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La Comunità

Bulgaria Rose, yogurt e don Bosco

«A Kazanlak, in Bulgaria sentiamo la gioia di essere seminatori del Regno in un contesto difficile, con lo stile salesiano

La città di Kazanlak si trova al centro della Bulgaria, nella valle delle Rose. È una città di circa 82 000 abitanti e rappresenta una destinazione turistica molto attraente.

Come molte città della Bulgaria, è anch’essa fonte di meraviglie naturali e boschi secolari, nonché di immense catene montuose. Kazanlak è un importante centro industriale, storico e culturale. La città è la capitale delle Rose.

Com’è composta la vostra comunità?

La nostra comunità è composta da sei confratelli, cinque sacerdoti e un coadiutore. C’è anche uno studente di teologia a Torino, che ha già assaggiato questa missione in Bulgaria. La nostra missione è parte dell’Ispettoria della Repubblica Ceca. Siamo di varie nazionalità: cechi, un indiano, un guatemalteco e un argentino.

Che lingua usate tra di voi?

Ci parliamo in bulgaro. La comunità ha scelto questa opzione circa 10 anni fa. Non è stato motivato solo dalla presenza di qualche fratello di un’altra nazionalità, ma anche perché c’è la convinzione che la gente apprezza i missionari che parlano nella loro lingua, anche nell’intimità della vita comunitaria.

Com’è nata la vostra vocazione missionaria?

Ognuno ha vissuto un percorso particolare. Padre Peter Nemec, il primo salesiano in Bulgaria, è arrivato quando era sacerdote da più di dieci anni. Nella maggior parte degli altri, la vocazione missionaria si è manifestata negli anni della formazione iniziale, e si è concretizzata prima dei voti perpetui.

Perché siete venuti proprio in Bulgaria?

I confratelli cechi vi furono inviati poiché la Bulgaria faceva parte della sua Ispettoria. In questo modo, la loro vocazione missionaria ad gentes ha trovato una risposta all’interno della stessa Ispettoria. Gli altri confratelli, in ogni caso, si sono messi a disposizione del Rettor Maggiore, che ha provveduto all’invio in Bulgaria.

Per ricordare le ragioni della presenza salesiana in Bulgaria, dobbiamo risalire all’inizio degli anni ’90, quando il Santo Padre, san Giovanni Paolo II, chiese al Rettor Maggiore di quel tempo, don Egidio Viganó, una maggiore presenza dei Salesiani nei Balcani. In risposta a questa richiesta, don Viganò ha chiesto ai Salesiani cechi di assumere questa missione. La vicinanza culturale di due popoli di radici slave e il legame spirituale che li unisce nelle figure dei Santi Cirillo e Metodio, sono stati i motivi di questa richiesta.

Qual è la missione della vostra comunità?

In termini di attività, l’Opera anima due parrocchie e un centro giovanile. Offre anche alla Chiesa in Bulgaria un servizio di formazione per animatori giovanili. I destinatari del nostro lavoro sono sia bulgari che Rom (popolarmente conosciuti come “zingari”), anche se negli ultimi dieci anni l’attenzione si è concentrata molto su questi ultimi, soprattutto con il centro giovanile, situato ai margini del loro quartiere. Va notato che i Rom in Bulgaria, come in tanti altri luoghi in Europa, sono un gruppo sociale emarginato e incompreso, in una situazione di grande svantaggio rispetto agli altri cittadini, e con una propria cultura che non è sempre facile da accettare e integrare. Come figli di don Bosco, abbiamo privilegiato in questo contesto il compito di lavorare con i giovani Rom, per collaborare alla loro crescita educativa e spirituale.

Quali sono le vostre soddisfazioni
più belle?

Senza dubbio, la vita condivisa con i giovani e con i fedeli del luogo, è per noi una grande fonte di gioia. Il lavoro pastorale non produce frutti visibili o sorprendenti in termini numerici. Tuttavia, e forse proprio grazie a questo, noi Salesiani in Bulgaria sentiamo la gioia di essere seminatori del Regno in un contesto difficile, con lo stile salesiano, alimentando la speranza e con piena fiducia nel Signore.

Quali sono le difficoltà più complicate che dovete affrontare?

Lavorare in contesti emarginati presenta difficoltà e sfide. Lavoriamo con un livello di fragilità molto alto, sia nelle persone che nei processi che vengono svolti. Le variabili culturali e socioeconomiche dei destinatari presentano vere sfide per il compito educativo-pastorale.

Tra i giovani Rom, la mancanza di un’istruzione formale, la mancanza di un lavoro dignitoso, lo smembramento delle famiglie (molti genitori emigrano per motivi di lavoro), la droga, le sigarette (molto diffuse anche tra i bambini) sono alcuni dei gravi problemi che incontriamo.

L’emigrazione di massa e la bassa natalità sono causa di uno spopolamento allarmante (il più alto d’Europa), che parla di una società che ancora non trova strade chiare per il proprio futuro.

Come sono i giovani e le famiglie
a cui vi rivolgete?

Come abbiamo detto, le famiglie dei Rom vengono smembrate, principalmente a causa del fenomeno della migrazione dei genitori. In questo contesto, i giovani sono esposti a molti pericoli sin dalla tenera età (analfabetismo, dipendenze, criminalità, prostituzione).

D’altra parte, il giovane Rom è vigile e molto affettuoso. Porta in sé le tracce di una cultura amica della danza e della musica, quindi in un contesto generalizzato di disperazione, questi giovani sono un serbatoio di vitalità. La sua gioia, in mezzo a tante difficoltà, si sente.

Non è da meno che in mezzo a tanta fragilità, si coltiva tra i Rom un senso di famiglia. Sebbene fortemente attaccati dal contesto e dalla nuova cultura, il senso di famiglia/clan aleggia ancora in loro. Lo stesso si può dire della religione. Sebbene sincretici, un po’ superstiziosi e senza una stabile affiliazione a una confessione religiosa, i Rom sono un popolo aperto alla trascendenza e interessato al messaggio religioso.

Quali sono i problemi più grossi
della gente?

Nell’ordine materiale, è facile vedere gli effetti di una situazione economica precaria. La Bulgaria è lo Stato dell’Unione Europea con il pil più basso. C’è molta informalità e una vera rete di mafie infiltrate a tutti i livelli della vita sociale. Ogni possibilità di un vero progresso materiale è gravemente limitata dalla corruzione, da una mentalità un po’ chiusa e da una sensazione generale di negatività, di disperazione. L’emigrazione di massa e la bassa natalità sono causa di uno spopolamento allarmante (il più alto d’Europa), che parla di una società che ancora non trova strade chiare per il proprio futuro.

Dall’ordine spirituale, c’è una grande sfida per ricostruire internamente la vita di ogni bulgaro. Dopo tanti anni di sofferenza, il popolo bulgaro cerca ancora un orizzonte al di fuori dei nazionalismi xenofobi, della sfiducia nel diverso e del conflitto.

Com’è la Bulgaria dal punto di vista religioso?

Più di tre quarti dei Bulgari appartengono alla Chiesa ortodossa orientale, che è la confessione ufficiale. Tuttavia, come in molti posti in Occidente, la pratica religiosa è notevolmente diminuita e la religione, che ufficialmente assume la preminenza, nella vita della stragrande maggioranza dei bulgari è un fatto culturale.

La Chiesa ortodossa bulgara, la prima chiesa autocefala in Oriente dopo Costantinopoli, porta con sé il peso di una lunga storia. La loro partecipazione al dialogo ecumenico è bassa e anche la loro apertura al mondo cattolico.

La Chiesa cattolica in Bulgaria è una realtà periferica. Vi sono due diocesi di rito latino (nord e sud del Paese) e una di rito orientale (a quest’ultima appartengono canonicamente i Salesiani). Anche così, sebbene i cattolici rappresentino appena l’1% della popolazione, sono una comunità compatta e molto unita, con forti legami tra le comunità e con un’esperienza di fede che ha resistito e resiste all’assalto dell’ambiente.

Tuttavia, in mezzo a questo contesto, la chiamata e la responsabilità dei cattolici con l’ecumenismo è una bella opportunità. Dopo la visita del Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, in visita in Bulgaria lo scorso giugno, questo Paese è stato rilanciato come un vero laboratorio di dialogo non solo tra i cristiani ma anche con le altre religioni. Lo ha ricordato anche Papa Francesco durante la sua visita pastorale lo scorso anno (maggio 2019) e lo ha fatto san Giovanni XXIII durante il suo periodo come Delegato Apostolico (1925-1934). È un vero segno dei tempi.

Come siete considerati dalla gente?

La gente apprezza il lavoro che fanno i Salesiani, e in particolare tra i cattolici la loro presenza è graditissima. Solo nella città di Kazanlak, con l’arrivo dei Salesiani, è arrivato il primo prete cattolico dopo 40 anni!

Avvicinarsi ai Rom e condividere la vita con loro è un segno che sfida, quindi in molti ci sono anche sentimenti di sorpresa e incomprensione. Ma in generale si può dire che chi conosce i Salesiani ha un grande apprezzamento per l’Opera.

Le autorità governative e le associazioni civili che lavorano con i Rom hanno una buona idea del compito svolto dai Salesiani.

Quali sono le sue speranze
per il futuro?

Molte delle speranze che abbiamo per il futuro si concretizzano nella costruzione di un nuovo tempio per la città e di una scuola per i rom. Da alcuni anni questo progetto di costruzione si sta sviluppando lentamente, con molto lavoro e fatica e anche con aiuti importanti, dove si evidenzia quello dei volontari cechi e quello dello stesso Rettor Maggiore, Ángel Fernández Artime.

La nuova chiesa, con uno stile architettonico orientale, risponderà alle esigenze religiose della comunità cattolica così come alle esigenze spirituali dei Rom (l’edificio si trova accanto al quartiere zingaro). Ma la nuova chiesa sarà anche un segno per tutta la città, che nel prossimo futuro avrà tra i suoi templi uno cattolico.

La scuola è molto attuale per la missione tra i Rom. Il tasso di analfabetismo e abbandono scolastico tra loro è molto alto. Le opportunità che un’istruzione formale di qualità, orientata al lavoro e con valori umani e cristiani può offrire loro, sono molto grandi. Quando le circostanze sono così avverse per loro, qualsiasi bene che si possa fare con l’istruzione ha un impatto molto grande. In mezzo a un sistema educativo con grandi difetti, con una cultura scolastica rigida e un po’ aspra, e con poca capacità di trattenere studenti vulnerabili, la proposta educativa salesiana è una vera “buona notizia” per questi ultimi. 

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