BS Dicembre
2021

LA NOSTRA STORIA

Sergio Rodríguez López – Ros. Traduzione del dott. Maurizio Bruni

Carlo Gastini

Il poeta di Valdocco “primo” exallievo di don Bosco.

In cima all’altura c’era la forca. In quello spiazzo macabro bisognava passare per scendere a Valdocco. Una nebbiosa notte d’inverno, mentre rientrava a Valdocco, don Bosco sentì un pianto sommesso. Proprio là, rannicchiati contro il tronco di un olmo, c’erano un ragazzino e la sua sorellina. Il ragazzino, Carlo, era già conosciuto da don Bosco che si fermò e chiese: «Che cos’hai, Carlino mio?».

Tra i singulti, il ragazzo gli spiegò che, dal momento che sua madre era morta e che durante la sua malattia non aveva potuto pagare l’affitto della casa, il proprietario li aveva sfrattati e lasciati in mezzo alla strada. Tornando dal funerale, avevano trovato sprangata la porta della loro casa; il padrone, per rifarsi dei debiti che la mamma aveva contratto nell’ultimo periodo della malattia, aveva confiscato tutto ciò che la donna aveva lasciato e aveva buttato sul lastrico i due ragazzi.

Don Bosco, senza esitare se li portò a casa con sé.

Mentre scendevano a Valdocco, Carlo Gastini sentì la frase che tanti ragazzi avrebbero sentito, e che lui non dimenticò mai: «Vedi, io sono un povero prete. Ma anche quando avrò soltanto più un pezzo di pane, lo farò a metà con te». Mamma Margherita preparò un altro letto.

La città esplode

Nel 1841, quando il giovane Giovanni Bosco era arrivato a Torino per essere ordinato sacerdote, la città era composta da 128 000 abitanti ed era in piena industrializzazione.

A Torino nel 1841 c’erano 7148 bambini di età inferiore ai 10 anni impiegati come muratori, sarti, carpentieri, pittori, spazzacamini e in molte altre attività, con giornate lavorative lunghe fino a 14 ore in cambio di 30 lire al mese. La marginalizzazione nei quartieri periferici e le dure condizioni di lavoro provocavano alcolismo, violenze e malattie, a causa delle quali molti bambini restavano orfani. La mancanza di lavoro li conduceva a delinquere, il che ha portato le carceri di Torino ad essere sovraffollate e piene di giovani.

Fu proprio in quel contesto che la coppia formata da Antonio Gastini e da Maria Pernigotti abbandonò Casale Monferrato per installarsi a Torino intorno al 1828. La famiglia Gastini si stabilì vicino alla parrocchia di San Dalmazzo, alla periferia della città, in un quartiere modesto ma non degradato, pieno di negozi e di artigiani. Nacquero tre bambini: due maschi e una femmina. Il secondogenito Carlo nacque il 23 gennaio del 1833.

La felicità familiare fu troncata pochi anni più tardi. Il padre di famiglia morì nel 1847 probabilmente a causa di una malattia, lasciando a Maria il carico dei suoi tre figli, due dei quali dovettero cominciare a lavorare. Carlo, che aveva 14 anni, conosciuto in famiglia come Carlino, iniziò a lavorare come apprendista in un negozio di barbiere del quartiere, vicino al numero 11 della via San Francesco d’Assisi.

La sua vita era cambiata un sabato di giugno del 1847, quando era entrato nel negozio del barbiere il giovane sacerdote Giovanni Bosco, che proprio solo un anno prima si era stabilito a Valdocco con sua madre, Margherita Occhiena, in una casupola in affitto.

Il piccolo barbiere tremava come una foglia

Si era avvicinato il piccolo garzone per insaponarlo.

«Come ti chiami? Quanti anni hai?»

«Carlino. Ho quattordici anni».

«Bravo Carlino, fammi una bella insaponata. E tuo papà come sta?»

«È morto. Ho soltanto mia mamma».

«Oh poverino, mi dispiace». Il ragazzo aveva finito l’insaponatura. «E ora su, da bravo, prendi il rasoio e radimi la barba».

Accorse il padrone allarmato: «Reverendo, per carità! Il ragazzo non ci sa fare. Lui insapona soltanto».

«Ma una volta o l’altra deve ben incominciare a radere, no? E allora tanto vale che incominci su di me. Forza, Carlino». Carlino tagliò quella barba tremando come una foglia. Quando con il rasoio cominciò a girare attorno al mento, sudava. Qualche raschiatura forte, qualche taglietto, ma arrivò alla fine. Don Bosco subì imperturbabile il collaudo. «Non c’è male, – disse alla fine, – non c’è male. Un po’ per volta diventerai un famoso barbiere». Scherzò ancora con Gastini, poi gli lanciò l’invito di venire all’Oratorio la domenica seguente; il ragazzo glielo promise. Così Carlo Gastini aveva incominciato a frequentare l’oratorio e divenne amicissimo di don Bosco.

Una domenica del 1848, anno in cui spararono a don Bosco da una finestra di Valdocco, Carlo Gastini aveva un forte male ai denti, tipico dell’adolescenza, che l’obbligò a non poter andare a Messa e a dover stare a letto; verso le 11, terminata la Messa, don Bosco andò a vederlo e, sentendolo piangere, gli si rivolse: «Che cos’hai mio caro Gastini?» gli chiese. Il giovinetto a malapena rispose perché si agitava per l’atroce dolore; il giovane sacerdote prese la sua testa fra le sue mani, la appoggiò con forza con esse sul suo petto e il dolore scomparve all’istante: non fu l’unica volta in cui, in questo stesso modo, fece guarigioni simili nell’oratorio.

Quei giovani erano così riconoscenti verso don Bosco al punto da considerarlo il loro vero padre.

Nel giugno del 1849, in preparazione dell’onomastico di don Bosco, Gastini si era accordato con l’amico Reviglio per procurare a don Bosco una sorpresa meravigliosa, che esprimesse la loro riconoscenza: risparmiando sui pochi centesimi che don Bosco dava loro ogni mattina, avevano messo da parte un gruzzolo sufficiente per comperare un piccolo cuore di argento. Alla sera del 23 giugno, vigilia della festa, quando tutti i loro compagni erano già andati a dormire, Gastini e Reviglio si presentarono nella cameretta di don Bosco (don Bosco lavorava fino a notte tarda): con gioia gli offrirono il dono. Quando il giorno dopo i compagni lo seppero, ci rimasero male: erano stati presi in contropiede. Decisero per l’anno seguente di fare qualche cosa di più: ecco l’origine dei grandi festeggiamenti, divenuti poi tradizionali, per la festa di San Giovanni Battista.

Don Bosco gli predisse gli anni di vita

Il 2 febbraio 1852 Carlo Gastini insieme con un gruppo di amici indossava l’abito chiericale. Un anno dopo, lo doveva deporre e contemporaneamente troncare gli studi per mancanza di salute. Si specializzò allora nella rilegatura del libro.

Nel 1856 trovò lavoro fuori dell’Oratorio e si sposò. Ma nei momenti liberi correva a Valdocco e continuava a partecipare alla vita dell’Istituto. Aveva il dono della fosforescenza; divenne il menestrello di don Bosco. Sprizzava gioia fin dai pori della pelle. Sembrava quasi l’incarnazione del motto di don Bosco: «Servite il Signore nell’allegria».

Cinque anni dopo, eccolo tornare a Valdocco, a lavorare con don Bosco. Vi fu spinto da un fatto che lo ferì nel cuore. Lo si legge nel Bollettino Salesiano del febbraio 1902:

«Un giorno del 1861 un giornale torinese venne fuori con la strana notizia che don Bosco era stato condotto in prigione. Erano i giorni paurosi delle perquisizioni, e tutto pareva possibile. Quando Gastini entra in laboratorio, ignaro di tutto, si vede correre incontro molti operai, che lo colmano d’ingiurie dicendogli come il suo don Bosco aveva finalmente cominciato a pagare il fio della sua ostilità al governo. Gastini non sentì più in là; non curò le cose a lui dirette, non capì che la disgrazia di don Bosco. E come si trovava, con le maniche della camicia rovesciate all’insù, con un paio di pantofole nei piedi, corre all’Oratorio… Bisogna notare che la tipografia in cui lavorava era alla parte opposta di Torino. E giunto a Valdocco, grida piangendo: “Dov’è don Bosco?”.

In quell’ora, don Bosco aveva finito la santa Messa e se ne usciva dalla sacrestia della chiesa di San Francesco di Sales. A Gastini parve una visione, non voleva credere a se stesso e piangendo gli corse incontro.

Qualche tempo dopo, in occasione di una festa, nel presentare a don Bosco una serie di opere con elegante rilegatura, gli chiese una preghiera, «Affinché – disse – dopo averti legato tanti libri, io rimanga legato a te nel libro della vita».

Don Bosco un giorno lo prende in disparte e gli assicura che sarebbe vissuto fino a 70 anni. Questa predizione Gastini se la incise nel cuore e vi giocava sopra con una poesia: «Io devo vivere / per settant’anni, a me lo disse / papà Giovanni».

Un exallievo lo descrive come un artista ineguagliabile nell’arte dell’improvvisazione e della recitazione. Quando compariva sul palcoscenico il pubblico lo applaudiva fino a spellarsi le mani. Il suo ruolo favorito era quello di protagonista nella tragedia classica S. Eustachio e nella commedia Tonio, ossia una lezione di morale. Negli intervalli dello spettacolo veniva alla ribalta e sciorinava un ricco repertorio: la scena del pozzo dal melodramma Crispino e la comare, don Procopio, Il ciabattino contento del suo stato, L’assolo nel coro dei matti, eccetera.

Nascono gli ex allievi di don Bosco

Nel 1876, in occasione della festa annuale di giugno, gli exallievi presenti raggiunsero il numero di 157. Al mattino, furono accolti dalla banda degli allievi; don Bosco li aspettava nel refettorio, dove consegnarono alcune corone di fiori per Maria Ausiliatrice, esprimendo il loro sentimento di gratitudine. L’album regalato in quell’anno conteneva questa dedica: «Nell’onomastico dell’amatissimo Padre Don Giovanni Bosco i giovani già educati in questa casa in segno di riconoscenza offrono», cui seguiva nell’interno, a mano un foglio: «A Don Giovanni Bosco scrittore celeberrimo nel giorno onomastico 1876 la Libreria Salesiana offre».

La rilegatura era naturalmente di Gastini che, dopo la Messa, mise in scena un immaginario dialogo fra lui e due librai, in cui si calcolava il numero di esemplari realizzati fino a quell’anno: Il giovane provveduto, 370 000; La chiave del Paradiso, 180 000, Storia d’Italia, 50 000; Storia Sacra, 30 000… e quasi 4 milioni di fascicoli delle Letture Cattoliche.

L’iniziativa di riunire gli exallievi aveva funzionato. Gli incontri avvenivano con regolarità ed i presenti ogni volta erano sempre più numerosi. Esisteva quindi un movimento di persone riunite da un legame morale con un comitato organizzatore, al cui capo stava Gastini. Solo nel 1894 quella entità avrebbe avuto anche una forma giuridica.

Gli exallievi, oltre alla festa di San Giovanni Battista, partecipavano anche alle celebrazioni delle feste di San Luigi Gonzaga e San Pietro. Nella festa di Pentecoste, agli exallievi riuniti come gli Apostoli nel Cenacolo, raccolti intorno a Maria Ausiliatrice, don Bosco rivolse alcune parole, in cui li esortava a costituirsi come entità giuridica: «Che cosa mi resta a dirvi? Coraggio, coraggio, coraggio! Chi vuole farsi missionario non ha che a dare il nome e partire (…) Ma non tutti sono chiamati a professare la Società di S. Francesco di Sales, e allora basta che se ne mantenga lo spirito che ciascuno sia ora missionario fra i suoi compagni; poi nelle proprie case, o dove abiterà, dando buoni esempi, buoni consigli e facendo del bene all’anima propria. Così quanti siete qui sarete altrettanti missionari, sarete altrettanti di coloro di cui dice Gesù Cristo: Saranno sale, saranno luce! Quanti siete qui sarete altrettanti cittadini del paradiso e allora vedrete quanto poco ci voleva per salvare un’anima e per essere missionario».

Questo intervento orale, e unico, del 1878 è la autentica Carta di Missione degli Exallievi di don Bosco. Nel 1869 era stata fondata l’arciconfraternita di Maria Ausiliatrice e nel 1876 egli fondava i Salesiani Cooperatori. L’obiettivo era chiaro: continuare l’Oratorio oltre l’Oratorio, cioè permettere che divenuti grandi quei giovani conservassero gli stessi valori. Per raggiungere tale scopo stabilì una quadrupla missione: conservare i valori ricevuti (fede, onestà, laboriosità, impegno), testimoniare proprio questi valori (in famiglia, sul lavoro, nella società), dare solidarietà reciproca fra gli exallievi e aiutare le opere salesiane nella loro missione con i giovani.

Ormai a Valdocco gli exallievi erano una realtà ampiamente riconosciuta.

Appuntamento in Paradiso

Il 31 gennaio 1888 morì don Bosco. Il dolore fu immenso per tutti. Sacerdote, educatore, amico, benefattore. Tutti persero qualcosa. Però Carlo perse papà Giovanni, a cui era andato a dare l’addio durante la sua agonia.

A metà gennaio dell’anno 1902 Gastini si ammalò. Si mise a letto conscio di prepararsi alla morte. Don Rua lo venne a trovare e gli fece coraggio facendogli balenare la speranza di una rapida guarigione. «No, no. Non mi leverò più dal letto – gli rispose Gastini. – Sono entrato negli anni settanta e devo morire. Non ho più nulla da fare quaggiù. Spero che don Bosco mi aiuterà a unirmi con lui in Paradiso».

Si spense il 28 gennaio di quell’anno 1902, al limite biblico dei 70 anni.

Oggi i discendenti spirituali di Carlo Gastini sono una realtà diffusa in oltre 100 paesi e formata da 50 milioni di persone.

Per saperne di più

Sig. Nguyen Duc Nam Dominic

Confederazione Mondiale Exallievi/e di Don Bosco

Via Marsala 42 00185 Roma RM Italia

www.exallievi.org

db
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