Gjilan abbiamo un progetto pastorale che prevede una scuola media e media superiore, un oratorio, un servizio religioso per la piccola comunità cristiana, un aiuto ai sacerdoti della zona perché loro stessi ci aiutano e perché così abbiamo la possibilità di incontrare gli alunni cattolici della nostra scuola. Ogni anno sono stati una ventina. La maggior parte degli alunni proviene da famiglie musulmane che godono di un certo benessere economico che permette loro di pagare le rette. Non allontaniamo per motivi economici ragazzi che mostrano desiderio di studiare nella nostra scuola. Una ventina vengono da famiglie che percepiscono un assegno di povertà (circa 85 euro al mese) o toccati dalle conseguenze della pandemia. La stragrande maggioranza è brava ed impegnata, anche disponibili al dialogo e facili a creare un ambiente sereno e allegro. Oggi più che al tempo del comunismo i mezzi di comunicazione sociale trasmettono messaggi secondo i quali per essere moderni si deve essere un poco trasgressivi e bulli. Chi devia dalla massa, crea problemi, ma sono ancora pochi. Frequentano la nostra scuola 210 alunni(e) che di solito ci fanno una buona pubblicità… La maggior parte sono positivamente motivati allo studio, alcuni purtroppo sono costretti dai genitori a frequentare la nostra scuola, perché ancora riusciamo a garantire una certa disciplina e sperano che questa scuola riesca a recuperare i loro figli che non hanno fatto buona riuscita altrove.
Circa 200 ragazzi frequentano l’oratorio… Vengono per passare qualche ora serenamente giocando, parecchi frequentano i gruppi dei ragazzini, degli adolescenti e dei giovani che i direttori dell’oratorio che si sono succeduti, hanno organizzato. C’è anche un gruppo che comincia ad impegnarsi nell’animazione dei compagni, soprattutto in vista dell’Estate Ragazzi.
I due problemi grossi, comuni ai due gruppi sono innanzitutto il desiderio di emigrare, di scappare dal Kosovo perché “qui non c’è futuro”: se vuoi lavorare, vivere in pace, guadagnarti la vita, studiare bene, farti una famiglia ed un futuro devi emigrare. E poi la scelta religiosa, che non può essere messa in discussione.
Da noi un giovane che comincia a pensare seriamente al suo problema profondo più umano, si guarda attorno, fa le sue ricerche e le sue valutazioni sul “mercato delle religioni”. Qui questo non è possibile! È fin troppo chiaro che gran parte del malessere individuale è conseguenza della religione, ma questa non è mai messa in discussione.
IL KOSOVO
Al centro della penisola balcanica, è delimitato a nord e a est dalla Serbia, a sud-est dalla Macedonia del Nord, a sud-ovest dall’Albania e a ovest dal Montenegro. Ha una superficie di 10 888 km² e una popolazione di circa 1,8 milioni di abitanti. Con la conclusione della Seconda guerra mondiale divenne parte della Jugoslavia, mantenendo una certa autonomia amministrativa e culturale a causa della sua diversa identità non slava. Dopo i gravi fatti e la guerra che ne scaturì, il Kosovo ha dichiarato la sua indipendenza ed è una repubblica parlamentare. La capitale è Pristina; la maggioranza degli abitanti è di lingua albanese e si riconosce albanese. Pur non appartenendo all’Unione Europea utilizza di fatto l’Euro dal 2002.