IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
RAFFAELE ANTONELLI
Don Giuseppe Valente
Morto a Buen Retiro-Santa Cruz-Bolivia, il 4 ottobre 2014, a 80 anni
Il giorno dell‘apoteosi è stata la prima domenica di ottobre, quando migliaia di persone, allertate da stampa, radio e televisione, si sono riversate in chiesa, per dare l‘addio alle spoglie di don Valente.
Nel piccolo paese chiamato “Povolaro Due Ville”, in provincia di Vicenza, nel 1934 nasce Giuseppe, il quarto di sette figli, quattro maschi e tre femmine, in una famiglia semplice e piena di donne e di amore per Dio e per la Vergine Maria.
Nel paese erano numerose le vocazioni alla vita religiosa. Se qualcuno chiedeva al piccolo Giuseppe che cosa volesse fare da grande, lui rispondeva «essere un prete!» Ordinato sacerdote l‘8 aprile 1963, padre Valente ricorderà spesso questa data e la celebrerà sempre come il ricordo più bello della sua vita. Nella malattia finale ringraziando Dio ha esclamato: “Il sacerdozio è stato il miglior dono che il Signore mi ha fatto nella mia vita!»
Per dieci anni è stato tra gli aspiranti alla vita salesiana a Castello di Gódego. Qui è stato un abile economo e insegnante. In seguito, ha trascorso cinque anni nel Collegio Astori di Mogliano Veneto-Treviso.
Nell’Ispettoria salesiana della Bolivia intanto il direttore della casa di San Carlos, don Tito Solari, fu eletto provinciale. L’Ispettoria del Veneto “gemellata” con la Bolivia pensò di sostituirlo con padre Valente. Immediatamente – uomo disponibile e generoso – obbedì. Fece le valigie e disse addio alla sua gente. Rimarrà in Bolivia 33 anni. Nello stesso anno, il 1981, lo troviamo nella comunità di San Carlos in Bolivia, dove iniziò subito la sua attività apostolica e missionaria, che gli diede un respiro apostolico molto più ampio. Nuova realtà, nuova lingua, nuovi costumi, nuove persone, nuova cultura… tutto. Cominciò come parroco al Buen Retiro.
Don Valente viene anche ricordato come un imprenditore geniale. Lo confermano le numerose opere che in Bolivia ha saputo ideare e realizzare, dimostrando di possedere un grande spirito di iniziativa, una buona dose di coraggio, una forte determinazione e, evidentemente, una spregiudicata confidenza nella divina provvidenza.
Il suo grande cuore individuò subito molti fronti su cui impegnarsi: sostenere le scuole; organizzare centri religiosi nelle zone più popolate, dove costruì cappelle, organizzare la formazione per i sacramenti, corsi di religione nelle scuole. E naturalmente la necessità di visitare le comunità in luoghi remoti e molte altre attività urgenti da svolgere. Si prese a cuore l’amministrazione dell‘Ospedale “Ichilo”. Procurò nuove attrezzature per moderni servizi medici, andò alla ricerca di denaro per coprire i costi dei malati, che ricordano la sua dedizione, il suo lavoro e la sua creatività. Ideò la fabbrica “Confecciones La Guayaba” per le ragazze bisognose della zona, cercò “padrini” italiani per i bambini poveri boliviani. Grazie al suo dinamismo fu nominato anche economo dell’Ispettoria.
Durante uno dei suoi viaggi in Italia, gli capitò di arrivare a Torino, proprio quando la “Sacra Sindone” era esposta alla devozione dei fedeli. Incoraggiato da un buon impulso apostolico, acquistò una rappresentazione delle stesse dimensioni dell‘originale. La pose nel tempio del Divino Bambino. E a tutti spiegava che la devozione del Bambino Divino ha il suo punto di arrivo nel Cristo morto.
Lo ricordano ancora in tanti. Uno che l’ha conosciuto bene attesta: «Chi era veramente don Valente? Forse, un uomo senza tempo e senza età, che a 42 anni, nonostante l’impegno dell’insegnamento e l’attività sacerdotale, è stato capace di laurearsi in lettere a Padova e che, cinque anni dopo, a quasi cinquant’anni d’età, ha saputo dare una svolta significativa alla propria esistenza, accettando di fare il missionario in Bolivia».
E ancora: «Ma non ci si può limitare a dire che don Valente è stato un buon imprenditore, perché p. Josè Valente è stato prima di tutto un prete, e convinto per giunta, oltre che di “sicura formazione spirituale”, come lo avevano valutato i suoi superiori, quando era ancora studente di teologia. Nella Carta mortuoria, viene evidenziato con quanta fede don Giuseppe abbia vissuto la propria vita, sfociata nella esaltante “Devozione al Divino Nino”, e quanta fiducia egli abbia riposto in Dio, soprattutto negli ultimi mesi della sua esistenza, quando spesso ripeteva: “Sono nelle mani di Dio. Egli mi ama. Ma quanto ci ama il Signore.”
Quando suor Maria Vargas afferma che “padre Valente non misurava il tempo della celebrazione eucaristica. Si concentrava su ciò che stava celebrando”, credo che essa abbia saputo cogliere la sua vera essenza.