BS Luglio/Agosto
2021

L'INVITATO

O. Pori Mecoi

Don Gianni Caputa - Felice nella terra di Gesù

«Faccio parte della comunità di Betgamāl, casa di accoglienza per gruppi di cristiani (parrocchie e movimenti ecclesiali, scuole, scouts, exallievi), “una porta d’ingresso” nel mondo cristiano per Ebrei aperti religiosamente (apostolato della buona stampa, memoria di santo Stefano protomartire), culturalmente (arte, musica)».

L’anno prima era giunto in paese come direttore didattico Carlo Carretto che ha lasciato nel clero e nei laici un influsso percepito ancora oggi. La famiglia e l’Azione Cattolica sono stati il terreno su cui è fiorita la mia vocazione. A dodici anni e mezzo (allora considerata “età tardiva”) mi presero i salesiani dell’aspirantato di Mirabello, come uno di quei “birichini” dei quali don Albera disse che erano i prediletti di don Bosco. Molti dei miei compae­sani predissero che non sarei durato a lungo!o avuto nonni e genitori operosi e di fede, sono nato nel 1947 in una famiglia di 10 fratelli e sorelle a Bono, paesetto della diocesi di Ozieri. Nel 1941 il vescovo aveva stabilito che in ogni parrocchia si aprisse un oratorio dedicato a don Bosco.

Il 6 ottobre 1963 ricevetti il crocifisso di missionario a “Maria Ausiliatrice” e partii per il noviziato in Libano. L’inculturazione era una priorità strategica, per l’apprendimento delle lingue e “l’esposizione” alle culture e liturgie locali. Ad El-Hussun dal 1957 c’era il filosofato dove si forgiarono quelli che sarebbero stati colonne portanti delle opere salesiane in Iran, Egitto e Terra Santa, fino ad oggi.

Nel 1967 iniziai gli studi di filosofia a Roma: erano gli anni di Paolo VI che mi conquistò con la sua levatura intellettuale e la fermezza nel guidare il rinnovamento della Chiesa post-conciliare. Era l’epoca della contestazione e degli sbandamenti, ma al pas abbiamo avuto professori eccellenti e direttori spirituali del calibro di don Albino Ronco e don Pietro Brocardo.

Beirut

Fresco di laurea, nel 1972 ero con le valigie pronte in partenza per Betlemme dove come tirocinante avrei insegnato filosofia neoscolastica ai chierici miei compagni, ma all’ultima ora l’ispettore mi mandò a Beirut. Qui gestivamo una scuola con tre sezioni (franco-libanese, anglo-americana e italiana) e un oratorio, con circa 1000 ragazzi e ragazze, 42 nazionalità e 16 affiliazioni religiose diverse, e in più i giovani salesiani del post-noviziato: una piccola onu dove il dialogo e il rispetto erano l’aria che si respirava a pieni polmoni. Quei giovani mi fecero scoprire la bellezza della vocazione-missione del salesiano come educatore e amico; amo dire che quello fu il mio secondo battesimo.

A malincuore lasciai Beirut per iniziare gli studi di teologia a Cremisan, che continuai a Torino-Crocetta. Nel 1978 scelsi di farmi ordinare prete a Bono, dove la festa durò tre giorni; oltre a parenti e famigliari c’era mezzo paese, compresi alcuni scettici di 20 anni prima; per tutti ci furono vini raffinati e carni grasse!

Da docente e preside a Cremisan e poi a Gerusalemme-Ratisbonne (1980-2018) ho insegnato un po’ di tutto, ma specialmente teologia fondamentale, liturgia e sacramentaria, a qualche centinaio di chierici provenienti da quattro continenti. Ogni anno ricevevo stimoli e imparavo cose nuove da loro, così come dai colleghi e dai confratelli coadiutori che erano parte integrante della comunità formatrice. Cremisan manteneva fecondi rapporti con il seminario patriarcale di Betgiala, i centri di studio francescani, domenicano, benedettino di Gerusalemme ed ecumenico di Tantur. Ciò ci permise di organizzare insieme nel 1997, ’98 e ’99 tre settimane di studio per professori e studenti, ma aperte a religiosi e laici anche non cattolici e non cristiani, in preparazione al Grande Giubileo del 2000. Mi pare che in nessun’altra parte del mondo si fece qualcosa di simile, neppure a Roma.

Dal 1992 al 2000, sotto la guida del patriarca Michel Sabbāh, coadiuvato dalla commissione teologica e dal consiglio presbiterale, si svolse il Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche in ts (latina, maronita, armena, melkita, siriaca, di espressione ebraica) sul tema “credenti in Cristo, corresponsabili nella Chiesa, testimoni nella società”. Nel marzo 2000 Giovanni Paolo II consegnò il Piano Pastorale Generale a rappresentanti delle varie categorie di fedeli. In quella dinamica sinodale vennero istituite commissioni, uffici, e comitati misti che diedero impulso al rinnovamento delle comunità cristiane di Giordania, Israele, Palestina e Cipro. Di recente, dopo alcuni anni di stasi, il cammino è stato riaperto.

Tutte queste sono state per me esperienze gratificanti e scuola di formazione permanente. Un po’ meno il servizio di segretario della delegazione vaticana nei negoziati con Israele, che chiesi di terminare dopo 6 anni, constatando che è più facile “l’economia della salvezza” che non… la salvezza dell’economia politica!

Presente e futuro

Attualmente faccio parte della comunità di “giovani pensionati” di Betgamāl, casa di accoglienza per gruppi di cristiani (parrocchie e movimenti ecclesiali, scuole, scouts, exallievi), “una porta d’ingresso” nel mondo cristiano per Ebrei aperti religiosamente (apostolato della buona stampa, memoria di santo Stefano protomartire…), culturalmente (arte, musica). L’anno trascorso anche noi, come tutti, siamo stati penalizzati dalle restrizioni causate dal Covid, ma ora qui in Israele si intravede già la luce alla fine del tunnel.

Continuo a fare da coordinatore del gruppo di exallievi ed exallieve del Libano (200 circa) tramite il sito che abbiamo creato dopo lo storico incontro del 2007 a Roma “S. Cuore”.

La vita ci ha insegnato a privilegiare relazioni personali e informali. Infatti nel 1988 avevamo dato origine ad una Unione formale, tenuta a battesimo dal presidente confederale e dall’assistente mondiale. Quando i giovani (tra l’altro sparsi in eu, Nord e Sud America, Africa) videro che si insisteva su tessera, quota d’iscrizione, distintivo…, cominciarono a ritirarsi e nel giro di un anno l’Unione scomparve, mentre la rete di contatti personali ha allargato il cerchio d’onda di anno in anno, e ora utilizza anche streaming, zoom ecc. Questi exallievi hanno dato prova di solidarietà concreta per la costruzione di una scuola professionale ad Abaetetuba in Brasile, diocesi del vescovo Flavio Giovenale (pure lui exallievo di Beirut); adozione di ragazze dell’associazione libanese “Auxilia”; ricostruzione di due opere salesiane ad Haiti dopo il terremoto del 2010; sostegno periodico al forno di Betlemme; borse di studio per allievi del dbt del Fidār-Jbeil; e altre micro-iniziative.

Nell’autunno 2019 ho visitato le nostre opere in Libano e a Damasco, e da allora accarezzo un sogno: appena riaprono le frontiere, dopo essermi “energizzato” in Sardegna (una nuotata nel mare di Stintino, una merenda con Cannonau, “pane e casu” a Bono…) mi piacerebbe tornare a lavorare con i ragazzi di quei centri, per ritrovare le radici dell’esperienza originaria salesiana, la “presenza” fra i giovani svantaggiati. Ma temo che il sogno dovrà aspettare, perché i superiori mi chiedono di continuare a occuparmi di Simone Srugi (ricerca, pubblicazioni, museo…) fino alla sua beatificazione. Sicché intensifico le preghiere, perché essa arrivi al più presto!

 

 

I Salesiani in Israele e Palestina

 
 Nazareth

Proprio nella parte alta della cittadina, visibile a chiunque arrivi dalla pianura di Esdrelon, noi salesiani abbiamo un bellissimo istituto scolastico con circa 500 studenti. Gli studenti sono di nazionalità arabo-israeliana, in gran parte musulmani, e per la restante parte sono cristiani. È la migliore scuola di tutta la Galilea.

È estremamente commovente sentire la testimonianza dei giovani, specialmente dei musulmani, che definiscono don Bosco un “padre, maestro ed amico”.

Betlemme

Una casa molto bella e particolare. Si tratta di un grande edificio tutto costruito in pietra bianca a metà dell’Ottocento, come orfanotrofio, da don Antonio Belloni. I salesiani arrivano a Betlemme nel 1891 e subito don Belloni chiede di far parte della congregazione salesiana.

L’etimologia del nome Betlemme significa “casa del pane” e i salesiani hanno il più rinomato panificio di Betlemme. Il contatto con le famiglie bisognose, generato nel periodo dell’Intifada, ha portato a stilare un elenco di poveri che ogni giorno ricevono il pane ad un prezzo simbolico, qualcuno lo riceve quotidianamente gratis.

Cremisan

Un po’ in periferia dalla città di Gerusalemme, in territorio appartenente alla Palestina, ma pericolosamente circondata dal muro che Israele continua a costruire per delimitare i propri confini si trova la casa di Cremisan al centro di una vasta estensione di terreno agricolo coltivato a vigneto ed uliveto. Vi si produce dell’ottimo vino bianco e rosso, che ha preso anche dei premi a livello internazionale. Le entrate dell’azienda agricola contribuiscono a sostenere le opere più bisognose.

Beit Gemal

A circa 35 chilometri da Gerusalemme, scendendo verso il Mar Mediteraneo, è un centro di spiritualità e di dialogo interreligioso, in particolare con il mondo ebraico. A Beit Gemal i salesiani sono i custodi della tomba di Santo Stefano proto martire.  Nella chiesa di Santo Stefano sono poi custodite le spoglie del venerabile Simaan Srugi, un semplice salesiano coadiutore, vissuto umilmente e attento ai più poveri, la cui vita era in odore di santità ancora egli vivente. Particolarmente amato dalla popolazione musulmana che lui prediligeva nel suo sostegno ai più bisognosi.             

POPOLAZIONE ATTUALE 2021

La PALESTINA ha una popolazione di 5 051 953 abitanti a febbraio 2020, al 121º posto nel mondo.

ISRAELE al 13 aprile 2021: secondo l’Ufficio Centrale di statistica la popolazione israeliana ammonta a 9 327 000. Specifica: 6 894 000 israeliani sono ebrei (73,9% del totale); 1 966 000 sono arabi, compresi musulmani, cristiani e drusi (21,1%); altri 467 000 (5%) sono cristiani non arabi, membri di altre religioni minoritarie o non affiliati ad alcuna religione.

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