COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
AUTOGRILL PER EDUCATORI Se sento, dimentico. Se vedo, ricordo
Ci sono tre ottimi modi per educare bene: primo l’esempio, secondo l’esempio, terzo l’esempio.
È bastato vedere padre e madre, per non poterli più dimenticare per tutta la vita: per portarne per sempre il segno.entro ognuno di noi vi è un pezzo dei genitori, un pezzo che è memorizzato laggiù nelle radici profonde dell’anima.
Ecco un bel mazzetto di testimonianze che provano ciò che abbiamo detto.
“Di mio padre – dice il giornalista, scrittore Enzo Biagi, – ricordo la grandissima generosità, l’apertura e la disponibilità verso tutti. Non è mai passato un Natale, e il nostro era un Natale modesto, senza che alla nostra tavola non sedesse qualcuno che se la passava peggio di noi.
C’erano vecchiette incredibili, una cieca. Mio padre faceva cucinare i tortellini a mia madre prima che andassimo a tavola, per portarli ad uno del mio paese che era ricoverato in manicomio e nascondeva una bottiglietta di birra piena di vino, perché, naturalmente, non si poteva dare vino ai matti. Voleva che in quel giorno facesse qualcosa di diverso e di più allegro. È sempre stato così”.
Anche lo scrittore Goffredo Parise ha il suo bel ricordo del padre: “Severo, di poche parole, alto e magro, mio padre, con la sua stessa presenza fisica ha influito su di me trasmettendomi la capacità di non scompormi mai”.
Il politico Giovanni Spadolini è stato, lui pure, ‘firmato’ dal padre: “Il suo amore per i libri e la sua biblioteca fornitissima in cui passava le giornate hanno avuto un’importanza decisiva nella mia formazione… Era un uomo di grande probità morale e di grande dedizione al lavoro. Nel 1942 e 43 salvò molti beni di israeliti, e non solo beni. Nel 1944 rimase ucciso sotto i bombardamenti mentre soccorreva i feriti”.
«Mamma mia me diceva…»
Il nome di Trilussa è noto a molti. In realtà si chiamava Carlo Alberto Salustri. Fu un poeta romanesco di grande fama, vissuto a Roma dal 1871 al 1950.
Trilussa ebbe un immenso amore per la mamma, un amore così grande che svenne durante il suo funerale. Ebbene a ricordo di essa ha lasciato quest’affettuosa poesia trovata solo nel 1966 tra le sue carte custodite con più cura:
“Quand’ero regazzino, mamma mia
me diceva: ‘Recordate fijolo,
quando te senti veramente solo
tu prova a recità ’n’ Ave Maria’.
L’anima tua da sola spicca er volo
e se soleva come pe’ maggia.
Ormai so’vecchio, er tempo m’è volato;
da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo non l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
Io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo!”.
Queste testimonianze parlano chiaro e forte: educare non è salire in cattedra, ma tracciare un sentiero!
Quando pensavi che non stessi guardando
Ecco come una figlia, ormai adulta, ringrazia la madre per quelle cose che ha fatto «quando pensava che non stesse guardando». È una testimonianza di come l’educazione non sia fatta di gesti calcolati in conformità a teorie complicate o di solenni prediche sui grandi principi, ma di piccole, indimenticabili cose e di momenti intimi e segreti che restano incancellabili nella memoria e diventano parte importante della struttura personale.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai appeso il mio primo disegno al frigorifero e ho avuto voglia di continuare a stare a casa nostra per dipingere.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai dato da mangiare ad un gatto randagio ed è allora che ho capito che è bene prendersi cura degli animali.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai cucinato apposta per me una torta di compleanno e ho compreso che le piccole cose possono essere molto speciali.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai recitato una preghiera e io ho cominciato a credere nell’esistenza di un Dio con cui si può sempre parlare.
Quando pensavi che non stessi guardando, mi hai dato il bacio della buonanotte e ho capito che mi volevi bene.
Quando pensavi che non stessi guardando, ho visto le lacrime scorrere dai tuoi occhi e ho imparato che, a volte, le cose fanno male ma che piangere fa bene.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai sorriso e ho avuto voglia di essere gentile come te.
Quando pensavi che non stessi guardando, ti sei preoccupata per me e ho avuto voglia di diventare me stessa.
Quando pensavi che non stessi guardando, io guardavo e ho voluto dirti grazie per tutte quelle cose che hai fatto, quando pensavi che non stessi guardando.
La cosa più importante per i bambini è sapere di essere amati e benvoluti. Tutto quello che vogliono è essere accettati a pieno titolo dalla famiglia. Temono di essere un’appendice o una specie di soprammobile fragile e prezioso da trattare con cautela e attenzione.
«Alla sera, la mamma mi dice sempre: “Lascia in pace il papà perché è stanco: ha lavorato tutto il giorno”. Ma io non sono mica un lavoro!» protesta una bambina.
L’Amore è terapeutico
«Anni addietro sono andato a trovare un adolescente rinchiuso in un Istituto per minorenni. Rimasi impressionato: trovai in quella prigione tre ragazzi omicidi.
Perché tragedie così gravi?
La maggior parte di quei ragazzi non era mai stato sulle ginocchia della mamma, non avevano mai giocato con un papà, non erano cresciuti con fratelli e sorelle. Erano stati chiamati per cognome, quando non erano stati chiamati per numero» (Oreste Benzi, sacerdote che ha dedicato la vita al ricupero degli ultimi).