L'INVITATO
Sarah Laporta
Don Martin Lasarte: Don Bosco sorride in Angola
Incontro con padre Martin Lasarte superiore della Visitatoria d’Angola. «Il nome don Bosco suscita simpatia ed è molto amato».
Ci puoi raccontare la tua bella avventura salesiana?
Certo! Abbiamo soltanto una vita e dobbiamo viverla molto bene e con intensità. E che cosa di meglio è viverla con e per il Signore insieme a don Bosco? La mia avventura è iniziata in una scuola secondaria salesiana in Uruguay.
Come è nata la tua vocazione?
Provengo da una famiglia cristiana in particolare da parte della mia mamma e dei nonni. Ho fatto la scuola primaria e parte della secondaria con i fratelli Maristi. Poi sono stato allievo in una scuola salesiana chiamata Giovanni XXIII. Penso che tre elementi hanno segnato la mia chiamata. In primo luogo, sono stato colpito dalla figura del nostro direttore, don Félix Irureta: un bravissimo salesiano: umile, semplice, vicino a noi, sempre in cortile e all’entrata della scuola ad accogliere gli studenti, che conosceva ognuno per nome. Il primo giorno di scuola mi ha chiamato con il mio nome. Poi, un inverno, avendo offerto il mio giaccone a un barbone, ho sentito una grandissima gioia e così ho capito il dna del Vangelo: che se per l’offerta di un vestito si poteva essere così felice, quanto di più se s’offrisse tutta la vita. Infine il 1981. Iniziò il progetto salesiano “Africa”. Ero nell’ultimo anno dei preparatori per l’università d’ingegneria. Arrivò nella nostra scuola, il primo salesiano dall’Uruguay che partiva per l’Angola: padre Milan Zednicek. Ci presentò il progetto Africa. Ecco, il fiammifero cadde nella paglia… All’inizio pensavo di continuare gli studi e partire poi come volontario laico, ma se a Dio dai la mano, pian piano ti prende tutto… e così sono entrato dai salesiani, con una chiara vocazione missionaria.
Come sei finito in Africa e in Angola?
Il mio autobus vocazionale, già aveva il cartello di destinazione chiaro: Angola. Una prima idea dei superiori era che andassi a fare il tirocinio in Africa, ma per motivi politici e della guerra in Angola, era difficile entrare nel Paese. Dunque, dopo l’inizio degli studi teologici nel mio paese, sono andato in Brasile e poi a Roma. Pochi giorni dopo la mia ordinazione diaconale, nel 1990, sono arrivato alla mia Terra Promessa.
Quando sono arrivati i salesiani in Angola?
Don Bosco, nel 1881, aveva risposto al vescovo di Luanda (Angola) sulla richiesta di salesiani, che in quel momento non poteva inviargli, ma che in futuro sarebbero andati. Esattamente un secolo dopo, i salesiani sono arrivati in Angola, nel settembre del 1981. Il primo ad arrivare è stato un bravo e zelante salesiano brasiliano, don Albino Beber, che era anche un buon costruttore e un ottimo muratore. Abbiamo iniziato la nostra prima presenza, a 180 km dalla capitale, a Dondo, provincia del Kwanza Norte. Di fatto, quest’anno celebriamo i 40 anni dell’arrivo dei salesiani in Angola. Poi, sono arrivati altri figli di don Bosco, particolarmente dal Sudamerica.
Che paese è l’Angola?
È un grande paese di 1 247 000 km2 (quattro volte più grande che l’Italia): è bello, con i suoi deserti, foreste tropicali, montagne, boschi, prati, savane… Ricco di fiumi, fauna e purtroppo ricco di minerali (petrolio, diamanti e tanti altri minerali). Dico purtroppo, perché è per causa della sua ricchezza mineraria che è stata auto-alimentata per anni la guerra civile nel paese. Ma la maggiore ricchezza d’ogni popolo è la sua gente. L’Angola è una nazione unita, ricca di diverse etnie e nazionalità, nella maggioranza di radice Bantu e Khoisan e anche popolazioni nate dall’incontro con altre culture, particolarmente quella portoghese.
La situazione politica è favorevole alla Chiesa?
Nell’anno 1491 arriva il cristianesimo in Angola e sono battezzati i primi “angolani”, che erano membri del Regno del Congo. Il figlio del Re del Congo, Afonso I, Henrique Kivu Mvemba sarà nel 1518 il primo vescovo d’Africa Sub-sahariana e farà un grande lavoro di evangelizzazione nel primo regno cristiano dell’Africa Bantu. Tempo dopo, più a sud, la regina Nzinga Mbande, del regno Dongo, era la “ngola” (la regina regnante) e sarà battezzata nel 1622. Se da una parte voleva fare un regno cristiano, scrivendo lettere al papa Alessandro VII, chiedendo missionari, dall’altra parte lottava contro il regno coloniale portoghese. Nel periodo dell’illuminismo furono espulsi i missionari. Alla fine del sec. xix si riprese una forte evangelizzazione con nuove congregazioni religiose, in tutto il paese: la Chiesa divenne un riferimento per l’educazione e la promozione umana, dopo non pochi conflitti con le autorità coloniali.
Nel 1975, con l’indipendenza del paese dal Portogallo, iniziò una nuova tappa, segnata all’inizio dal marxismo, che combatteva contro il cristianismo. Questo momento storico e culturale è stato breve e chiaramente estraneo allo spirito religioso africano. I nostri missionari, negli anni 80 del secolo scorso, erano istruiti all’ateismo scientifico e alla lotta del proletariato… in mezzo alla foresta (!). Dopo il 1992, iniziò un periodo di maggiore apertura religiosa. Oggi i rapporti della Chiesa con il Governo sono eccellenti. C’è un concordato con la Santa Sede e accordi nel campo dell’educazione e della salute. In questo momento, la Chiesa gode di grande stima e libertà nel suo compito religioso e di promozione umana. Grazie a diversi accordi con lo Stato, anche noi salesiani possiamo oggi offrire un’educazione ai più poveri. Non è tutto facile. Ci sono alcune tensioni al riguardo d’una vera autonomia, ma questa interazione con il Governo ci offre le possibilità d’avviare iniziative educative più sostenibili per i più bisognosi.
Quali sono i suoi problemi più grossi, oggi?
La situazione d’una diffusa povertà (37% sotto la soglia della povertà) accentuata dopo la crisi della pandemia. Ancora si sente l’eredità lasciata dalla guerra, constatando il fragile tessuto familiare che si ripercuote nella situazione di marginalità di molti bambini e giovani. C’è anche un’enorme frammentazione religiosa con il conseguente “commercio della fede” da parte di vari gruppi neo-messianici e neo-pentecostali. E naturalmente tutte le sfide negative della cultura di oggi, ogni volta più globalizzata, e che è presente particolarmente nell’ambito urbano e giovanile.
Come sono i giovani? Quali sono i loro problemi?
2/3 della popolazione ha meno di 25 anni e la crescita demografica è del 7%. Perciò è un paradiso salesiano, pieno d’una gioventù sorridente e dinamica, desiderosa di studiare, progredire, d’essere protagonista nella società. Indico alcuni ponti problematici che vivono i giovani.
Si calcola che la metà dei bambini sono fuori dal sistema scolastico. Tra i giovani dai 15 ai 24 anni, il tasso di disoccupazione è del 52,4%. Il 24,9% non lavora né studia e la percentuale di povertà è del 68,8%.
L’Angola è il 13° paese al mondo (su 175) dove i diritti dei bambi sono più minacciati, secondo tre indicatori di vulnerabilità: lavoro minorile, esclusione dall’istruzione e matrimonio infantile.
Quali sono le opere salesiane più importanti?
Tutte le opere, a loro modo, sono importanti e significative dove si trovano. Abbiamo in questo momento 13 comunità nel Paese. È da sottolineare la rete per l’assistenza di bambini e ragazzi vulnerabili in 6 centri, la vitalità del Movimento Giovanile Salesiano con quasi 18 000 giovani e adolescenti, una rete di scuole e Centri di Formazione Professionale con circa 22 000 allievi. Abbiamo un Istituto Superiore per la filosofia e pedagogia che molto contribuisce alla formazione di educatori e professori.
A Palanca ci sono tanti studenti e una ventina di novizi a Calulo! È straordinario!
Grazie a Dio, il Signore benedice la presenza salesiana in Angola con molte e buone vocazioni. Avremmo per la festa di don Bosco (gennaio 2022): 21 novizi, 60 giovani confratelli postnovizi (a Palanca), 15 tirocinanti, 19 studenti di teologia. È un’enorme responsabilità l’accompagnamento di questi 115 giovani confratelli che sono una speranza per l’Angola e per tutta la Congregazione (di fatto già ci sono missionari in Portogallo, Irlanda, Papua Nuova Guinea, Medio Oriente).
Come sono visti i salesiani dalla gente?
Noi ci sentiamo molto amati dalla popolazione e dai giovani, e anche rispettati dall’autorità e società civile. Il nome “Dom Bosco” suscita simpatia e richiama al lavoro con i giovani più bisognosi.
Qual è il futuro della Congregazione qui?
Il futuro sta soltanto nelle mani di Dio, ma i nostri sogni e progetti sono tanti. Vorremo consolidare la formazione professionale, di modo da poter offrire alla gioventù un inserimento dignitoso nella società. È nostro desiderio iniziare qualche presenza più istituzionale nell’ambito delle scuole agricole, come forma di sostenibilità e offerta educativa di qualità ai giovani degli ambiti rurali e contribuire allo sviluppo di una nazione che è stata molto dipendente dal petrolio. Vogliamo consolidare la rete dei bambini e adolescenti a rischio non soltanto in Luanda, ma in altre città del Paese. Ma soprattutto la nostra vocazione e gioia più profonda èpoter comunicare Gesù Cristo a migliaia di giovani desiderosi di conoscerlo, amarlo e seguirlo. Ecco il nostro impegno per una pastorale giovanile, che mediante i gruppi associativi, la catechesi, l’oratorio, sia più viva e coinvolgente.