LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Dal “padre” sognatore al “figlio” scopritore
Don Alberto De Agostini:
il salesiano leggendario esploratore della “fine del mondo”.
Aprite una cartina geografica dell’America meridionale e fissate la zona al di là e al di qua dello stretto di Magellano, comunemente detta “Fin del Mundo”: troverete monti, ghiacciai, laghi, lagune, parchi che portano nomi di luoghi italiani (Aosta, Biella, Novara, Pollone, Torino, Italia), di italiani famosi (Negri, Marconi, Spegazzini, Schiaparelli, Sella, Pio IX, De Gasperi), oltre a quelli di salesiani pure ben noti: don Bosco, Cagliero, Milanesio, Vespignani, Bernabé, Aguilera, Carbajal e anche quello di un giovane piemontese beatificato poco tempo fa: Pier Giorgio (Frassati).
Forse non tutti sanno che tale ricchissima toponomastica è dovuta al missionario salesiano, don Alberto Maria De Agostini (Pollone-Biella 1883 – Torino 1960), di cui portano il nome non solo un grande parco nazionale e un bellissimo fiordo della Terra del Fuoco, ma anche la cima più alta del famosissimo massiccio delle Torri del Paine fra Cile ed Argentina in Patagonia; oltre a numerose piazze, vie, alberghi, statue, monumenti, dipinti nei due paesi sudamericani. Non per nulla è un personaggio semi-leggendario fra i gauchos d’America, soprannominato Don Patagonia.
In Italia invece fatica ad essere conosciuto al di fuori dalla ristretta cerchia di studiosi, mentre molto più noto è l’Istituto Geografico De Agostini di Novara, fondato dal fratello Giovanni, che ha legato indissolubilmente il nome alla geografia.
Un salesiano fuori dell’ordinario
Partito missionario ventisettenne alla volta di Punta Arenas, sullo stretto di Magellano, don De Agostini passò gli altri 50 anni di vita equamente suddivisi fra Italia e Argentina-Cile, alternando insegnamento collegiale ed esplorazioni scientifiche, attività pastorale e pubblicazioni, vita comunitaria e solitudini assolute. Ben diciotto le sue traversate atlantiche. Sospinto dall’amore per la montagna, dalla passione per la fotografia, dall’interesse per la scienza, sulla scia dei sogni di don Bosco sulla Patagonia don Alberto calpestò terre e scalò vette mai raggiunte da uomo, descrisse minuziosamente panorami terrestri e marini assolutamente sconosciuti, mostrò al mondo volti di uomini e donne che sarebbero presto scomparsi dalla faccia della terra. In una parola con l’aiuto del fratello Giovanni, mise con grande precisione sulle cartine geografiche, geologiche e antropologiche la fine del mondo in tutte le sue fattezze. Dimostrò così come infondate alcune teorie diffuse anche dai grandi della scienza, Charles Darwin incluso, con cui per altro condivise l’assegnazione di un prestigioso premio internazionale.
Conquistatore di anime e di bellezze naturali
Se nel 1977 lo scrittore inglese Bruce Chatwin definiva la Patagonia terra “sconosciuta e poco esplorata”, possiamo immaginare quanto lo era la Patagonia australe – soprattutto la zona andina, e l’inestricabile arcipelago della Terra del Fuoco – al momento in cui nel 1910 arrivò don De Agostini. Ebbene egli percorse quelle aree semisconosciute del pianeta terra in lungo e in largo per terra, mare (e cielo) prendendo appunti, fotografandole, facendole conoscere al mondo intero su carta e su pellicola. Le conquiste di terreni vergini ed acque impervie – l’orrido-
sublime – la raccolta di dati geologici, cartografici e naturalistici (flora, fauna, minerali) gli richiesero enormi sacrifici per le aspre difficoltà climatiche, l’esiguità di mezzi economici, la solitudine assoluta, le attese infinite per riuscire nei suoi intenti. Un nome in assoluto: il mitico monte Sarmiento, scalato dopo un’attesa di 40 anni. Ovviamente don Alberto non dimenticò la sua missione principale: educare i giovani accolti nelle case salesiane, avvicinare ed evangelizzare gli indios dispersi in quelle terre desolate, ri-evangelizzare gli europei emigrati laggiù e a rischio di perdere la fede. Dunque un personaggio che ha saputo conciliare, nel suo essere e nel suo operare, scienza e fede (tanto da farsi accompagnare quasi sempre nelle esplorazioni da “uomini di scienza”).
Un convegno internazionale
Sacerdote per vocazione, missionario per scelta, cartografo per nascita, scalatore appassionato, esploratore instancabile, fotografo esperto, viaggiatore impenitente, ma anche improvvisato naturalista, etnologo, scrittore, cineasta: questo don De Agostini sarà al centro di una tre giorni di studio (25-27 aprile 2022), organizzata dall’Istituto Storico Salesiano presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, in collaborazione con vari enti civili e musei italiani e cileni. Prenderanno la parola da Roma, da Bariloche (Argentina), da Punta Arenas (Cile) una quindicina di studiosi di storia salesiana, di geografia, di letteratura, di cinematografia ma anche di esperti “ragni di Lecco, scalatori pure delle Ande Patagoniche (una loro scalata si è appena conclusa). Tutti potranno seguire i lavori anche a distanza, on line. Sarà pure allestita un’esposizione fotografica e bibliografica.
Non è però solo storia di ieri. Se oggi vi è un flusso turistico imponente nella Patagonia soprattutto cilena, ma anche argentina (Ushuaia) è grazie alle guide turistiche di don De Agostini, ai suoi film, ai suoi libri. Se oggi abbiamo le ultime foto sugli indios Alakaluf, Ona, Tehuelche e Yamana, scomparsi dalla faccia della terra, è soprattutto grazie al suo lavoro; se oggi sappiamo di quanto si sono ritirati i ghiacciai dalla fine del continente americano è grazie al confronto fra le foto del satellite e quelle che lui fece cento anni fa. Insomma un figlio di don Bosco che ha fatto e continua a far storia.