LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco... e le zie provvidenziali
Don Bosco bussava sempre con coraggiosa umiltà al “bancomat” della Provvidenza Divina ed essa fu sempre gentile con lui.
La mattina del 23 febbraio 1887 un forte terremoto fece sussultare la Liguria occidentale. Fu il sisma più disastroso mai avvenuto in quella terra, presumibilmente classificabile di magnitudo da 6.4 a 7.0. Per capirci, come minimo si è trattato di un evento pari a quello che ha sconquassato il Friuli nel 1976. I morti superarono i 600, di cui quasi un terzo a Diano Marina rasa al suolo, ed un altro terzo a Bajardo dove rimasero sepolti nel crollo della chiesa quanti vi erano radunati per le funzioni del mercoledì santo. Molti paesi dell’entroterra furono letteralmente distrutti e nel Mar Ligure si verificò persino uno Tsunami che fece ritirare le acque del Porto di Genova di ben 10 metri e quelle di Alassio di cinque. Ci furono morti e feriti in tutte le nove località in cui vi erano i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Scriveva don Bosco in una circolare del 1°marzo ai cooperatori salesiani cui chiedeva soccorsi: “Or, coll’animo pieno di riconoscenza verso Dio, vi annunzio anzitutto che in mezzo a tanti feriti e morti noi non abbiamo avuto da deplorare alcun danno personale. Salesiani e Suore, allievi ed allieve di ogni Casa andarono esenti nonché dalla morte, financo da ferite e da contusioni. L’unico male fu lo sbigottimento, l’apprensione, l’ansia indescrivibile, che s’impossessò di tutti, nonché il timore insuperabile di rimanere nell’interno dei fabbricati, per cui in alcuni luoghi della Riviera, si dovettero passare varii giorni e varie notti attendati alla meglio e all’aria aperta nei cortili e nei giardini. Ma, se andammo esenti dalle disgrazie personali, siamo pur troppo stati ancor noi colpiti da gravi danni materiali”.
Elencava poi quelli delle case del Piemonte e della Toscana e quelli molto più seri delle case della Riviera Ligure di Ponente “Tra questi minaccia di cadere la facciata della chiesa del Collegio di Alassio e la Casa di Vallecrosia presso Bordighera fu talmente rovinata, che senza costosi lavori sarebbe inabitabile. Essa fu già sgombrata; si dovettero chiudere le scuole pubbliche ed il Collegio femminile annesso, inviare alle proprie famiglie una parte delle giovinette, e trasferire fino a Nizza Monferrato le altre, che rimasero orfane di genitori o prive delle proprie abitazioni. Noto tra le altre cose che la Casa di Vallecrosia è una delle più necessarie pel bene della Religione e delle anime, perché in quella località sono insediati i protestanti, i quali usano tutte le arti per attirare a sé la gioventù di ambo i sessi e rubarle la fede; epperciò deve essere ad ogni costo ristorata”.La mattina del 23 febbraio 1887 un forte terremoto fece sussultare la Liguria occidentale. Fu il sisma più disastroso mai avvenuto in quella terra, presumibilmente classificabile di magnitudo da 6.4 a 7.0. Per capirci, come minimo si è trattato di un evento pari a quello che ha sconquassato il Friuli nel 1976. I morti superarono i 600, di cui quasi un terzo a Diano Marina rasa al suolo, ed un altro terzo a Bajardo dove rimasero sepolti nel crollo della chiesa quanti vi erano radunati per le funzioni del mercoledì santo. Molti paesi dell’entroterra furono letteralmente distrutti e nel Mar Ligure si verificò persino uno Tsunami che fece ritirare le acque del Porto di Genova di ben 10 metri e quelle di Alassio di cinque. Ci furono morti e feriti in tutte le nove località in cui vi erano i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Scriveva don Bosco in una circolare del 1°marzo ai cooperatori salesiani cui chiedeva soccorsi: “Or, coll’animo pieno di riconoscenza verso Dio, vi annunzio anzitutto che in mezzo a tanti feriti e morti noi non abbiamo avuto da deplorare alcun danno personale. Salesiani e Suore, allievi ed allieve di ogni Casa andarono esenti nonché dalla morte, financo da ferite e da contusioni. L’unico male fu lo sbigottimento, l’apprensione, l’ansia indescrivibile, che s’impossessò di tutti, nonché il timore insuperabile di rimanere nell’interno dei fabbricati, per cui in alcuni luoghi della Riviera, si dovettero passare varii giorni e varie notti attendati alla meglio e all’aria aperta nei cortili e nei giardini. Ma, se andammo esenti dalle disgrazie personali, siamo pur troppo stati ancor noi colpiti da gravi danni materiali”.
Una prima zia
Senza forse sapere di questo appello, ai primi di marzo la zia di un sacerdote noto a don Bosco, un certo don Tribone, gli mandava una bella somma di denaro chiedendo di pregare secondo una sua particolare intenzione.
Don Bosco vi vide la mano della Provvidenza e immediatamente il 4 marzo li ringraziava “R.mo e
Car.mo Sig. Canonico, ho ricevuto puntualmente la generosa offerta di L. 1.000 in cambiale. Al leggere la sua lettera mi venne da piangere di consolazione. Era da qualche giorno che le notizie del terremoto mi avevano afflitto non poco… Fu adunque proprio il Signore che inspirò alla Benemerita di Lei zia il caritatevole pensiero di mandarci detta somma. Dio sia in ogni cosa benedetto e benedetta la sua generosa carità. L’assicuri pure che Maria Ausiliatrice non si mostrerà meno generosa e compierà presto la grazia incominciata”.
Altra emergenza
Don Bosco a Valdocco visse in qualche modo sempre in emergenza economica, ossia con i conti in rosso, perché spendeva per i giovani più denaro di quanto ne avesse a disposizione. Confidava nella Divina Provvidenza per pagare i debiti e la Provvidenza varie volte, è documentato, intervenne in modo prodigioso.
È il caso di un’altra zia, quella del conte Eugenio De Maistre, una famiglia questa particolarmente generosa con don Bosco fin dai primi anni dell’Oratorio. Scrisse don Bosco il 6 marzo 1887, in piena emergenza post terremoto:
“Carissimo Sig. C.te Eugenio, nel suo passaggio a Torino si compiacque di venirci a fare una visita, visita veramente di carità. Noi ci trovavamo con una scadenza di 6 mila franchi, ricevuta alcuni minuti prima, ed era appunto uno dei debiti lasciatimi dai nostri Missionarii nel partire per la Patagonia; jeri alle 10 del mattino fu saldato quel debito con ammirazione del creditore e con maraviglia di me stesso che non credeva poter ancora fare quel pagamento. Dio benedica Lei, caro sig. Eugenio, che ne fu benemerito portatore e benedetta la caritatevole zia che ne fu la generosa donatrice”.
Al grazie a parole faceva seguire il compenso spirituale: “Tutti i nostri Missionarii, tutti i nostri duecentocinquanta mila orfanelli pregheranno che largamente si degni Iddio di compensarli tutti nel tempo e nella eternità”.
Fidarsi di Dio
Don Bosco non ha dato ai Salesiani, come altri fondatori, un nome che richiamasse la Divina Provvidenza, ma la Provvidenza don Bosco non se l’è trovata facilmente sulla porta dell’Oratorio: se l’è cercata personalmente in mille modi: lavorando incessantemente fino alla fine dei suoi giorni, sottomettendosi sovente ad umiliazioni di vario genere, affrontando faticosissimi viaggi in Italia, Francia e Spagna, scrivendo migliaia di lettere, organizzando impegnative lotterie, pubblicando libri ed il Bollettino Salesiano, ricevendo in udienza migliaia di persone, vivendo momenti di forte ansietà…
Si è fidato di Dio, e visto quello che è riuscito a fare da vivo soprattutto quello che hanno poi fatto dopo la sua morte i suoi “figli e figlie” e i suoi Cooperatori, si può veramente dire che la “mano di Dio” o “il dito di Dio” era con lui.